A poche ore dall’ apertura delle urne, nel corso della conferenza all’International Press e Broadcasting Center di Barcellona, cui hanno partecipato il Vicepresidente del governo Oriol Junqueras, il portavoce dell’esecutivo catalano Jordi Turull e il Segretario per le relazioni con gli Esteri, Raul Romeva, è stata ribadita la decisione a portare a compimento il proposito referendario.

La Catalogna conta 7,5 milioni di abitanti, si espande per circa 32.000 kmq. La sua popolazione è il 16,5% del totale spagnolo. Come ha ricordato Oriol Junqueras, l’ economia catalana è «una delle poche economie che crescono tre volte più velocemente del suo deficit». Le sue imprese corrispondono al 18.5% delle imprese spagnole. Il suo PIL costituisce il 19% del prodotto interno lordo iberico ( poco più di 200 miliardi di euro su 1500) e non ha un sistema fiscale autonomo. Va ricordato, inoltre,  che la Catalognaha un Parlamento che può legiferare solo se non in contrasto con la Costituzione spagnola; la sua autonomia è recente, anche se è stata poi rivista dalla Corte Costituzionale di Madrid.

Vuoi che la Catalogna sia uno Stato indipendente sottoforma di Repubblica?” è la domanda a cui dovranno rispondere gli elettori. Si tratta di un referendum vincolante e senza quorum. Diversi i tentativi da parte spagnola di impedire il referendum: il sequestro delle schede, l’ arresto di membri del governo.

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«Non ci sarà nessun referendum» è stata la risposta di Madrid. Secondo il portavoce del governo spagnolo, Inigo Mendez de Vigo  è una «reiterata disobbedienza e grave slealtàQuesto è un processo illegale fin dal suo inizio e il governo impedirà che possa realizzarsi».

Di contro, Romeva ha riaffermato che «siamo assolutamente disposti a negoziare quando lo Stato spagnolo vuole. Abbiamo cercato di farlo da anni. Il referendum è uno strumento democratico che permette a tutto il mondo di esprimersi in qualunque direzione lo consideri. Siamo tutti consapevoli delle responsabilità che condividiamo con la Spagna e l’Europa».

Ci sono rischi per la stabilità spagnola? Quali conseguenze avrà il referendum sull’ Unione Europea? A queste domande ha risposto Eleonora Poli, ricercatrice presso l’ Istituto Affari Internazionali (IAI), dove collabora a progetti di ricerca sulle politiche economiche europee oltre che sul ruolo dell’Unione europea nella risoluzione di conflitti regionali.

Ad una settimana dalle elezioni tedesche, in cui enorme successo ha avuto l’ AfD, l’ Unione Europea subirà un altro colpo dal referendum per l’ indipendenza della Catalogna?

Il dato interessante mi sembra questo: alla forza passionale catalana, la risposta del governo spagnolo è ‘non ci sarà nessuna indipendenza perché il referendum non è legale’. Quindi si appellano alla legalità e alla costituzionalità per combattere contro un atto di libertà illegale, ma con una forte caratterizzazione politica. E’ proprio questa risposta così fredda da parte del governo spagnolo che in realtà ha fatto aumentare il supporto verso i catalani, non solo in Catalogna, ma anche al di fuori: c’è un sentimento generale per cui se prima il movimento indipendentista catalano era conosciuto, ma non era sulla bocca di tutti, dopo la risposta spagnola, sta diventando un inno per la libertà.  Quindi sicuramente avrà un impatto in altri Paesi europei anche perché la questione dell’ indipendentismo è abbastanza diffusa in altri Stati, basti guardare il Belgio o l’ Italia stessa, dove ci sarà un referendum consultivo per l’ autonomia fiscale, sebbene non comparabile, sull’ autonomia del Veneto e della Lombardia il 22 ottobre. Nel caso italiano, però, è una mossa politica dei Presidenti di regione per acquisire maggior peso con cui negoziare a Roma. E’ una mossa politica per consolidare consenso, anche perché avremo le elezioni a breve. Ci sono comunque moltissime spinte di indipendentismo in quasi tutti i Paesi europei.

uindi, questo referendum catalano potrebbe dare il via ad una catena di rivendicazioni di indipendenza da parte di altre comunità regionali?

Sicuramente verrà strumentalizzato da altre forze.

E questa instabilità renderà molto più complesso il dialogo con l’ Unione Europea?

Il problema dell’ Unione Europea è che al momento si trova praticamente tra due fuochi: da un lato i catalani che dicono ‘Tu, Unione Europea, dovresti difendere il nostro referendum perché è il popolo che lo vuole, che lo chiede’; dall’ altro l’ Unione Europea non può intervenire in un Paese membro e, soprattutto, non può intervenire sulla Spagna che sta facendo quello che è corretto, sebbene dal punto di vista politico se ne possa disquisire. Dal punto di vista legale, il governo spagnolo ha il diritto di fare quel che sta facendo.

