Scompare un simbolo di stile e coerenza. La sua ‘lezione’? I valori della sottrazione e della semplicità

 

 

Eleganza: secondo il canone stilato dal lord George Bryan Brummel, sinonimo da sempre di gentleman inglese,per essere eleganti non bisogna farsi notare, bisogna proscrivere i profumi, bandire i colori violenti e ricercare le armonie neutre o fredde, valorizzare l’accessorio, perché da esso dipende l’armonia generale dell’abito”. È lui che detta le ‘regole’ della moda e dello stile.

  E il genio? In cosa consiste il genio? Qui soccorre Giorgio Perozzi, uno dei mitici personaggi di ‘Amici miei’: “E’ fantasia, intuizione, colpo d’occhio e velocità d’esecuzione”.

  Unite le due definizioni, ed ecco Giorgio Armani, il ‘re’: nel campo della moda, simbolo di stile e coerenza. Piacentino: controllata esuberanza emiliana ‘inquinata’ da pragmatica efficienza lombarda; una carriera che ‘esplode’ quando ha quarant’anni, nel 1975. Un crescendo, da allora: la Giorgio Armani Spa di fatto è un’azienda che opera nei campi della moda, del design, del lusso. Con il suo compagno di vita Sergio Galeotti fonda un gruppo che disegna, produce e ‘firma’ prodotti che non sono solo abiti: si spazia dagli occhiali agli orologi, gioielli, cosmetici, profumi, mobili, arredi. Un marchio internazionale, ovunque conosciuto e apprezzato.

  Decine le copertine di riviste di mezzo mondo, tutta la Hollywood che si inchina e rende omaggio al suo genio, a un’etica professionale che coniugadedizione e infaticabile passione. Proverbiale la sua ‘maniacalità’: i suoi collaboratori ben conoscevano il suo essere perfezionista, la cura nel controllare personalmente ogni vetrina, i dettagli delle sfilate. Una decina d’anni fa aveva dato alle stampe un libro illustrato con foto private e personali che ne racconta la vita:Per amore’, non per caso il titolo.Sono pragmatico e razionale, ma le mie azioni vengono tutte dal cuore”, dice quando gli viene conferita la laurea honoris causa. “Sono un creativo razionale, ma la spinta nasce sempre dalla passione, da un’intuizione e dal desiderio bruciante di realizzarla. Ogni idea, in fondo, è frutto di un innamoramento e questo lavoro, che per me è la vita, è un atto continuo di amore”.

  In quell’occasione confida di uno dei momenti più duri della sua vita, la morte del socio e compagno Sergio, con cui aveva fondato con lui la Giorgio Armani.Il destino mi ha messo a dura prova e, a seguito della scomparsa del mio socio, per far sì che l’azienda sopravvivesse, me ne sono dovuto occupare di persona. Molti pensavano che non ce l’avrei fatta, ma grazie alla mia caparbietà e al sostegno delle persone a me vicine, sono riuscito ad andare avanti”.

  Momenti difficili, questo il ‘messaggio’ sotteso, superati con l’impegno e la dedizione e il rigore, i valori che ho assimilato in famiglia e che raccomando sempre di seguire per dar forma a ciò in cui si crede, ancora di più oggi che si moltiplicano i successi effimeri perché ciò che chiede impegno dura”.

  La caparbietà, ecco un’altra delle ‘cifre’ del carattere di Armani:Non sono un visionario, ma una persona con i piedi per terra. Vivo la quotidianità in un mondo che ho pensato di poter servire, cui essere utile con questo lavoro”. Così, passo dopo passo, Armani cambia il modo di vestire di uomini e donne,e questa è una delle più grandi soddisfazioni. Ho fatto la mia rivoluzione, sottile e sussurrata, ma pesante scardinando delle regole dell’abbigliamento che c’erano da 30-40 anni, come proporre un abito da sera con il tacco basso, togliere rigidità alla giacca, immaginare che una donna potesse essere vestita come un uomo”.

  Una ‘rivoluzione’, teorizzava, discreta e silenziosa che ha cambiato nel profondo la società: pragmatico come si definiva, ma contemporaneamente visionario; del resto, la contraddizione è solo apparente. Eleganza non è farsi notare, ma essere ricordati” una delle sue frasi più famose (e qui, l’eco di lord Brummel). Uno stile fatto di beneficenza non sventolata, spesso ignorata dagli stessi beneficiari, e di biglietti autografi di ringraziamento a chi aveva partecipato ai suoi eventi. Forse la definizione che più gli si addice e che maggiormente avrebbe gradito: ‘Un signore nell’animo’.

  L’ultimo sogno realizzato: la Capannina di Forte dei Marmi: “Questa acquisizione rappresenta un gesto affettivo”. Alla Capannina, negli anni Sessanta, aveva conosciuto Sergio. 

