“Quello USA è un cattolicesimo completamente assorbito dal sistema politico ed economico americano. Un’ ‘americanizzazione’ su cui l’idolatria del ‘trumpismo’ ha fatto leva. Obiettivo non è fare lo scisma, bensì conquistare tutto, convincendo il resto degli americani che il vero cattolicesimo è quello USA, non quello romano”. Intervista a Massimo Faggioli, Professore ordinario nel dipartimento di Teologia e Scienze religiose alla Villanova University di Philadelphia
‘Trump Bless America (first)’ si potrebbe ironicamente intitolare -parafrasando una canzone patriottica americana scritta da Irving Berlin durante la prima guerra mondiale nel 1918 e rivisitata da lui stesso in vista della seconda guerra mondiale nel 1938, successivamente incisa da Kate Smith- il fotomontaggio pubblicato dall’account della Casa Bianca e da quello personale di Donald Trump su Truth, in cui il Presidente degli Stati Uniti appare vestito da Sommo Pontefice, a pochi giorni dalla scomparsa di Papa Francesco e dall’inizio del Conclave previsto per il 7 maggio. Nell’immagine è raffigurato il tycoon in abito talare, con la mitra, il crocifisso al collo e in un atto non proprio benedicente quasi più islamico che cristiano.
“I media fake news non amano gli scherzi”, ha detto Donald Trump, nello Studio Ovale, rispondendo a una domanda di un giornalista dopo le critiche. “Non ho niente a che fare” con quell’immagine, “l’ha fatta qualcuno, non ne so nulla”, ha sottolineato il tycoon, affermando che l’immagine è stata fatta con “l’intelligenza artificiale”. “Mia moglie ha pensato che era carina” – ha scherzato il presidente – “se fossi un Papa non mi sarei potuto sposare”.
È già la seconda volta che l’inquilino della Casa Bianca accosta, ironicamente, la propria immagine al soglio pontificio: «Vorrei diventare papa. Sarebbe la mia prima scelta. Penso che sarei un grande papa. Nessuno lo farebbe meglio di me», aveva detto pochi giorni fa. La sua simpatica per la carica papale è, con ogni probabilità, conseguenza per la sua affezione ad un contesto poco democratico ed ad una forma di leadership personalistica, che nomina dall’alto, quasi escludente per le donne.
Questa volta, la Conferenza episcopale dello Stato di New York ha criticato pubblicamente il post del Presidente Usa, Donald Trump, in cui si ritrae nelle vesti di Papa. «Non c’è niente di intelligente o divertente in questa immagine, signor presidente. Abbiamo appena seppellito il nostro amato papa Francesco e i cardinali stanno per entrare in un solenne Conclave per eleggere un nuovo successore di San Pietro. Non ci faccia il verso» si legge in un post sull’account ufficiale della Conferenza episcopale. Perfino il cardinale di New York, Timothy Michael Dolan, elettore nel Conclave (così come nel 2013) e che Trump non aveva nascosto gli piacerebbe diventasse il prossimo pontefice («Devo dire che c’è un cardinale di un posto chiamato New York che è molto bravo. Vedremo cosa succede») ha preso le distanze, parlando di «una brutta figura». Non è la prima, verrebbe da dire, se si rammenta il cordoglio espresso da Trump per la morte del Pontefice affiancato ad un uomo travestito da coniglio pasquale, durante l’annuale Easter Egg Roll della Casa Bianca: “Era un brav’uomo, lavorava sodo, amava il mondo”, ha detto dopo aver ordinato che le bandiere degli Stati Uniti e degli stati fossero calate a mezz’asta. “I cattolici mi hanno appoggiato, mi dispiace per loro perché lo amavano”. L’amministrazione Trump sta “riportando la religione in America”, ha aggiunto.
Certo è che Trump sembra non avere remore a superare ogni limite, anche nella sfera religiosa: è di poche settimane fa l’immagine di Trump con la Bibbia o del presidente raccolto in preghiera mentre viene benedetto dai pastori evangelici del neocostituito ‘Ufficio della fede’, diretto dalla predicatrice Paula White.
Ancor prima, il richiamo, nel suo discorso di inaugurazione, al sentirsi il predestinato, l’eletto di Dio – “La mia vita è stata salvata da Dio per rendere di nuovo grande l’America” – giurando su due Bibbie, una ricevuta in regalo dalla madre, l’altra quella celeberrima di Abraham Lincoln, e poi la benedizione impartita da tre leader religiosi, il rabbino Ari Berman, il pastore Lorenzo Sewell di Detroit e il reverendo Frank Mann, della diocesi di Brooklyn.