Tra l’altro, per seguire la questione, il Premier spagnolo Mariano Rajoy ha dovuto disertare il vertice informale sul digitale di Tallin previsto per oggi. In una lettera ai colleghi delle altre capitali europee, la sindaca di Barcellona, Ada Colau, ha chiesto una mediazione della Commissione Europea nella crisi catalana. Sarebbe possibile?

Lo vedo molto difficile dal momento che il governo spagnolo, come risposta a questa campagna così passionale della Catalogna, ha detto semplicemente che l’ indipendenza non ci sarà perché il referendum non è legale. Usa degli argomenti così giuridici per far fronte a qualcosa che viene dall’ animo. Quindi non credo che la Commissione che, tra l’altro, non è un organo eletto e che rappresenta la burocrazia europea, possa dare una risposta. La risposta, al limite, sarebbe dovuta venire dal governo spagnolo, ma sarebbe dovuta partire prima, basata sul dialogo, invece che sulla chiusura netta. Va considerato, inoltre, che in Catalogna non è stato organizzata neppure una campagna per il NO come, ad esempio, era avvenuto in Scozia. Il caso scozzese è diverso in quanto il referendum era legale. Tuttavia il governo britannico aveva agito in maniera intelligente, facendo in modo che il referendum ci fosse e che ci fosse anche una campagna per il NO che informasse i cittadini sulle conseguenze del NO. In realtà, le conseguenze del Sì in Catalogna saranno abbastanza gravi per i catalani stessi perché se il governo catalano dovesse dichiarare l’ indipendenza, prima di tutto, se dovesse riuscire a farlo, uscirebbe dall’ Unione Europea e non ci rientrerebbe mai più dato che la Spagna opporrà sempre il suo veto. Quindi avrà conseguenze estremamente forti. E la Spagna, al posto di usare argomentazioni di tipo politico, si limita ad usare l’ argomento giuridico, di incostituzionalità, che non fa presa sul cittadino. Non vedo come l’ UE possa intervenire se non dicendo che nel caso in cui la Catalogna diventasse indipendente in maniera anti-costituzionale, uscirebbe dall’ UE.

Anche la stabilità del governo spagnolo potrebbe subire un serio contraccolpo?

Sicuramente nel senso che se la risposta del governo Rajoy alla crisi dal punto di vista costituzionale e legale è legittima, dal punto di vista politico è un fallimento totale perché se prima della reazione del governo parte dei cittadini era indifferente al referendum o, comunque, non sarebbe andata a votare, adesso c’è un numero maggiore di cittadini che andrà a votare proprio perché ha visto la replica delle autorità di Madrid.  Quindi sicuramente avrà delle ripercussioni, qualora dovesse vincere il ‘Sì’ e qualora dovesse esserci la dichiarazione di indipendenza,  in quanto, in primo luogo, è un fallimento del governo spagnolo che non è stato in grado di bloccare il referendum. In secondo luogo, è un fallimento poiché non è riuscito a fare una campagna pro-spagnola, pro-unità. Ma è, soprattutto, un fallimento economico visto che la Catalogna rappresenta il 19% del PIL spagnolo. Quindi una regione molto ricca.

Pochi giorni fa, in occasione della visita di Rajoy alla Casa Bianca, Donald Trump ha dichiarato che «la Spagna è un grande Paese, e credo che debba restare unita». In occasione del referendum britannico sulla Brexit, da candidato, il Presidente americano aveva preso posizione a favore dell’ uscita del Regno Unito dalla UE. L’ Unione Europea ha dunque un nuovo alleato?

La mia idea è che agli Stati Uniti è sempre interessato avere un’ Unione Europea stabile dal punto di vista economico, ma non unita a livello politico. Quando si parla di stabilità di un Paese membro, certamente gli Stati Uniti sono i primi a supportare la stabilità dei singoli Stati membri. Quando poi si parla di creare un’ Unione politica a livello europeo, questo non interessa ali Stati Uniti. Diciamo che questo è stato l’ atteggiamento di tutti i Presidenti della politica estera americana: un’ Unione Europea dove ci sia pace, stabilità, possibilmente anche crescita economica, ma non unione politica, così da non diventare un attore competitivo nello schema globale. Quindi l’ atteggiamento di Trump è in linea con la politica estera americana: sostenere la stabilità dei singoli Paesi membri così che non ci siano crisi troppo forti a livello di Unione Europea, ma poi quando si discute una maggiore integrazione a livello politico, questo non deve essere ostacolato, ma nemmeno promosso. L’ instabilità a livello europeo creerebbe un altro ‘mal di testa’ agli Stati Uniti. C’è inoltre, un atteggiamento, di ‘disengagement’ militare che non può non accompagnarsi alla necessità di stabilità europea.