  In vista dei cinquant’anni della maison, Armani ha recentemente rilasciato una lunga intervista al paludato ‘Financial Times’, una sorta di ‘testamento’: La mia più grande debolezza è che controllo tutto, racconta. Fino all’ultimo, anche se era infiacchito, tormentato da quell’infezione polmonare che lo aveva costretto a un ricovero e costretto a non presenziare alla sfilata della sua collezione di giugno e luglio, e che comunque aveva supervisionato da remoto:Ho curato ogni aspetto a distanza tramite collegamento video, dalle prove allea sequenza al make up. Al ‘Financial Timesconfida che anche quello che si vedrà in autunno alla Pinacoteca di Brera è stato fatto sotto la mia direzione e approvazione.

 

  Un impero, quello di Armani: basti dire che iricavi netti nel 2024 hanno raggiunto i 2,3 miliardi di euro. Sempre al ‘Financial Timessi è definito ‘workaholic’, con un solo un rimpianto: “Aver passato troppe ore a lavorare e non abbastanza tempo con amici e familiari“.

  Nell’intervista parla del suo percorso: “All’inizio volevo semplicemente vestire le persone, e in fondo è ancora così. La mia forza è credere nelle mie idee e avere la determinazione, a volte la testardaggine, per portarle avanti“.

 Alla domanda se la sua moda, che privilegia lo stile alle tendenze del momento, possa essere considerata ‘anti-fashion’, risponde: Anche se la mia mentalità è molto lontana dalla volatilità a volte frenetica della moda, non mi piace particolarmente essere etichettato anti-fashion. La mia è una posizione in cui lo stile prevale sulla tendenza effimera che cambiano senza motivo. E confida la grande soddisfazione per il fatto che i suoi capi, creati cinquant’anni fa, siano ancora oggi apprezzati e ricercati: Se quello che ho creato mezzo secolo fa è apprezzato da un pubblico che all’epoca non era nemmeno nato, questa è la ricompensa più grande.

  La sua ‘lezione’? I valori della sottrazione e della semplicità. Assimilati, probabilmente, fin da ragazzino, una sua storia che comincia a Piacenza, l’11 luglio 1934: famiglia semplice, secondo di tre figli. Il padre Ugo, prima impiegato alla Federazione del Fascio, poi in un’azienda di trasporti. La madre Maria, che fin da piccola sa cosa sia il sugo del sale: “Quando mia nonna morì di spagnola lei era ancora piccola, ma dovette ugualmente prendersi cura di una nidiata di ben undici fratelli”, ricordava Armani. Infanzia attraversata dalle ombre del fascismo e dagli orrori della guerra:Ricordo le adunate, le divise di figlio della lupa. Da bambini il fascismo ci stimolava, ma poi venne la guerra. Bombardarono la nostra casa, morirono sotto le macerie i miei due amichetti, uno di tre e uno di sei anni”. Lui viene ferito dallo scoppio di polvere da sparo: “Sono finito in ospedale per venti giorni con un’ustione di terzo grado!”.

  È da quelle esperienze che impara il senso della misura, la sua estetica: “I miei mi passavano i vestiti di mio fratello maggiore, perché non avevano soldi per comperare cose diverse da ciò che era indispensabile per vivere. Ero consapevole dei loro sforzi, e questo accentuava il mio senso di responsabilità e la stima che provavo per loro, per quel modo silenzioso e dignitoso di fare fronte alle difficoltà”.

  A sedici anni lascia Piacenza per Milano: Piacenza significava un piccolo mondo nel quale noi vivevamo tranquilli e protettiA Milano mi ero fatto un piccolo gruppo di amici. La domenica andavamo al parco a scattare fotografie. Facevo molte foto anche a mia sorella Rosanna, che poi diventò una modella di successo”.

  Studia medicina, aspira un futuro simile ai medicidi campagna come quelli raccontati nei romanzi di Cronin. S’accorge presto che quella non è la sua strada. Si impiega alla Rinascente: assistente alle vetrine, poi l’ufficio acquisti; un buon apprendistato:Fu una interessante scuola formativa, che mi avrebbe indirizzato verso il comparto dell’abbigliamento”. Il passaggio successivo è da Nino Cerruti: anni di allestimento di collezioni maschili, affina gusti e allena l’occhio in vista della “sua” rivoluzione. La svolta, umana e professionale con Sergio Galeotti:Lo avevo conosciuto durante una vacanza a Forte dei Marmi,mi aveva subito colpito per la sua generosità e le sue esuberanti doti umane. Sta di fatto che, sorretti da un grande feeling, decidemmo di metterci insieme, lui come imprenditore e io come creativo”. Aprono uno studio a Milano: due stanze dalle parti di corso Venezia. È lì che nasce la “rivoluzione” Armani. L’idea è quella di “smontarela giacca: “Alleggerirla, renderla una seconda pelle. Gli abiti tradizionali mi deprimevano. Ho voluto personalizzare la giacca, per armonizzarla maggiormente a chi l’avrebbe indossata, rimuovendone la struttura”.

  È fatta. Quella giacca destrutturata libera uomini e donne dalle ‘impalcature’ rigide, trasforma l’eleganza in comfort e naturalezza. Negli anni Ottanta arriva ‘American Gigolò, nel 1982 la copertina di ‘Time’, prima di lui era stata dedicata solo a Christian DiorIl resto è cronaca che diventa storia di un made in Italy conosciuto e celebrato, più unico che raro.