«I nemici dell’Iran stanno cercando di creare insicurezza e sedizione nel Paese … l’obiettivo a breve termine del nemico è quello di interrompere il clima di sicurezza e provocare disordine e sedizione nel Paese».

 

Queste le parole della Guida suprema dell’Iran, ayatollah Sayyed Ali Khamenei, pronunciate all’Università Imam Hossein di Teheran. Venerdì 19 maggio si terranno le elezioni nella Repubblica degli Ayatollah. Sta per concludersi la campagna elettorale che ha visto fronteggiarsi sei candidati, ovvero coloro che avevano superato la selezione effettuata dall’ assemblea nominata dall’ Ayatollah, ossia il Consiglio dei Guardiani della Costituzione. Per essere dichiarato vincitore, il candidato deve aver ottenuto la metà più uno dei voti degli elettori, pena il rinvio ad una seconda sessione elettorale.

Anche se all’ interno della cornice della legge islamica, anche in Iran la competizione politica avviene, sostanzialmente, tra due schieramenti: uno più ‘conservatore’, di forte impronta nazionalista e rivoluzionaria, che tende ad essere  molto critica nei confronti dell’ Occidente, il ‘Grande Satana’ e preme affinché la Repubblica iraniana torni ad occupare un posto centrale nella scena internazionale; uno di natura, nei limiti del possibile, più ‘moderata’, che, accanto alla difesa dell’ interesse nazionale, pone la necessità del dialogo con i diversi attori globali, soprattutto con gli Stati Uniti. Anche se non è escluso che la Presidenza Trump possa raffreddare anche tali propositi.

E’ stata quest’ ultima la linea seguita dal Presidente uscente, ma di nuovo candidato per una seconda legislatura, Hassan Rouhani, il quale, attraverso un lento e faticoso lavoro diplomatico, è giunto, il 14 luglio del 2015 a firmare il JCPOA (Joint Comprehensive Plan Of Action), anche noto come accordo sul nucleare iraniano, sulla base del quale, in cambio delle limitazioni sul nucleare, sarebbero state cancellate le sanzioni che gravavano sull’ economia nazionale della Repubblica sciita. E probabilmente questo potrebbe costituire l’elemento o uno degli elementi in grado di determinare la vittoria o la sconfitta elettorale del candidato moderato.

Per comprendere meglio la questione dell’accordo sul nucleare iraniano in correlazione al possibile esito dell’imminente sessione elettorale, abbiamo chiesto a Farian Sabahi, docente di relazioni internazionali mediorientali presso l’ Università della Valle d’ Aosta, oltreché giornalista e scrittrice.

A negoziare il il JCPOA con l’ Iran sono stati l’ Unione Europea e 5+1 paesi: ossia i 5 paesi che hanno il seggio permanente all’ interno del Consiglio di Sicurezza dell’ ONU (Cina, Gran Bretagna, Francia, Russia, Stati Uniti) e la Germania. Va ricordato che il raggiungimento dell’ accordo non ha suscitato grandi simpatie verso Obama, soprattutto in quella parte dell’ establishment americano e degli alleati orientali, come Arabia Saudita e Israele, i quali si sono sentiti traditi dal loro grande protettore oltre-oceano.

Come ci ricorda la Professoressa Sabahi, “l’ accordo sul nucleare è stato vantaggioso per i 5+1, ossia quei Paesi che hanno firmato l’ accordo perché hanno scongiurato la guerra. Per l’ Iran è stato sicuramente vantaggioso perché ha rotto l’ isolamento del paese, reinserendolo sul piano diplomatico internazionale. Dal punto di vista economico dei 5+1, ha voluto dire riammettere a livello internazionale un paese grande 5 volte e mezzo l’ Italia, ricco di risorse minerarie ed energetiche, di 84 milioni di abitanti, quindi circa 80 milioni di potenziali consumatori di prodotti occidentali. Anche dal punto di vista economico per l’ Iran, è stato certamente un vantaggio. L’ aver rotto l’ isolamento è stato positivo. Sono ricominciati i rapporti bilaterali con l’ America, facilitati dall’ Oman”.

L’ accordo, che si associa alla risoluzione 2231 del 2015 dell’ ONU, richiede che l’arricchimento dell’uranio a Fordow e Natanz sia limitato e un reattore ad acqua pesante, quello ad Arak, abbia il nucleo reso inoperabile e quindi incompatibile con qualsiasi uso a livello bellico. Queste strutture vengono ora ripristinate per scopi di ricerca, industriali o medici, e sottoposti a ispezioni da parte dei controllori dell’ Organismo internazionale per l’energia atomica (IAEA).  L’obiettivo è anche quello di limitare la possibile costruzione segreta di un’arma nucleare da parte dell’Iran, imponendo un taglio del 98% sulla scorta dell’uranio arricchito e una moratoria di 15 anni sulla possibilità di arricchire l’uranio e una riduzione pari a due terzi sulle centrifughe.

