A poco meno di due giorni dalla chiusura delle urne, i risultati ufficiali sono stati annunciati dal Presidente Massoud Barzani in un discorso televisivo. I “Sì” sono stati il 92,7%, mentre l’affluenza si è attestata al 72,6% dei circa 5,3 milioni di elettori registrati.
Il successo è stato clamoroso, ma ora inizia la fase più complessa. Il Presidente Barzani dovrà intraprendere delle complesse trattative con il governo di Baghdad. Come era stato già anticipato prima del voto dallo stesso Barzani, considerata il valore consultivo del referendum. l’ intenzione delle autorità kurde non sarà un’ immediata dichiarazione di indipendenza, ma tale risultato dovrà essere la conclusione di un percorso di dialogo, costruttivo anche di anni, con la controparte irachena.
Per commentare l’ esito del referendum abbiamo chiesto ad Andrea Dessì, ricercatore presso l’ Istituto Affari Internazionali (IAI) di Roma, programma Mediterraneo e Medioriente.
All’ inizio della settimana scorsa, la Corte suprema di Baghdad si era espressa a favore di una sospensione del referendum perché incostituzionale, non rispettando almeno un terzo degli articoli della Carta costituzionale.
Per lo stesso motivo, il Premier iracheno Haider al-Abadi non vuole sentir ragioni. «Nessuno è unico all’interno dell’Iraq» sarebbero state le sue parole. Ha inoltre lanciato un ultimatum: ha concesso tre giorni ad Erbil per trasferire al governo federale l’ autorità sugli aeroporti della regione del Kurdistan. Altrimenti, a partire dalla 15 di venerdì, Baghdad proibirà tutti i voli internazionali da e per il Kurdistan.
A tal riguardo, dice Dessì, “Baghdad ha subito messo in atto una politica di pressione economica e politica verso il governo curdo di Erbil. Queste mosse sembrano essere anche coordinate a livello regionale, con la Turchia e l’Iran. L’annuncio di Al-Abadi, è l’ultimatum lanciato alle autorità curde è senz’altro un segnale forte e preoccupante, specie per quanto riguarda l’invio di ufficiali Iracheni che dovrebbero prendere il posto di quelli curdi nel gestire gli aeroporti internazionali nel Kurdistan iracheno, ma anche i passaggi di frontiera. Erbil ha già annunciato che non permetterà a Baghdad di sottrarre alle proprie forze il controllo dei confini e degli aeroporti. Le tensioni sono molto alte ed e da scongiurare nella maniera più forte l’ipotesi di scontri armati per attuare quest’ultimatum. Per quanto riguarda l’embargo di voli internazionali, per ora solo l’Iran ha cancellato tutti i voli da e per il Kurdistan Iracheno, anche chiudendo le frontiere terrestri e attuando un’esercitazione militare sul confine”.
Come se non bastasse, la Turchia ha interrotto le trasmissioni satellitari dell’ emittente curda “Rudaw”. «Pronti a rispondere se la sicurezza è in pericolo» aveva dichiarato il Primo Ministro turco Yildirim. Inoltre “A nord”- precisa Dessì –“ le forze militari turche e irachene hanno preso parte ad esercitazioni congiunte sul confine con il Kurdistan iracheno, mandando anche qua un segnale forte alle autorità di Erbil. Per ora però i voli della Turkish Airlines continuano ad atterrare ad Erbil, mentre solo una compagnia regionale – la Lebanon’s Middle East Airlines – ha annunciato un fermo ai voli diretti nel nord dell’Iraq a partire da venerdì prossimo. Dietro a queste misure economiche e politiche si gela il fatto che un ipotetico stato indipendente curdo non sarebbe sostenibile economicamente senza il consenso politico dei propri vicini. Questo è il messaggio che stanno inviando ad Erbil: non illudetevi che l’indipendenza vi porterà liberta e sviluppo economico, il Kurdistan Iracheno rimarrà sempre fortemente dipendente dai propri paesi vicini”.
Le autorità turche hanno infatti minacciato anche di chiudere l’oleodotto Kirkuk-Ceyhan, ovvero quello che trasporta il greggio prodotto dai giacimenti nel Kurdistan iracheno verso la Turchia e i mercati europei. Attraverso tale oleodotto transitano ogni giorno più di 500 mila barili di petrolio.
A proposito dell’ area di Kirkuk, Dessì non esita a ricordare che “la questione, insieme ad altre importanti zone contese tra Baghdad ed Erbil è, e rimarrà, una questione cruciale per capire gli sviluppi che seguiranno il referendum. Kirkuk è una di queste zone contese, forse la più famose per via delle risorse petrolifere. Dopo l’avveno dell’ISIS nell’estate del 2014 e le avanzate delle forze di sicurezza curde per scacciare lo Stato Islamico, i curdi si sono impossessati – militarmente – di queste zone, compreso Kirkuk, e da allora si rifiutano di ritirarsi. Il fatto che il referendum si è tenuto anche in queste zone – a discapito delle proteste di Baghdad, ma anche di altri paesi internazionali – complica di molto la situazione. La questione petrolifera è importante, ma sarà difficile per la regione curda autonoma esportare queste risorse. Negli ultimi anni i Curdi hanno esportato petrolio attraverso il confine con la Turchia. Ora, dopo il referendum e le proteste turche, è difficile pensare che Ankara continui con questa politica. Per ora è in atto un vero e proprio embargo economico e politico verso Erbil. Siamo ancora agli inizi e bisognerà aspettare per capre meglio gli sviluppi interni, regionali ed internazionali che possono seguire”.