Qualche giorno fa, il Presidente francese Emmanuel Macron ha presentato alla Sorbona quella che secondo lui è la road map per accelerare il processo di integrazione europeo. Il referendum catalano potrebbe indebolire questa rinnovata spinta verso l’ unità?

Sicuramente non è positivo per l’ Unione Europea che il referendum in Catalogna porti la maggior parte dei cittadini a votare a favore dell’ indipendenza poiché in questo modo viene meno lo spirito di integrazione europea alla base dell’ idea dell’ ‘Ever closer union‘. Se, da un lato, a livello europeo, si sta tentando di andare verso un tasso di integrazione maggiore, dall’ altro, a livello nazionale, abbiamo movimenti indipendentistici. C’è quindi una sorta di scontro tra queste due idee. E’ vero che la Catalogna vuole rimanere all’ interno dell’ Unione Europea, ma non si può rimanere membri dell’ UE e poi  dichiararsi indipendenti dal Paese membro. Non è legittimo. Bisognerà vedere cosa voteranno i cittadini. Probabilmente voteranno a favore dell’ indipendenza, ma cosa succederà il giorno dopo? Ci sarà un dialogo tra il governo di Madrid e quello catalano? Che tipo di trattative vi saranno? Se la Spagna porterà avanti un atteggiamento molto duro, facendo finta semplicemente che il referendum non sia avvenuto e che i cittadini non vogliono l’ indipendenza, questo porterà conseguenze devastanti anche a livello europeo. A differenza di quanto sta accadendo in Kurdistan, in Catalogna non ci sono violazioni di diritti umani, non ci sono repressioni. Sono una forte sostenitrice del diritto di autodeterminazione dei popoli, ma nel caso spagnolo, mi sembra un po’ esagerato visto che non c’è stato alcun tipo di violazione dei diritti dei cittadini catalani. C’è stata solamente una richiesta di maggiore autonomia fiscale che non è stata concessa. Non si può fare un referendum senza informare i cittadini dei pro e dei contro: quindi il governo spagnolo avrebbe potuto organizzare una campagna per il “No” senza chiudere le porte.

Alcuni hanno sostenuto che la crisi catalana possa degenerare in una guerra civile. Secondo lei, c’è questo rischio?

Non lo vedevo fino a quando il governo spagnolo non è intervenuto per arrestare alcuni membri del governo che poi sono stati rilasciati. A livello mediatico e di percezione sociale, è stato veramente un duro colpo, nonostante, legalmente il governo spagnolo avesse il diritto di farlo. Bisogna poi però calarsi nel mood dei tempi. Una risposta così dura in un momento in cui in Unione Europea abbiamo movimenti populisti e nazionalisti non è proprio la mossa politica migliore. Se non c’è il rischio di guerra civile, c’è comunque il rischio di forte malcontento sociale.

Il referendum per l’ indipendenza catalana avrà, non solo sull’ Unione Europea, ma anche sugli altri Stati membri, lo stesso impatto che ha avuto la Brexit?

Dal punto di vista istituzionale no perché la Catalogna è una regione di uno Stato membro quindi è un po’ meno grave. Però, a livello politico, avrà un impatto forte soprattutto perché è passato in sordina. Non c’è stata grande attenzione da parte del governo spagnolo ed europeo di dialogare con i catalani, esponendo le conseguenze in caso di uscita. E’ stato un referendum non preso molto seriamente: è stata la stessa Spagna a far finta che non ci fosse pensando che riconoscendolo gli si desse legittimità. Credo che la conseguenza sarà quella politica, di andare a stimolare altri movimenti nazionalisti e populisti di altre regioni.

Nella partita per l’indipendenza catalana, quale ruolo ha giocato il populismo?

Certamente un ruolo importante. Gli argomenti usati possono essere giusti, ma è stata usata una retorica di estrema semplificazione. Dire che ‘il popolo catalano è sottomesso al governo spagnolo’ è una retorica populista che è stata alimentata dal governo di Madrid perché intervenendo con la forza, sono state legittimate queste istanze. I cittadini catalani hanno gli stessi diritti dei cittadini spagnoli. Il problema è che ne vogliono di più. La reazione spagnola è stata mal calcolata. Dal 2014 quanto c’è stato l’ ultimo ‘referendum’, il governo spagnolo aveva il tempo di dialogare e convincere i cittadini, soprattutto considerando il momento di crescita che sta vivendo l’economia.