Quello che può sembrare una caricatura, è, invece, un vero e proprio programma politico, con tanto di simboli e di linguaggio, che sembra puntare ad assorbire, a convertire il cattolicesimo fino a ‘trumpizzarlo’, mescolandolo con altri valori che vanno dall’individualismo esasperato alla cosiddetta ‘teologia della prosperità’ per cui Dio benedice i ricchi (e i Paesi ricchi). Tutto il contrario della visione di Bergoglio, il ‘Papa degli ultimi’, che la tv conservatrice ‘Fox News’, aveva invece bollato come “l’Obama della Chiesa Cattolica”.
Da imperatore quale si crede di essere (un altro post di dubbio gusto sembra confermarlo), Trump pare interessato ad una consacrazione di tipo religioso. Ancor di più, abbattendo il moderno confine tra ‘Stato’ e ‘Chiesa’, il ‘trumpismo’ non solo ‘messianizza’ Donald Trump -che rivendica di aver avuto salva la vita da Dio per ‘rendere l’America di nuovo grande’- ma pretende di appropriarsi di Dio, non solo nazionalizzarlo -come accadeva fino agli anni ‘2000- rendendolo il Dio di una parte, la propria, e non di tutti.
Alle elezioni presidenziali del 2024, a detta del ‘Washington Post’, il 56 per cento del voto cattolico è andato a Trump contro il 41 per cento a Harris. Fra i cattolici bianchi, la percentuale sale al 60 per cento, mentre fra neri e ispanici ha prevalso la candidata democratica (rispettivamente con l’81 e con il 58 per cento). E’ un cambiamento netto, nel complesso: quattro anni fa, fu Biden a prevalere con il 52 per cento.
Tuttavia, come dimostrano Jeff Diamant e Patricia Tevington del Pew Research Center che hanno sondato l’opinione pubblica statunitense circa il Pontefice argentino, Papa Francesco è stato ampiamente popolare tra i cattolici USA, che rappresentano circa il 18-20% del Paese, per tutto il suo pontificato. Almeno l’80% dei cattolici ha espresso un’opinione favorevole su di lui in 10 dei 15 sondaggi realizzati dallo stesso istituto fin dal 2013. Il suo momento di ‘consenso’ più alto è stato del 90% a febbraio 2015. Nel sondaggio più recente – condotto dal 3 al 9 febbraio 2025, poco prima del recente ricovero in ospedale – il 78% dei cattolici degli Stati Uniti hanno espresso una visione positiva di lui. Di questi, l’88% tra i democratici o che propendono verso il Partito Democratico esprimono una visione positiva di lui, rispetto al 69% tra i repubblicani e i sostenitori repubblicani.
Quando fu eletto nel 2013, Trump elogiò Bergoglio come “un uomo umile, molto simile a me”. Così disse il tycoon che undici anni dopo si è definito l’unto del Signore che lo ha “salvato dall’attentato per rendere l’America nuovamente grande”. Le loro strade si sono incrociate nel settembre 2015, durante la prima visita ufficiale di Francesco in America, appena tre mesi dopo che Trump aveva annunciato la sua corsa alla Casa Bianca. Il Papa fece numerose dichiarazioni progressiste su temi controversi come l’immigrazione, il cambiamento climatico, la giustizia sociale e la compassione verso le persone Lgbtq+: un messaggio chiaro contro le prime bordate del tycoon. La prima frattura risale al febbraio 2016, quando Bergoglio, di ritorno dal Messico, criticò duramente la promessa elettorale di Trump di costruire il famigerato muro: “Una persona che pensa solo a costruire muri, ovunque essi siano, e non a costruire ponti, non è cristiana”. Commenti “scandalosi”, replicò furente l’interessato, aggiungendo: “Se e quando il Vaticano sarà attaccato dall’Isis vi posso garantire che il Papa avrà solo desiderato e pregato affinché Donald Trump fosse presidente”
Nonostante le tensioni, Francesco lo ricevette in Vaticano nel 2017 per 30 minuti: una visita apparentemente cordiale, “fantastica” nelle parole di Trump. Ma le foto virali dell’incontro mostrarono un Papa poco entusiasta. Poche ore prima del giuramento nel gennaio di quest’anno, il pontefice gli inviò un messaggio augurando prosperità agli Stati Uniti, descritti come “una terra di opportunità e accoglienza per tutti”, e invitando il presidente “a costruire una società più giusta, in cui non ci sia spazio per odio, discriminazione o esclusione”. Ma un mese dopo Bergoglio lanciò una dura critica alle deportazioni di massa di Trump: “Ciò che è costruito sulla forza, e non sulla verità dell’uguale dignità di ogni essere umano, inizia male e finirà male”, scrisse in una lettera ai vescovi americani, denunciando che l’espulsione di “persone che spesso hanno lasciato i loro Paesi per motivi di estrema povertà, insicurezza, sfruttamento, persecuzione o grave degrado ambientale, mina la dignità di molti uomini e donne”.
