Secondo l’articolo 56 del Protocollo I alle Convenzioni di Ginevra, le installazioni contenenti forze pericolose non devono essere attaccate se tale attacco può provocare il rilascio di energie letali e, di conseguenza, causare gravi perdite tra la popolazione civile
Il diritto internazionale -nello specifico i trattati in materia nucleare e il diritto internazionale umanitario (DIU)– limita e vieta espressamente gli attacchi contro siti e installazioni nucleari, soprattutto per proteggere la popolazione civile e prevenire catastrofi ambientali.
Il Diritto internazionale umanitario è molto chiaro, in particolare con i due Protocolli Aggiuntivi alle Convenzioni di Ginevra del 1977. L’Articolo 56 del Protocollo I (1977) stabilisce che: “Le opere e le installazioni che contengono forze pericolose, come dighe, argini e centrali nucleari, non devono essere oggetto di attacco, anche se si tratta di obiettivi militari, se tale attacco può provocare il rilascio di forze pericolose e, di conseguenza, causare gravi perdite tra la popolazione civile.”
Dunque, secondo l’articolo 56 del Protocollo I alle Convenzioni di Ginevra, le installazioni contenenti forze pericolose, come appunto le centrali nucleari, non devono essere attaccate se tale attacco può provocare il rilascio di energie letali e, di conseguenza, causare gravi perdite tra la popolazione civile.
Viene concessa una deroga solo se tali installazioni sono utilizzate in modo regolare e diretto a sostegno di operazioni militari e l’attacco deve rappresentare l’unico mezzo attuabile per porre fine a tale uso.
Anche se certa dottrina militare sostiene che le installazioni nucleari possano diventare obiettivi militari legittimi in circostanze specifiche, la maggior parte dei giuristi concorda che tali attacchi comportino rischi significativi per la popolazione civile e l’ambiente.
Anche al di là dell’articolo 56 I del protocollo aggiuntivo del 1977, gli stessi principi generali del DIU rafforzano la protezione delle installazioni nucleari avverso gli attacchi bellici.
Il Principio di distinzione, in base al quale durante un attacco si deve distinguere tra obiettivi civili e militari, fa concludere che le installazioni nucleari aventi natura civile non possono considerarsi obiettivo bellico legittimo.
Il Principio di proporzionalità, per cui un attacco non è lecito se causa danni eccessivi ai civili rispetto al prevedibile conseguimento di un vantaggio militare concreto e diretto.
La Precauzione negli attacchi secondo il quale le parti in conflitto devono prendere tutte le misure possibili per evitare o minimizzare danni alla popolazione civile.
Anche il Trattato di non proliferazione nucleare (TNP), pur non vietando esplicitamente gli attacchi contro siti nucleari, mira alla sicurezza nucleare, alla non proliferazione e all’uso pacifico dell’energia nucleare, determinando che un attacco contro un impianto nucleare civile violerebbe lo spirito intrinseco del trattato.
Può richiamarsi altresì la Convenzione sulla protezione fisica dei materiali nucleari (datata 1980 ed emendata nel 2005) che stabilisce obblighi per gli Stati riguardo la protezione dei materiali e degli impianti nucleari da sabotaggi e da atti di terrorismo. Anche se tale ultima fonte non riguarda direttamente il diritto dei conflitti armati, mette in luce l’importanza accordata a livello internazionale alla protezione di tali siti.
Un attacco a un sito nucleare può provocare rilascio di radiazioni su larga scala, contaminazione ambientale duratura nonché morte e sofferenza tra i civili, anche in territori lontani.