Ben venticinque Paesi, non solo europei, hanno sottoscritto una dichiarazione, mai come questa volta così decisa e inequivoca, di condanna delle azioni israeliane a Gaza e Cisgiordania. Brilla la presenza, tra i firmatari, di Gran Bretagna, UE e Italia e l’assenza di USA e Germania

 

 

In un articolo di qualche giorno fa avevo espresso una critica, rispettosa ma ferma, sulle parole del Papa sulla situazione a Gaza, fondata sul fatto che la dichiarazione del Papa, appariva motivata essenzialmente dalla circostanza per cui questa volta erano stati colpiti palestinesi cristiani e bombardata un Chiesa cattolica.

Il tono della dichiarazione di Leone XIV, infatti, era particolarmente fermo e deciso rispetto ai pur non pochi richiami alla pace in Medio Oriente: c’era una maggiore fermezza di toni in quelle parole, rispetto al, purtroppo, solito, anche se nei giorni immediatamente successivi il Pontefice era tornato con decisione sul tema.

A quanto sembrerebbe, quelle parole hanno determinato un effetto inatteso e importante, molto importante.

Infatti, ben venticinque Paesi non solo europei, hanno sottoscritto, il 21.7.2025, una dichiarazione, leggibile sul sito del nostro Ministero degli esteri, mai come questa volta così decisa e inequivoca. Come vedremo fra un istante, è proprio questa seconda caratteristica a fare la differenza.

Tra i paesi firmatari, brilla la presenza della Gran Bretagna, Paese che oltre ad essere all’origine della situazione palestinese è anche il Paese più vicino agli USA di tutti gli altri, Australia e Nuova Zelanda incluse. E questo è un punto tutt’altro che di secondaria importanza, vista la posizione estremamente pro-Israele degli USA.

Firmataria è anche l’Italia. E qui, per il poco o nulla che importi oramai la nostra posizione nella politica internazionale, siamo ad una svolta. Una svolta, al solito di questo Governo dalle mille facce, improvvisa e non sottolineata, nascosta addirittura. Fino a ieri, il nostro Governo si era segnalato per i toni evasivi e ‘comprensivi’ verso Israele; oggi i toni sono quelli duri della dichiarazione, tutt’altro che evasiva.

Infine, tra i firmatari tra i quali ovviamente mancano gli USA, c’è la Commissione europea per l’eguaglianza la preparazione e la gestione delle crisi. A parte il nome che suona un po’ strano in italiano, è molto rilevante che la Commissione europea abbia firmato quella dichiarazione, il che dà voce alla UE in quanto tale … certo, se la avesse sottoscritta Ursula von der Leyen sarebbe stato meglio, ma all’ambiguità politica non vi è mai limite.

E dunque, vediamo subito perché è importante che abbia firmato la Commissione europea. Di fronte ai toni estremamente netti della dichiarazione, la Commissione, sottoscrivendola, non potrà (non potrebbe, figuriamoci) sottrarsi alla evidente ed immediata logica conseguenza: la denuncia (cioè la cancellazione) di quell’accordo di associazione tra l’UE e Israele del 11.5.1975, che finora – auspice entusiasta la ‘politica’ italiana – ha rifiutato di annullare, dove all’art. 2 è esplicitamene prevista la condizione del rispetto dei diritti dell’uomo. Resterebbe così soltanto quello con la Palestina del 1997 e 2005. Ma, ed è ancora più importante, ora non potrà più la stessa Commissione (e gli stati firmatari di quella dichiarazione) eludere il tema della illiceità della occupazione del territorio palestinese definito di fatto nel 1948, ma riconosciuto esplicitamente nella sua estensione, almeno in quel momento storico del 2010, nella sentenza della Corte di Giustizia europea del 25.02.2010 in materia commerciale , dove se ne tiene conto per definire il Paese di provenienza di certi prodotti ai fini tariffari.

Vi sono, però, altri punti da segnalare, riguardo alla dichiarazione. Essa, infatti, esordisce finalmente senza mezzi termini o ambiguità con una frase netta: «la guerra a Gaza deve finire ora». Ma poi la dichiarazione prosegue di nuovo con inattesa chiarezza, definendo in termini espliciti la criminosità del modo in cui vengono distribuiti gli ‘aiuti’ alla popolazione civile palestinese, un’accusa precisa contro una organizzazione tesa esplicitamente ad uccidere: «Condanniamo il rilascio a rilento degli aiuti umanitari e l’uccisione disumana di civili, compresi bambini, mentre cercano di soddisfare i propri bisogni essenziali di acqua e cibo. È agghiacciante che oltre 800 palestinesi siano stati uccisi mentre tentavano di accedere agli aiuti». La terminologia è tutt’altro che ‘diplomatica’ e sarà d’ora in poi molto difficile parlare di ‘errori’!

Tanto più che la dichiarazione affonda il colpo, quando afferma senza mezzi termini: «Chiediamo a tutte le parti di proteggere i civili e di rispettare pienamente gli obblighi previsti dal diritto umanitario internazionale. Le proposte di trasferire la popolazione palestinese in una ‘città umanitaria’ sono del tutto inaccettabili. Lo sfollamento forzato permanente costituisce una violazione del diritto umanitario internazionale», rendendo così impossibile ad Israele di sfuggire all’accusa di voler creare dei giganteschi campi di concentramento, su un territorio, che la stessa dichiarazione definisce esplicitamente illecitamente occupato, con una, di nuovo esplicita, condanna dei cosiddetti ‘coloni’ israeliani che si appropriano con la violenza del territorio palestinese scacciandone gli abitanti.

Beninteso non intendo dire che ciò risolva la situazione, ma è certo che in quella dichiarazione si pongono basi molto chiare e inequivocabili per una accusa e una condanna per genocidio non tanto e non soltanto per Netanyahu, che è solo un fantoccio del narcisismo e della megalomania sionista, ma purtroppo, per l’onore e la rispettabilità umana e civile di Israele e dei suoi abitanti. Ma specialmente, si pongono delle basi più solide del solito per affrontare la questione alla radice, superando la pratica israeliana del ‘fatto compiuto’, finora consolidata da un preoccupante successo.

Certo: coraggio e lealtà a parte!

Di Giancarlo Guarino

Giancarlo Guarino è Professore ordinario, fuori ruolo, di Diritto Internazionale presso la Facoltà di Economia dell’Università di Napoli Federico II. Autore di varie pubblicazioni scientifiche, specialmente in tema di autodeterminazione dei popoli, diritto penale internazionale, Palestina e Siria, estradizione e migrazioni. Collabora saltuariamente ad alcuni organi di stampa. È Presidente della Fondazione Arangio-Ruiz per il diritto internazionale, che, tra l’altro, distribuisce borse di studio per dottorati di ricerca e assegni di ricerca nelle Università italiane e straniere. Non ha mai avuto incarichi pubblico/politici, salvo quelli universitari.