Comincio questo articolo (difficilissimo, data la situazione, e ‘lungo’) da quelle che, come spero vedrete, saranno le conclusioni logiche.
La guerra non risolve, non ha mai risolto e non risolverà mai i problemi di fondo reali che l’hanno generata, tanto più se di natura politico-ideologica o sedicenti tali quando politica e ideologia siano fasulle come monete bucate. Perché una guerra presuppone uno scontro insanabile di idee e di interessi, dal quale nascono solo volontà di rivincita specie da parte di chi perda. Sempre che sia possibile definire chi perda o chi vinca in una guerra: eppure non si sente altro che dire, in questi giorni, che qualcuno deve ‘vincere’ la guerra, di volta in volta, quella in Ucraina, quella in Palestina, quella in Siria e così via … vincendo! Ho scritto su ‘L’Indro’ che la guerra in Ucraina sarebbe finita solo quando gli USA avessero cambiato politica, filosofia politica: e il cappello ridicolo della signora Trump è un cambiamento profondo di ‘modi di essere’ della politica statunitense.
Nel 1929, fu stipulato un trattato, cui aderirono la gran parte dei Paesi del mondo, per la ‘rinuncia alla guerra’ (il «Patto Briand-Kellogg») con grande perplessità degli USA (di cui Kellogg era Ministro degli Esteri!) che non volevano e, dopo nemmeno dieci anni, scoppiò la Seconda Guerra Mondiale.
Le guerre determinano gli odi e le vendette e sono determinate da odi e vendette. Ma la pace non deriva dalla mancanza di armi, dal ‘pacifismo’, ma dalla volontà di cercare, di fare la pace: sono parole (ripetute centinaia di volte) dal Papa, puntualmente accusato di essere ‘filo’-… qualcosa, ‘anti’-… qualcos’altro, fautore della resa e così via. L’unica strada praticabile per la pace è la trattativa nel rispetto del diritto, come mi accingo a spiegare, dopo aver raccontato della questione della Palestina. Sono pronto a scommettere che, al termine della lettura, molti di voi mi definiranno ‘anti’ o ‘filo’-… qualcosa.
Contrariamente a ciò che diceva – con grande e ammirevolepassione ma contribuendo alla confusione – Francesca Mannocchi la sera del 17 Gennaio 2025 a ‘Propagandalive’, la guerra non è cominciata, per dir così (orribile, lo so, ma questa è la guerra!), 47.000 + 1.200 morti fa – sempre che altri non ne arrivino fino all’inizio di una labilissima ‘tregua’, appunto tregua – ma molto prima, come dicevo addirittura nel 1907 (secondo congresso del partito sionista), e di ciò nessuno parla mai. Quella della Palestina è la prova provata che gli odi determinati le prepotenze non si sconfiggono con la forza, ma con la politica fondata sulle regole. Che, finché neutre (non ‘neutrali’, neutre che è ben altro!) possono risolvere gli odi … o almeno provarci, ma eliminarne le cause!
Il diritto internazionale, che è diritto in gran parte non scritto (quando si parla di ‘leggi’ internazionali, si dice una sciocchezza), afferma che un soggetto di diritto internazionale è tale se e finché riesca ad affermarsi come tale rispetto agli altri anche qualora la sua ‘formazione’ non sia legittima da un punto di vista strettamente giuridico. La cosa è molto meno astrusa di quanto non sembri. Nel diritto interno accade qualcosa del genere pr esempio con l’istituto dell’usucapione. Ma non voglio entrare in tecnicismi giuridici incomprensibili ai più, mi limito a ricordare che qualcosa del genere accade anche nel diritto interno, non per nulla inventato di romani.
Nel diritto internazionale, la stragrande (se non la totalità) dei soggetti, per lo più gli Stati, si sono formati così, magari su territori disabitati o poco abitati: di fatto e poi trovando accordi con gli altri, magari anche con l’uso della forza, ma, alla fine, ottenendo una sorta di consenso sia particolare che generale.
Questa realtà, è, ormai da oltre un secolo, ‘regolata’ dal principio di diritto internazionale detto «autodeterminazione dei popoli». In due parole (ma rendendo molto semplicisticamente un discorso giuridico molto complicato e articolato), l’assegnazione legittima, che è per lo più appropriazione, appropriazione di un territorio, è determinata, innanzitutto, dalla presenza sul territorio di un popolo che ne rivendichi la sovranità o ne vanti (ragionevolmente) il possesso da lungo tempo. In secondo luogo, è regolata dal diritto internazionale, sia generale che contrattuale. In due parole: la sovranità appartiene al popolo (guarda caso le prime parole della nostra Costituzione!) e, quindi, il vero e grosso problema diventa quello di identificare il popolo, al quale il diritto internazionale offre la propria garanzia: ‘sì quel territorio è tuo, tu ci costruisci uno Stato e quindi sei sovrano (tu, popolo, non lo stato) e da allora in poi guai a chi ti tocca quel territorio!’
