Nel silenzio di tutti, il governo Netanyahu creerà il più grande campo di concentramento mai visto nella storia
Concludevo un paio di giorni fa un mio articolo parlando della vergogna, che sembrava, allora sembrava, rappresentare per l’umanità, ma specialmente per i filo-israeliani, il comportamento e le presunte decisioni di Israele nei confronti dei palestinesi.
Ora, dopo l’orgia di incontri di Netanyahu con Trump e suoi tirapiedi, sembra che i due (perché sono in pieno accordo a quanto pare) abbiano deciso di fare ciò che si diceva: creare il più grande campo di concentramento mai visto nella storia dell’umanità.
Titolari di un cinismo unico al mondo, pari forse (ma gli faccio un complimento) a quello di Giosuè quando distrugge Gerico, chiameranno quel luogo infame ‘città umanitaria’, senza vergognarsi, e vi spingeranno a forza, cioè vi deporteranno, oltre 600.000 palestinesi, quelli ormai senza più nulla, quelli ai quali hanno tolto tutto. E gli diranno anche che da lì «non potranno più uscire se non per andarsene definitivamente»!
Quanto agli ‘altri’ superstiti di Gaza poco meno di due milioni, compreso un numero immenso di feriti gravissimi e amputati specialmente bambini (e non è un caso) saranno concentrati fuori della città umanitaria (di fatto un altro campo di concentramento gigante) in una zona minuscola residua della già piccolissima e sovraffollata striscia di Gaza, privi di tutto a cominciare dall’acqua (ai margini del deserto del Negev, sottratto alla Palestina da Israele nella ‘guerra’ del 1948) e privi anche loro di tutto, prigionieri formalmente non recintati, ma senza via di uscita: affamabili come gli altri 600.000, chiusi nella stessa prigione nella quale sono stati chiusi a suo tempo da Sharon e compagni, solo molto più piccola.
Ma attenzione, stiamo parlando di Israele, il paese simbolo di libertà e di democrazia, di liberazione e di lotta contro l’oppressione, bandiera degli oppressi e dei massacrati, titolari della ‘esclusiva’ sul concetto di genocidio, per cui in realtà, testuale: «i palestinesi sono liberi di andarsene», almeno quelli che non vengano semplicemente deportati in Somalia, Sudan e Libia.
E Israele le cose quando le dice le fa. Secondo la pochissima stampa che se ne occupa, il problema che si è posto il Governo israeliano, già prima della partenza di Netanyahu per le festose cene con Trump e famiglia, non è stato un qualche minimo dubbio sulla legittimità, o almeno sulla umanità, della proposta, ma solo quello del modo per ‘spianare il terreno’, liberato dagli incomodi palestinesi. Ma Netanyahu ha rassicurato i suoi democratici e pii colleghi: “tranquilli, ho già ordinato sei mesi fa dieci D9 e sono già arrivati ad Haifa”. I D9 sono degli enormi bulldozer che gli israeliani usano spesso per spianare le case e i terreni dei palestinesi in Cisgiordania, insieme a quelli dotati di una specie di gigantesco trapano sul di dietro e che, camminando, sfondano le strade palestinesi, strappano i sottoservizi, eccetera. Evviva la tecnologia. Ma, certo, quegli oggetti si consumano e quindi bisognava procurarsene di nuovi: detto, fatto!
Rispetto a questo progetto, pare, sia un po’ critico un certo Amos Goldberg (non per nulla ‘storico dell’Olocausto’ nell’Università di Gerusalemme!) che, a proposito della ‘città umanitaria’ pare abbia affermato: «Non è né umanitario né una città … una città è un luogo dove hai possibilità di lavorare, di guadagnare denaro, di stabilire relazioni e libertà di movimento. Ci sono ospedali, scuole, università e uffici. Non è questo che (Netanyahu e i suoi ministri) hanno in mente. Non sarà un luogo vivibile». Apprezziamo il tono distaccato e freddamente scientifico dell’analisi: noi non ci avremmo mai pensato.
Colpisce anche, che, come ai tempi della guerra del Vietnam dicevano i soldati e i generali statunitensi, un certo ‘analista bellico‘ israeliano, osservi: «Gaza non è un ghetto, né un campo di concentramento », e quindi lamenta i limiti che l’offensiva israeliana incontra a Gaza dove l’esercito combatte «con una mano legata dietro la schiena» perché sa che potrebbe colpire anche gli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas». Notate bene, potrebbe colpire gli ostaggi, mica per altro.
I limiti, appunto. Perché in quella che ormai appare come una mania, una paranoia narcisistica collettiva, largamente condivisa dall’intero popolo israeliano e dalla maggioranza dei suoi sostenitori all’estero (specie in USA), l’imitazione, l’idea di procedere sulle orme della Bibbia, traspare in ogni decisione, visto che ripete ostentatamente i comportamenti descritti in brani famosi: Giosuè 6. 20-21: «Il popolo lanciò il grido di guerra e suonarono le trombe. Come il popolo udì il suono della tromba e lanciò un grande grido di guerra, le mura della città crollarono su sé stesse; il popolo salì verso la città, ciascuno diritto davanti a sé, e si impadronirono della città. Votarono allo sterminio tutto quanto c’era in città: uomini e donne, giovani e vecchi, buoi, pecore e asini, tutto passarono a fil di spada».
La tentazione di molti, purtroppo, come in un bell’articolo di oggi sul Manifesto, di Widad Tamini è di ridurre tutto alla responsabilità del ‘cattivo’ Netanyahu: «Dunque a Netanyahu e a chi osa imbrattare il nostro nome anche solo ringraziando un uomo, uno Stato … dico una cosa e una soltanto: non in nome di tutti gli ebrei del mondo»: belle parole, ma è tutta colpa di Netanyahu? Del resto da noi, e lo ho già scritto, c’è chi conta i morti palestinesi, ma li ‘mette in conto’ ad Hamas.
Eh no, così non funziona. Ricordate? Quando si parla dei tanti crimini della seconda guerra mondiale si dice spesso “i fascisti fecero, i nazisti, i nazi-fascisti” ecc., dimenticando che si trattava e si tratta di italiani e tedeschi, ecc. Fascismo e razzismo non furono ‘colpa’ solo di Hitler e Mussolini, è troppo comodo!
Beninteso tutto accadrà un po’ alla volta, come fin dall’inizio della vicenda di cui sto parlando, ma la direzione è quella.
Ma ciò che mi turba di più, al di là dello scandaloso ‘dibattito’ sulla natura giuridica di ciò che accade, se sia o meno genocidio, è il plumbeo, indifferente silenzio della nostra ‘politica’, ma specialmente della stampa, di fronte ad un massacro ormai unico al mondo, che dura da oltre cento anni.