Il direttore generale di questa agenzia, sulla base dei risultati delle ispezioni,  invia i reports trimestrali ai componenti il consiglio dello IAEA e ai membri del consiglio di sicurezza dell’ ONU. L’accordo ha previsto l’istituzione di una commissione in cui sono rappresentate tutte le parti che hanno preso parte al negoziato, ed è guidata da Federica Mogherini, a capo della politica estera dell’Unione Europea. La missione della commissione è  quella monitorare il rispetto dell’accordo.

Per rendere operante questo accordo, sono necessarie periodiche nuove risoluzioni da parte del Consiglio di Sicurezza dell’ ONU, per un tempo di dieci anni a partire dalla sottoscrizione dell’ accordo, in modo tale da rendere segnalabile da parte di ognuno dei cinque paesi del Consiglio di Sicurezza, la violazione dell’accordo. Fino ad oggi l’Iran ha rispettato gli accordi, sotto l’attenta osservazione degli ispettori internazionali.

Come contropartita, l’Unione Europea, l’ONU e soprattutto gli Stati Uniti si sono impegnati a far decadere le sanzioni, anche se negli USA, nonostante la revoca delle sanzioni sulle esportazioni petrolifere, ne rimangono delle altre come quelle (produzione missili, sostegno a organizzazioni terroristiche, violazione diritti umani) risalenti alla crisi degli ostaggi del 1979, anno in cui si scatenò la rivoluzione di Khomeyni.

Da questo punto di vista, però, “non sono state revocate”, dice la Professoressa Sabahi, “le sanzioni finanziarie da parte americana. Le banche hanno il terrore di fare affari con l’ Iran, per paura poi delle ripercussioni delle eventuali sanzioni americane. Bnp Paribas, Unicredit non hanno poi il coraggio di lavorare con l’ Iran”. Non venga tralasciato, inoltre, che è ancora in atto il congelamento di miliardi di dollari di beni iraniani esportati prima del 1979 e di cui la Repubblica Islamica chiede la restituzione. D’altro canto la posizione di Washington che blocca l’utilizzo del dollaro nelle transazioni bancarie, è stata denunciata da Teheran alla Corte Internazionale di Giustizia, accusando gli Stati Uniti dell’ ‘appropriazione indebita’ di circa 2 miliardi di dollari.

Perciò la prospettiva che si è aperta con l’Amministrazione Trump non è stata delle migliori, soprattutto “per chi ha firmato l’ accordo in Iran, ad esempio Rouhani, sentire tutte queste invettive da parte di Trump”. Anche se, continua la Professoressa, “sul lungo periodo, Trump essendo, comunque, un uomo d’ affari potrebbe avere interesse a un medioriente più stabile”, lasciando uno uno spiraglio alla possibilità di un miglioramento dei rapporti.

Nonostante il Fondo Monetario Internazionale(FMI) ha stimato che il PIL dell’Iran è cresciuto al 4,5% nel 2016, anche tentando di farsi nuovamente largo tra i membri dell’ OPEC,  rimane il fatto che, dall’ accordo, “la popolazione non ha visto cambiamento come si aspettava, cioè ci si aspettava qualcosa di più. Infatti i conservatori, e quella parte di popolazione, rimproverano a Rouhani di non aver fatto tutto quello che si sarebbe potuto fare. I benefici si fanno sentire molto più lentamente. Poi è ovvio che a Teheran si trova di tutto e di più, ma devi avere anche la possibilità di attrarre investimenti, di espanderti. Tante aziende vorrebbero vendere in Iran, ma l’ Iran ti chiede di delocalizzare, costruendo lì gli impianti produttivi e quindi dando lavoro agli iraniani. Non bisogna dimenticare che oltre Iran e Stati Uniti, sono  coinvolti anche Paesi europei”.

In conclusione, l’ accordo sul nucleare, che “è stato permesso dalla leadership suprema di Khamenei” potrebbe non avere un peso secondario nella vittoria o nella sconfitta del Presidente uscente Rouhani che, come sottolinea la Professoressa Sabahi, potrebbe essere vincente nella componente femminile dell’elettorato. Sulla partita di Venerdì prossimo che appare tutt’ altro che scontata soprattutto “se”- ricorda la docente dell’ Università di Aosta, “Ebrahim Raisi, il candidato conservatore, non dovesse vincere, potrebbe ambire ad una posizione più alta, tenendo conto che la grande poltrona in ballo rimane quella del leader supremo”.