Complicato, lo so: applichiamolo al caso della Palestina.
Cominciando proprio dal territorio. Che è quello della attuale Palestina attuale (Israele, ormai, più enclave abitate da palestinesi sotto continuo attacco), più una parte della attuale Giordania e un pezzetto della Siria, storicamente chiamato ‘terra di Canaan’, sulla quale hanno vissuto popolazioni diverse in maniera più o meno conflittuale, ivi compresa una popolazione monoteista, ebraica, tale più o meno a partire dal 600/500 avanti Cristo, in gran parte in fuga dall’Assiria. La Bibbia descrive bene il clima di conflittualità anche feroce di quelle terre. Una conflittualità durata fino alla conquista romana e alla nascita di Cristo e poi continuata fino ai giorni nostri, anche se si afferma che con la conquista romana gli ebrei dovettero lasciare la Palestina: sta in fatto che, all’inizio del 1900, gli ebrei in Palestina erano poco più di 300.000.La Bibbia narra delle lunghe guerre degli israeliti con le altre popolazioni del territorio: i Filistei, ad esempio! Chi non ricorda Sansone e Dalila, Davide e Golìa?
Ma questa è preistoria. Ciò che conta è che, in ‘epoca storica’, la presenza di persone di religione ebraica in Palestina è certa, ma è certamente una parte minoritaria, mentre molto diffusa è la popolazione europea di religione ebraica, pur se molto spesso gli ebrei sono stati malvisti e discriminati specialmente in Europa Orientale e in Russia. Che poi gli ebrei (quelli di vera religione ebraica, non i sionisti che sono un partito politico) si autodefiniscano ‘popolo di Dio’ è tutt’altra cosa.
A quelle persecuzioni e discriminazioni, alla fine del 1800, specie in Germania (e in Russia dove si chiamavano pogrom), si comincia a ‘opporre’ un movimento politico detto ‘sionismo’ (il cui dirigente più famoso è Theodore Herzl, fondatore del Movimento sionista vero e proprio) che, a partire dai primi del ‘900 (Congresso sionista del 1907), si propone di costruire (o di ri-costruire come dicono i sionisti) per gli ebrei una ‘patria’ ebraica, prima, addirittura, in Patagonia, poi in Uganda e, infine, in Palestina, all’epoca sotto dominazione ottomana, definita spesso «un territorio senza popolo» … e i Filistei/palestinesi? E infatti, a partire da quegli anni sempre più ebrei, specialmente europei orientali, si ‘trasferiscono’ in Palestina dove i correligionari sono ancora una minoranza sparuta, ma pacificamente accettata da tutti. E vi si trasferiscono spesso acquistando i terreni dai proprietari locali, per lo più il Governo ottomano sovrano sul territorio. Acquistare un terreno dello Stato, significa che i contadini che lo hanno in affitto o altro, lo perdono … perdono le loro case e quindi, spesso, ne vengono cacciati.
Durante la Prima Guerra Mondiale, stanti le necessità economiche gravissime della Gran Bretagna, quest’ultima, in vista di un grosso prestito da parte dei banchieri Rotschild, ‘promette’ ai banchieri, di costituire in Palestina, che si accinge ad occupare come Potenza coloniale, un cosiddetto ‘national home’ ebraico (Dichiarazione Balfour) e, quando, vinta la guerra, la Gran Bretagna entra in possesso della Palestina (grazie agli accordi Sykes-Picot, dove con un segno di matita si dividono il M.O la Francia e la Gran Bretagna), innanzitutto, la divide in due parti: una, la attuale Palestina, l’altra la futura Giordania. In secondo luogo, mette in pratica la Dichiarazione Balfour, favorendo in qualche modo una immigrazione di ebrei (per lo più europei orientali) in Palestina. Una cosa illecita, secondo il diritto internazionale odierno e del tempo, ma praticata molto spesso dalle Potenze coloniali, naturalmente a tempi alternate e con gli occhi ben chiusi!
Ed è a partire da quest’epoca, la fine della Prima Guerra Mondiale, che iniziano gli scontri tra la popolazione locale e gli immigrati ebrei (per lo più sionisti), sempre più ‘invadenti’ e che cercano sia di allontanare i palestinesi dal territorio (anche con l’uso della forza) sia, a ridosso della Seconda Guerra Mondiale, di allontanarne anche gli inglesi, non in grado o non intenzionati a mantenere un qualche equilibrio tra le popolazioni locali e i sempre più numerosi immigrati ebrei, che sono europei, estranei alla cultura locale.
