La soluzione è chiara: smantellare questo sistema letale e restituire la consegna degli aiuti ad agenzie neutrali come l’Agenzia delle Nazioni Unite

 

 

Almeno 32 persone sono state uccise e più di 100 ferite quando le truppe israeliane hanno aperto il fuoco vicino a un sito di distribuzione alimentare, gestito da un gruppo sostenuto dagli Stati Uniti e da Israele nel sud di Gaza. Le sparatorie sono avvenute vicino agli hub gestiti dalla Gaza Humanitarian Foundation che ha sostituito le agenzie delle Nazioni Unite come principale distributore di aiuti nel territorio. Questo sembra essere l’ultimo episodio di violenza legata al sistema di distribuzione alimentare a Gaza. Questi non sono incidenti, ma il prevedibile risultato di un sistema che attira persone disperate in trappole militarizzate. La Gaza Humanitarian Foundation è diventata una condanna a morte per centinaia di persone.

Secondo i dati delle Nazioni Unite, più di 670 palestinesi sono stati uccisi da maggio nei pressi dei siti. Famiglie affamate, spinte dalla fame dopo mesi di blocco, attraversano le zone di combattimento solo per affrontare spari, carri armati e droni. I testimoni descrivono il caos: forze israeliane che sparano su folle, corpi che si accumulano, sopravvissuti che fuggono a mani vuote. L’ironia è grottesca: l’aiuto destinato a salvare vite umane è un’esca per i massacri.

L’installazione della Fondazione Umanitaria di Gaza non è un caso. Sostenuto da 30 milioni di dollari dagli Stati Uniti e supervisionato dall’esercito israeliano, aggira le reti di aiuti consolidate come l’Agenzia delle Nazioni Unite per i soccorsi e le opere.

Le Nazioni Unite hanno condannato questo come una violazione dei principi umanitari, con il segretario generale António Guterres che lo ha definito “intrinsecamente pericoloso”. Eppure Washington continua a finanziare e legittimare questo sistema, inquadrandolo come un modo per impedire agli aiuti di raggiungere Hamas, un’affermazione non provata che maschera un intento più oscuro.

Questo non è aiuto; è controllo mascherato da compassione. Incanalando persone disperate in zone militarizzate, la Gaza Humanitarian Foundation trasforma la fame in un’arma. Il blocco di Israele, che ha soffocato Gaza per 11 settimane prima dell’inizio di questo sistema, ha creato la fame che guida queste folle. Gli Stati Uniti, nonostante la loro retorica di preoccupazione, hanno dato il via libera a un meccanismo che mette in pericolo le vite proteggendo Israele dalla responsabilità.

La soluzione è chiara: smantellare questo sistema letale e restituire la consegna degli aiuti ad agenzie neutrali come l’Agenzia delle Nazioni Unite. A differenza della Fondazione umanitaria di Gaza, l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e i lavori ha decenni di esperienza nella distribuzione di aiuti in tutta Gaza, raggiungendo milioni di persone senza costringerli a zone di combattimento. La sua rete, sebbene tesa dalle restrizioni di Israele, opera sui principi di imparzialità e sicurezza, non sulla militarizzazione. Oltre 170 enti di beneficenza, tra cui Oxfam e Save the Children, hanno chiesto la chiusura della Fondazione umanitaria di Gaza, definendola una violazione delle norme umanitarie. Un boicottaggio di questo sistema, da parte di governi, donatori e gruppi di aiuto, è essenziale. Gli Stati devono fare pressione su Israele per aprire tutti i valichi di frontiera, consentendo l’accesso senza ostacoli per cibo, forniture mediche e carburante. La Corte internazionale di giustizia ha ordinato a Israele di garantire che gli aiuti raggiungano Gaza senza indugio; il rispetto non è facoltativo.

La controargomentazione, espressa da Israele e funzionari statunitensi, è che la Fondazione umanitaria di Gaza impedisce a Hamas di sifonare aiuti, un’affermazione che dicono giustifichi il suo approccio militarizzato. Sostengono che i canali di aiuto tradizionali sono compromessi, citando segnalazioni non verificate di sacchi. Eppure le Nazioni Unite e i gruppi umanitari lo contestano, non trovando prove di diversione sistematica da parte di Hamas. Anche se vero, la soluzione non può essere di mettere ulteriormente in pericolo i civili. Le azioni dell’esercito israeliano – si spingono su folle disarmate – minano qualsiasi pretesa di necessità morale.

Il mondo non può distogliere lo sguardo. La morte di 32 persone a Rafah non sono tragedie isolate, ma sintomi di un sistema progettato per fallire. La vera solidarietà significa rifiutare questa farsa e chiedere aiuti che salvano vite, non le finiscano. Boicotta la Fondazione Umanitaria di Gaza. Finanzia l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e i lavori. Ritenere responsabile Israele e i suoi sostenitori. Strappiamo la maschera umanitaria e chiamiamola quello che è: un campo di sterminio.

Di Brabim Karki

Brabim Karki è un collaboratore di The Independent, Nikkei Asia, The Globe and Mail, The Hill, South China Morning Post, The Japan Times, The Straits Times tra cui altri, e autore di due romanzi "Mayur Albatross" e "Osin Fisher".