«Nonostante tutti i nostri avvertimenti» – ha sostenuto Erdogan -« l’Autorità regionale del nord Iraq ha voluto tenere il referendum per l’indipendenza. Ora l’ha approvato il 92%. Ma questo vale una guerra? Chi accetterà la vostra indipendenza? Solo Israele. Ma il mondo non è solo Israele. Il Kosovo purtroppo non è ancora riuscito a essere uno Stato».
Ieri Barzani aveva invitato l’ Iraq così come Turchia e Iran a rispettare la volontà di milioni di persone e rivolgendosi alla folla ha ribadito che «Voi, la gente del Kurdistan, non avete permesso che fosse piegata la vostra volontà, e ora, dopo che avete votato ‘si’ all’indipendenza e non ad una nuova Anfal ad attacchi chimici e a un altro genocidio, siete entrati in una nuova fase».
Il riferimento al genocidio curdo compiuto dal regime iracheno alla fine degli anni ’80 è forte, ma quanto si sta preparando sul campo sembra non essere insignificante. Il pericolo, secondo Erdogan, è quello di «una guerra etnica e confessionale». Ankara sarebbe dunque pronta ad adottare sanzioni sia economiche che militari. «Si ritroveranno sull’orlo del precipizio quando inizieremo a imporre le nostre sanzioni» ha tuonato il Presidente turco.
A sostenere il popolo curdo, Israele Più cauta la Russia, dato anche l’ interesse di Rosneft per il Kurdistan. Dal canto loro, gli Stati Uniti,attraverso il Dipartimento di Stato, sebbene non abbiano nascosto la loro delusione per il referendum,hanno affermato che le storiche relazioni con i curdi “non subiranno cambiamenti” mentre l’ Iran sembra esser pronta a rispondere a qualsiasi minaccia. Le autorità di Damasco si sono dette pronte a discutere l’ autonomia dei kurdi siriani, respingendo, però, nella maniera più assoluta, un referendum per l’indipendenza come avvenuto il 25 Settembre. Lo avrebbe rivelato il Ministro degli Esteri siriano, Walid Mouallem, considerando quel 15% di popolazione che dall’ inizio della guerra ha impostato un’ amministrazione semi-autonoma.
Molti commentatori hanno messo in evidenza il possibile tornaconto politico che il Presidente kurdo Barzani potrebbe avere dal referendum. In merito a questo Dessì puntualizza che «le motivazioni che hanno spinto Barzani a chiamare il referendum hanno più a che vedere con le tensioni politiche intra-curde e gli allineamenti regionali ed internazionali che con un’ imminente necessità o intenzione di annunciare l’indipendenza. Le elezioni presidenziali e parlamentari che si terranno nel Kurdistan Iracheno a Novembre sono un importante chiave di lettura, ma lo è ancora di più il fatto che il mandato di Barzani – che ha comunque annunciato di non avere intenzioni di ricandidarsi come presidente a Novembre – è scaduto da anni e c’è un urgente bisogno di saldare il consenso popolare per il suo partito prima delle elezioni di novembre. Il partito di Barzani, il KDP rimane saldamente favorito, e il proprio forte sostegno per il referendum fa si che in molti probabilmente voteranno per il KDP (a patto che non vi siano ritorsioni economiche, militari o politiche che ricadranno sulla popolazione per via del referendum). Gli altri principali partiti Curdi, il PUK e Gorran sono comunque ben posizionati per il voto di novembre. Sebbene siano a favore dell’indipendenza Curda, entrambi questi partiti hanno espresso qualche perplessità riguardo la tempistica del referendum, e ancora di più riguardo il mandato scaduto di Barzani. Questi aspetti di politica interna e strategia elettorale sono molto importanti per capire le motivazioni del referendum”.
Il Presidente del Parlamento iracheno Salim al Jabouri ha auspicato un ruolo “chiave” nella gestione degli effetti del referendum. “E‘ difficile pensare ad un ruolo chiave per l’Onu nel contesto del referendum curdo. L’Onu può intervenire solo all’interno di un quadro politico chiaro, e in questo senso il ruolo dell’Onu sarebbe quello di servire come una cornice internazionale per favorire il dialogo tra le principale potenze regionali riguardo gli effetti e le reazioni all’referendum. Il Segretario Generale Onu ha dichiarato forte preoccupazione per gli effetti “potenzialmente destabilizzanti” del referendum. Se le cose si mettono veramente male tra Erbil e Baghdad, e c’è un rischio di scontri militari, si potrebbe pensare ad un ruolo di mediatore per un inviato Onu, ma per ora è presto parlare di quest’ipotesi. Più probabile che del referendum curdo si parli per ora a livello di stati membri dell’Onu, specialmente nel contesto del Consiglio di Sicurezza”.
Anche perché, contestualmente alle tensioni che potrebbero nascere dal referendum kurdo, rimane il conflitto in Siria, il tutto rende la questione aperta e di non immediata soluzione.