La storia di quegli anni è lunga, convulsa e anche sanguinosa e culmina, dopo la Seconda Guerra Mondiale e il massacro degli ebrei in Europa ad opera dei tedeschi e degli italiani (e non solo!) nella, inedita, decisione britannica di abbandonare la Palestina in preda a scontri continui sia tra ebrei e arabi-palestinesi, sia tra ebrei e inglesi. La neonata Assemblea Generale delle Nazioni Unite si occupa della situazione conflittuale in Palestina e, il 29 Novembre 1947 adotta una risoluzione (la n. 181) in cui propone (l’Assemblea Generale delle NU non ha poteri obbligatori, emette solo “raccomandazioni”) la partizione della Palestina tra un costituendo Stato ebraico ed uno arabo, definito territorialmente sulla base della presunta maggior presenza ebraica in certe zone piuttosto che in altre.
Come è evidente, la storia di questi anni è troppo complicata e conflittuale per essere riassunta in un breve articolo. Mi limito, dunque a dire che la Gran Bretagna ‘abbandona’ ufficialmente la Palestina il 13 Maggio 1948 e lo Stato di Israele viene ‘dichiarato’ il 14 Maggio 1948. L’indicazione delle date serve a fare ben capire come la dichiarazione non sia una dichiarazione di indipendenza (mancherebbe, per così dire, il de cuius), ma di affermazione di uno Stato su un certo territorio, incidentalmente, quello indicato dalla risoluzione della Assemblea generale ONU, esplicitamente richiamata nella dichiarazione stessa, benché non obbligatoria! Per di più, il neonato Stato di Israele non solo resiste a un attacco militare degli Stati arabi confinanti e di parte della popolazione araba locale, ma contrattacca ed estende il proprio controllo su un territorio più vasto di quello di cui alla risoluzione 181.
In termini giuridici, ciò implica che, posto pure che Israele sia nata su territorio altrui (ma in realtà tecnicamente di nessuno, visto l’abbandono della Inghilterra), il fatto che sia riuscita a costituirsi e a mantenersi effettivamente su quel territorio, ne determina la piena legittimazione di diritto internazionale.
Al di là degli eventuali illeciti commessi prima della nascita di Israele (che, comunque, non la riguarderebbero), è ciò che accade dopo, che rende la situazione sempre più conflittuale fino a ciò cui stiamo assistendo oggi. La situazione diventa, infatti, un conflitto tra due popolazioni: l’una che cerca di acquisire il territorio ormai dell’altra, cacciandone la popolazione ed è rappresentata da un vero e proprio Stato, l’altra che cerca di cacciare la popolazione che considera estranea e riacquisire i territori, ma è priva di una rappresentanza formalizzata. Che si manifesta solo nella seconda metà degli anni ‘70 quando l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), acquisterà forza sufficiente per essere considerata un soggetto di diritto internazionale (in Italia abbiamo una rappresentanza diplomatica della Palestina, che noi ambiguamente non consideriamo ‘ambasciata’!) e poi, secondo le Nazioni Unite, un vero e proprio stato: lo stato di Palestina.
Per completezza di informazione, non va dimenticato sia che, al momento della nascita dello Stato di Israele, gli ebrei, nel costituendo Stato, erano circa 600.000 mentre gli arabi circa 1.200.000. sia che il fondatore dello Stato di Israele, David Ben Gurion, ne era tanto cosciente da elaborare il ben noto ‘Piano Dalet’, destinato a riequilibrare il divario di popolazione. Ma questo numero mi riporta al concetto di prima: il soggetto di diritto internazionale è il popolo, tutto il popolo!
Non vi è qui spazio per raccontare tutte le sfaccettature di un problema divenuto gigantesco e di violenza inaudita, da ambo le parti, terroristico e non, da ambo le parti. Salvo aggiungere che, avendo i Paesi arabi circostanti preso una posizione di aperta ostilità verso Israele, nel 1967, Israele, affermando di essere minacciata di una aggressione da parte di detti Paesi, li attacca preventivamente, occupando tutto il territorio della Palestina prefigurato dalle Nazioni Unite come destinato allo stato arabo-palestinese. Poi, i Paesi arabi contrattaccheranno con successo nel 1973, costringendo Israele a lasciare parte della Palestina. Le Nazioni Unite, questa volta il Consiglio di Sicurezza, (che ha poteri obbligtori!) risoluzione 242, poi replicata dopo la guerra del Kippur.
