Dovrà pur esserci un responsabile della ‘linea’ di comando militare e politica che ha preso (o non ha preso) le necessarie decisioni, che, ben applicate avrebbero salvato la vita di molti naufraghi e, specialmente, non sottoposto ad inutili sofferenze dei naufraghi

 

 

 

«1. Ai fini della presente convenzione, il termine ‘tortura’ indica qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine di …  punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso, o è sospettata aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o su una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o sofferenze siano inflitte da un agente della funzione pubblica o da ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale, o su sua istigazione, o con il suo consenso espresso o tacito.  … »; Art. 14: « 1. Ogni Stato parte garantisce, nel suo sistema giuridico, alla vittima di un atto di tortura, il diritto di ottenere riparazione e di essere equamente risarcito ed in maniera adeguata, inclusi i mezzi necessari alla sua riabilitazione più completa possibile. In caso di morte della vittima, risultante da un atto di tortura, gli aventi causa di quest’ultima hanno diritto al risarcimento. … .»

Questo è il testo, tradotto dal Ministero degli Estri italiano, della Convenzione di New York del 26.6.1987, redatto in ambito ONU, contro la tortura e altri trattamenti e punizioni crudeli, inumani o degradanti, del 10.12.1984, entrata in vigore il 26.6.1987.

A seguito di questa Convenzione, ratificata in Italia con legge 3.11.1988 n. 498 , il Parlamento italiano adotta una legge con la quale interviene sull’articolo 693 del codice penale, aggiungendovi gli articoli 693 bis e ter. Il primo recita: «Art. 613-bis (Tortura). – «Chiunque, con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa, è punito con la pena della reclusione da quattro a dieci anni se il fatto è commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona.», al comma due, la disposizione aggiunge: «Se i fatti di cui al primo comma sono commessi da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, la pena è della reclusione da cinque a dodici anni.»  L’art 693 ter afferma invece: «Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio il quale, nell’esercizio delle funzioni o del servizio, istiga in modo concretamente idoneo altro pubblico ufficiale o altro incaricato di un pubblico servizio a commettere il delitto di tortura, se l’istigazione non è accolta ovvero se l’istigazione è accolta ma il delitto non è commesso, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni». Cioè se anche il dipendente rifiuta l’ordine, il suo capo è punito egualmente. Il che implica che, secondo quanto prevede lo Statuto della Corte penale internazionale, l’esecutore di ordini ha il diritto e il dovere di non eseguire quegli ordini. “Dovere” perché se non esercita il suo diritto a rifiutare l’ordine, è punito come il suo capo.

Difficile immaginare disposizioni più chiare, benché scritte in modo pedestre. E non escludono comunque le disposizioni della Convenzione eventualmente non tradotte adeguatamente nell’ordinamento italiano, che a norma di Costituzione (art. 117 co 1 Costituzione) prevalgono o integrano la legge italiana.

Che, peraltro e va detto chiaro, in quanto ratificate ed entrate in vigore in Italia, a norma di Costituzione, sono valide in sé e interamente, e prevalgono sulla legislazione italiana in caso di conflitto. Non solo, ma il giudice, nell’applicarle, deve tenere conto della interpretazione della Convenzione stessa negli altri Stati parte.

Qualche giorno fa, sono accaduti due fatti, molto significativi a questo fine.

Un barcone, partito dalla Libia o dalla Tunisia, è entrato nelle acque territoriali italiane, è stato avvistato da un elicottero di un giornalista, che ha avvisato le autorità della Guardia costiera e della Guardia di finanza … tanto por non fare mai mancare le ridondanze e quindi i maggiori costi! La Guardia costiera, in porto, avuta la segnalazione dalla Guardia di finanza che aveva a sua volta controllato la notizia del giornalista, è partita alla ricerca del barcone, che, raggiunto, si è capovolto, per responsabilità di chi non si sa, per cui molti dei passeggeri sono morti.

Una nave di non ricordo quale organizzazione privata dedita al salvataggio di naufraghi nel Mediterraneo, ha raccolto in mare circa 40 naufraghi, fuori delle acque costiere libiche e anche italiane, cioè in mare libero. Cosa doverosa al 100% anche se la nave è stata fatta segno a colpi di armi da fuoco da battelli libici, in parte donati dall’Italia ai libici! Ha chiesto l’indicazione alle autorità italiane di un ‘porto sicuro’ di attracco per scaricarvi i naufraghi.

Penso che non vi siano molti dubbi sul fatto che quei naufraghi fossero in condizioni alquanto peggiori dei 5 o 6.000 passeggeri di un nave italiana, che è andata in avaria a largo di Capri, ma sono stati immediatamente riportati a Napoli, assistiti, rifocillati, tranquillizzati, forse risarciti, ecc.

Per quelli salvati in mare dall’affogamento non è andata così. Il Ministero dell’Interno, in persona del suo titolare (che se ne vanta) ha indicato alla nave della ONG in pieno Mediterraneo meridionale di scaricare i naufraghi a  … Genova: circa 1.300 km di navigazione. Il comandante si è rifiutato e dopo poche ore li ha sbarcati a Trapani, con le conseguenze che tutti sappiamo.

Ora, per il primo caso, la domanda da porsi è: che fa la Guardia costiera nei porti, visto che almeno fino a 30 miglia la sorveglianza è di sua competenza e quel tratto di mare è affollato come Piazza Colonna a Roma. Lo Stato, la Guardia Costiera, che appartiene allo Stato, sembra che non sorvegli quei tratti di mare in continuazione come, direi, è il suo mestiere e ha bisogno di avviso da privati o dalla Guardia di Finanze, che non è chiaro che c’entri. Ma, se tanto mi dà tanto, in secondo luogo è lecito chiedersi quante altre barche siano affondate nel Mediterraneo senza alcuna nostra conoscenza. Solo per trasparenza, questo dato dovrebbe essere fornito a tutti e continuamente. Anche perché, il solo fatto che la Guarda Costiera non sia in mare potrebbe integrare un reato, con dolo specifico.

Quanto al secondo caso, la cosa è ancora più grave. Perché qui al dolo specifico del mancato controllo di quella parte di mare, c’è il deliberato reato di ‘tortura’, dato che quei naufraghi, salvati in parte, sono stati indirizzati a Genova: cioè il porto più lontano possibile, raggiungibile in molti giorni di navigazione realizzando l’ipotesi dell’articolo 1 della Convenzione e cioè infliggendo « ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali».

Dovrà pur esserci un responsabile della ‘linea’ di comando militare e politica che ha preso (o non ha preso) le necessarie decisioni, che, ben applicate avrebbero salvato la vita di molti naufraghi e, specialmente, non sottoposto ad inutili sofferenze dei naufraghi, per sgraditi che siano.

C’è un giudice a Roma disposto a studiare la cosa, prima di diventare un ubbidiente dipendente del Ministero dell’interno?

Di Giancarlo Guarino

Giancarlo Guarino è Professore ordinario, fuori ruolo, di Diritto Internazionale presso la Facoltà di Economia dell’Università di Napoli Federico II. Autore di varie pubblicazioni scientifiche, specialmente in tema di autodeterminazione dei popoli, diritto penale internazionale, Palestina e Siria, estradizione e migrazioni. Collabora saltuariamente ad alcuni organi di stampa. È Presidente della Fondazione Arangio-Ruiz per il diritto internazionale, che, tra l’altro, distribuisce borse di studio per dottorati di ricerca e assegni di ricerca nelle Università italiane e straniere. Non ha mai avuto incarichi pubblico/politici, salvo quelli universitari.