La sua ‘missione’ è ricostruire l’impero sovietico e per questo non ha scrupolo a incarnare ed essere protagonista di una svolta autoritaria, verticistica, autocratica

 

 

 

  L’ultimo (per ora) a raccontare che la responsabilità della guerra scatenata dalla Russia di Vladimir Putin contro l’Ucraina in buona quota ricade sulla NATO è Nichi Vendola: “Fino all’anno prima ha fatto manovre ultra-provocatorie”.

  Ci si dovrebbe mettere d’accordo. Fino a “ieri” consideravano la NATO un inutile residuo della Guerra Fredda. Pericolosa e superata, inutile allo stesso tempo? La memoria non è una virtù diffusa.

  Vladimir Vladimirovič Putin, ex agente del Komitet Gosudarstvennoj Bezopasnosti (il famigerato KGB), inizia la sua carriera di politico nel 1991 come vicesindaco di San Pietroburgo, la città dove è nato. Cinque anni dopo si trasferisce a Mosca, si unisce all’amministrazione del presidente Boris Nikolaevič El’cin, dirige la Federál’naja služba bezopásnosti (FSB), il ‘servizio’ che differisce dal KGB solo per il nome. Nell’agosto 1999 El’cin lo nomina Primo ministro; dopo le sue dimissioni viene eletto suo successore.

  Putin eredita una situazione disastrosa dal punto di vista economico, politicamente instabile: il Cremlino è preda di fazioni e gruppi di potere in lotta tra loro; inoltre, l’ex impero sovietico è scosso da profonde pulsioni autonomiste e separatiste; gli attentati sono all’ordine del giorno; la Cecenia lotta per la sua indipendenza.

  Il 1 ottobre 1999 Mosca dà il via a una feroce, brutale, offensiva di terra e di aria. I russi non si fanno scrupolo di colpire le popolazioni civili. L’episodio più noto il 21 ottobre: la strage a un mercato di Grozny, la capitale cecena: 140 vittime, tante donne e bambini, centinaia i feriti. Una settimana dopo viene bombardato un convoglio di profughi, 25 morti, tra loro volontari della Croce Rossa e giornalisti.

Il 31 dicembre 1999 El’cin si dimette, Putin assume l’interim. Nel marzo 2000 è confermato al Cremlino, con il 53% dei voti. Il 7 maggio 2000 si insedia come Presidente; un mese dopo colloca un suo uomo di fiducia a capo dell’amministrazione cecena. Tutti sanno delle brutali e sistematiche violazioni dei diritti umani in Cecenia. La Comunità internazionale non batte ciglio. Anzi: i rapporti con la Russia sono perfino buoni. Nel 2007 il gruppo dei paesi più industrializzati del mondo di cui fa parte anche l’Italia (G7), si allarga alla Russia. Putin resta presidente fino al 2008: allora la Costituzione russa non consente un ulteriore mandato; al Cremlino “sale” uno stretto collaboratore di Putin, Dmitrij Medvedev; Putin è nominato primo ministro, ma è lui che comanda.

  In quei giorni la Georgia, che fa parte della Comunità degli stati indipendenti (buona parte delle ex repubbliche sovietiche), cerca di affrancarsi dall’influenza di Mosca; Abkhazia e Ossezia del Sud, regioni georgiane russofile sobillate da Mosca, si oppongono a queste aspirazioni autonomistiche. La notte del 7 agosto 2008 la Georgia bombarda la capitale sud-osseta Tskhinvali, centinaia i morti. L’occasione attesa da Mosca che interviene militarmente; la Georgia dichiara lo stato di guerra, il conflitto si allarga in Abkhazia. Il 12 agosto si raggiunge un accordo per il cessate il fuoco mediato dall’allora presidente francese Nicholas Sarkozy. Mosca poi riconosce l’indipendenza delle due repubbliche separatiste.

  Nel marzo 2012 Putin si ricandida alla presidenza, vince con il 64% dei voti. Da allora è sempre stato presidente, la riforma costituzionale varata su suo impulso gli consente di candidarsi per altri due mandati e restare al potere fino al 2035.

  Il 2014 è l’anno dell’Ucraina. A Piazza Maidan a Kjiv gravi scontri e massicce proteste contro il governo filo-russo di Viktor Fedorovyč Janukovyč, che alla fine viene sfiduciato dal Parlamento. Putin reagisce mandando soldati russi senza mostrine né a bandiere a occupare militarmente la penisola di Crimea, che viene annessa ufficialmente il 18 marzo.

  Putin apre anche altri fronti. A settembre 2015 la Russia entra attivamente nel conflitto in Siria, a fianco del governo di Bashar Assad e contro le fazioni ribelli. L’intervento russo consente al regime di Damasco di riconquistare gran parte del paese a spese della popolazione civile massacrata dai bombardamenti. In Siria in 11 anni di guerra ci sono stati più di 400mila morti e 11 milioni di profughi.

  È poi la volta di un’altra ex repubblica sovietica, il Kazakhistan. Putin invia le forze armate ad aiutare il presidente Kassym-Jomart Tokayev per reprimere le proteste innescate dall’aumento dei prezzi dell’energia.

  E la NATO? È evidente che in questa situazione paesi come la Cecoslovacchia o la Polonia, le tre repubbliche baltiche (Estonia, Lettonia, Lituania), dove fresco è il ricordo della dittatura sovietica, guardino a Occidente e all’ombrello NATO; che ci vanno con i proverbiali piedi di piombo. È stato il presidente democratico Bill Clinton a spegnere le speranze di una Cecenia indipendente, quando proclama che Mosca aveva la sovranità su quei territori. Occidente e NATO assistono impassibili quando nel 2008 la Georgia reagisce militarmente alle provocazioni militari degli osseti, che vengono prontamente ‘soccorsi’ da Mosca. Ed è sempre Mosca che provoca: lanciando droni sul territorio polacco; sabotando l’aereo dove viaggia la presidente Ursula von der Leyen, costringendolo a un atterraggio di emergenza…

  La storia non si fa con i ‘se’. Tutto sommato è sterile operazione domandarsi ‘se’ l’Occidente e la NATO dovevano mantenere una politica di apertura come con Michail Sergeevič Gorbačëv prima, El’cin poi. Le situazioni, i personaggi nel contesto internazionale non sono riproducibili. Putin, anche per personali vicende, patisce traumi psicologi estranei ai suoi due predecessori; la sua ‘missione’ è ricostruire l’impero sovietico e per questo non ha scrupolo a incarnare ed essere protagonista di una svolta autoritaria, verticistica, autocratica. Non si può e non si deve dimenticare la sua spietata e sistematica repressione di ogni opposizione interna, caratterizzata da omicidi, avvelenamenti, detenzioni in gulag siberiani.

  Che Putin si faccia interprete della ‘narrazione’ che impossessandosi del Donbass, di Mariupol, della Crimea, del mare d’Azov difende la Russia dalle minacce e dalle mire della NATO, lo si può anche capire. Che lo di dica anche in Occidente significa che si è letteralmente, tecnicamente, ignoranti o in malafede. Tertium non datur.