La politica dissennata del Presidente americano consente sia a Putin sia a Xi di portare dalla propria parte il cosiddetto Sud Globale

 

 

  Non c’è che dire: Donald Trump, in carica dal 20 gennaio scorso, meno di otto mesi, ha già combinato una quantità di disastri come nessun altro suo predecessore. Se esiste, può legittimamente candidarsi al premio per il peggiore presidente della storia degli Stati Uniti d’America. Altro che premio Nobel per la pace, o figurare sul Mount Rushmore National Memorial in Dakota del Sud, accanto ai volti scolpiti di George Washington, Thomas Jefferson, Theodore Roosevelt e Abraham Lincoln. Di questo passo la sua memoria offuscherà quella di Andrew Johnson, ritenuto dalla maggior parte degli storici un pessimo presidente; rivaleggerà egregiamente con James Buchanan, cui si imputa il non aver saputo prevenire la Guerra civile; o Warren G. Harding, il cui mandato è contrassegnato da scandali e corruzioni.

 Sul fronte interno Trump ha letteralmente sconvolto l’economia con un’assurda politica dei dazi e con le sue ondivaghe, umorali decisioni “bruciato” letteralmente milioni di dollari (contemporaneamente, ha però assicurato a famigli e amici, lauti guadagni, grazie allo spregiudicato e sfacciato uso dell’insider trading). Massacra quotidianamente lo Stato di diritto, minaccia i diritti costituzionali, le prerogative di quegli istituti che i Padri della Costituzione posero a garanzia e salvaguardia dagli abusi del Potere; usa e abusa dei poteri presidenziali. Vendicativo, presuntuoso, arrogante, si comporta come il classico elefante nel negozio di cristallerie. All’estero, si fa prendere in giro dall’autocrate Vladimir Putin che sistematicamente minaccia a vuoto e che, comunque, neppure troppo segretamente ammira e invidia. È riuscito a consolidare un fronte anti-occidentale e anti-americano: gli Stati Uniti si isolano in un fragile bunker protezionista, e si dividono dai paesi un tempo amici dell’Europa. Gelidi i rapporti con due grandi paesi vicini, il Canada e il Messico. Due storici antagonisti, India e Cina si avvicinano. Alle spalle, dimenticati al momento, i violenti contrasti per quel che riguarda il controllo del Kashmir; alle spalle l’ostilità con il Pakistan (che proprio in funzione anti-India è da sempre fedele sodale della Cina). In compenso i rapporti con l’India, costruiti faticosamente in vent’anni, si sono sfaldati in poche settimane. Il primo ministro NarendraModi, accolto con tutti gli onori al vertice di Tianjin in Cina da Xi Jinping, ora dice papale papale: “Possiamo fare a meno dell’America”. Una smargiassata, forse; ma qualche anno fa si sarebbe ben guardato dal manifestarla. Oltretutto all’India non è piaciuto il modo in cui il presidente americano si è voluto attribuire il merito della fine delle ostilità scoppiate fra India e Pakistan.

  La Russia di Putin appare tutt’altro che isolata, comunque non si stacca dalla Cina; gli Stati Uniti non paghi del solco aperto con l’Europa, hanno controversie con due storici alleati nel Pacifico, la Corea del Sud e il Giappone.

  Xi e Putin hanno tutte le ragioni per dire: grazie Trump.

La politica dissennata del presidente americano consente sia a Putin sia a Xi di portare dalla propria parte il cosiddetto Sud Globale. A fronte di un Trump che si comporta come un cow boy ubriaco, Xi si presenta come un pacioso e ragionevole leader globale che predica stabilità e mantiene rapporti con tutti.

   Grazie a Trump il G7 di fatto è paralizzato. Il presidente americano ha riabilitato Putin con l’inconcludente vertice in Alaska, che imperterrito prosegue la sua guerra in Ucraina. In Africa si fronteggiano Russia, Cina, Turchia. Non c’è ombra di presenza americana strategica o tattica che sia. Non c’è che dire: con la sua visione infantile e la sua politica arrogante e presuntuosa Trump ha realizzato un disastroso capolavoro. Aggravato dal fatto che l’Europa assiste a questo sfacelo inerte e impotente. Incapace di qualsivoglia iniziativa politica propositiva, l’Unione Europea è ferma, immobile, subisce e patisce, impotente come nel famoso “Don Rafé” di Fabrizio De Andrési costerna, s’indigna, s’impegna poi getta la spugna con gran dignità”.