L’OLP, a sua volta, rivendica come proprio almeno il territorio (già, ma di fatto ancora in gran parte) sotto occupazione israeliana, e, con gli accordi di Oslo del 1991, ne ottiene un parziale riconoscimento anche da parte dello Stato di Israele, e costituisce su quei territori, in parte lasciati da Israele dopo l’accordo (la cosiddetta ‘Cisgiordania’ e la ‘Striscia di Gaza’), una sorta di Governo autonomo: l’Autorità Nazionale Palestinese. La ‘pacificazione’, che prevede la progressiva ‘restituzione’ dei territori e il ritiro delle Forze armate israeliane, dura solo poco oltre l’assassinio del Presidente israeliano Rabin (negoziatore degli accordi, morto il 4.11.1995) perché Israele disconosce gli accordi di Oslo e riprende le occupazioni di villaggi e territori arabo-palestinesi, anche in risposta, a più o meno presunti atti terroristici palestinesi: in particolare le due cosiddette ‘Intifada’: la prima, con le sole pietre!
Nel 2005 Israele, sotto la guida di Ariel Sharon, abbandona’ la cosiddetta ‘Striscia di Gaza’, obbligando i ‘coloni’ israeliani, che ne avevano occupata una parte (come accade quotidianamente in Cisgiordania), ad uscirne. La Striscia, però, diviene una enclave dalla quale non è possibile uscire e dove non è possibile entrare senza il permesso di Israele e, per lo più, nella parte confinante con l’Egitto, anche di quest’ultimo, priva di alcuna reale autonomia dato che perfino l’energia elettrica viene fornita solo da Israele, per non parlare dell’acqua e ai pescatori palestinesi è vietato pescare oltre le acque territoriali!
Da allora ad oggi, il conflitto, la lotta, le pretese, l’odio non si sono mai fermati. Fino all’atto di terrorismo del 7 Ottobre 2023 con i 1200 morti israeliani (e i circa 200 ‘ostaggi’) e i 47.000 morti palestinesi di Gaza. Non so se siano mai stati ‘contati’ i morti di questo secolare, sì secolare, conflitto. Ma so che per un giurista il numero non conta: conta anche un solo morto, perché uccidere è vietato … dal diritto.
Dopo un articolo così lungo, solo poche parole da giurista: poco più di un elenco di temi.
Il diritto internazionale moderno privilegia il diritto dei popoli, cioè delle persone e delle loro collettività, su quello degli Stati. È il popolo che definisce uno Stato e il suo territorio (Israele non ha confini definiti, al contrario di tutti gli Stati del mondo!).
La nascita di un soggetto deriva dalla sua capacità di affermarsi effettivamente anche su un territorio non ‘suo’, che abbia saputo acquisire, forse anche grazie ad un popolo creato ad hoc e il suo diritto ad esistere è un diritto assoluto: e il ‘popolo’ è tutto quello che ci abita, come insegnano tra l’altro o casi della Rhodesia e del Sudafrica, della Namibia, ecc.
Ma, nel momento stesso nel quale il diritto internazionale afferma rispetto a quell’ente, soggetto di diritto internazionale, quel diritto, lo stesso soggetto non può negare l’obbligo di rispettare a sua volte le stesse regole grazie alle quali è divenuto un soggetto, pena di non essere esso stesso parte della Comunità internazionale dalla quale chiede garanzia e protezione.
Il medesimo principio vale per ogni popolo e quindi sia per quello israeliano che per quello palestinese (e quindi anche per quello curdo e, a suo tempo, per quello armeno, ecc.), con i conseguenti doveri. E, dunque, così come non può essere considerato un reato il cosiddetto ‘attentato’ di via Rasella a Roma, ma un atto di guerra, egualmente non può essere contestata la legittimità di forza armata sia dei ‘terroristi’ palestinesi di Hamas della Jjhad o della OLP ecc., e anche, quindi, della Haganah, della ‘banda Stern’ della Irgun, e del IDF, ecc. Il che vuol dire che si applicano ad ambo le ‘parti’ le garanzie delle convenzioni di Ginevra sul diritto di occupazione bellica, ecc. Del resto, il mandato di cattura della Corte Penale italiana, schiaffeggiata oggi dal nostro Governo), c’è anche per i capi israeliani.
Le violazioni del ‘cessate il fuoco’ sono continue. E Israele ha incrementato l’occupazione di villaggi, terreni e case della Cisgiordania.
Il resto è storia da scrivere.
Diversamente, l’odio, l’unico sentimento che traspare in questa lotta ‘tribale’, come già ho scritto, seppellirà definitivamente il diritto, e il diritto internazionale in particolare, e con esso i diritti fondamentali dell’uomo.