Lo zar dei confini Tom Homan lo attaccò frontalmente (“Vorrei che si concentrasse sulla Chiesa cattolica e lasciasse che fossimo noi a occuparci dei confini”), mentre il vicepresidente JD Vance se la prese con la conferenza episcopale Usa, accusata di pensare più ai contributi milionari che riceve per gli immigrati illegali che a ragioni umanitarie. Uno scontro finito in tribunale, con i vescovi che hanno fatto causa all’amministrazione per aver tagliato il sostegno al programma di reinsediamento dei rifugiati.
Ma, facendo ciò, il ‘trumpismo’ ha, di fatto, portato alla luce le contraddizioni interne alla Chiesa cattolica americana ed alla sua gerarchia, che, almeno in parte, sembrano sempre meno sintonizzate con la Chiesa di Roma e con il Papato. Per paradosso, ma neanche poi tanto, le criticità sono andate aumentando proprio con un Papa sudamericano, la cui visione anti-imperialista, anti-capitalista non favoriva la sintonia con gli USA. A ciò contribuivano anche le posizioni di Bergoglio in tema di migranti, clima, aborto, inclusione di donne, coppie gay e sinodalità.
Negli Stati Uniti, l’episcopato si è diviso fra un’alta gerarchia conservatrice e un’alta progressista promossa da Francesco. Quando si prende in considerazione, basta guardare alle creazioni cardinalizie di McElroy a Washington, di Cupich a Chicago, di Tobin a Newark. Robert Walter McElroy era vescovo di San Diego quando Francesco lo ha messo a capo della chiesa della capitale USA, Washington, proprio mentre Trump nominava ambasciatore Usa presso la Santa Sede Brian Burch, un conservatore anti-Bergoglio. L’attuale vescovo di Washington ha criticato l’uso dell’Eucaristia come strumento politico e sostenuto una Chiesa più inclusiva e orientata verso i poveri.
Di orientamento simile, James F. Tobin, arcivescovo di Newark, noto per il suo impegno per i diritti umani e la lotta alla povertà, in pieno allineamento con la visione di Bergoglio. Anche Wilton Daniel Gregory, primo cardinale afroamericano, presenta un profilo ostile al trumpismo così come Blase J. Cupich, arcivescovo di Chicago, promotore della sinodalità e di una Chiesa aperta ai temi della giustizia sociale, immigrazione e diritti delle donne.
Di contro, oltre ad una base gerarchica giovani seminaristi, tradizionalisti legati alle forme e ai riti pre conciliari, c’è l’alta gerarchia conservatrice, legata a doppio filo al ‘trumpismo’ rampante e sostenuta dai MAGA Catholics. Il nome del cardinale statunitense Raymond Leo Burke svetta in questa lista. 76anni, originario del Wisconsin, Burke è diventato uno degli esperti di diritto canonico più rispettati e ha ricoperto ruoli di rilievo, come arcivescovo di Saint Louis e prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica. Ultraconservatore, tradizionalista, anti-vaccinista, ferocemente contrario a quasi tutte le aperture del pontificato di Francesco – dalla comunione ai divorziati risposati al diaconato femminile – Burke è diventato il volto più riconoscibile dell’opposizione interna alla Chiesa, forse anche per alcune scelte estreme come il lungo strascico. La sua opposizione si è esplicitata nei famosi ‘dubia’, in cui chiedeva chiarimenti su Amoris Laetitia, accusando il Papa di minare la dottrina tradizionale. In quest’ottica, Burke è diventato un punto di riferimento per il movimento cattolico negli Stati Uniti, molto apprezzato dalla galassia di CatholicVote, sostenitrice della destra americana. Non a caso, è molto legato a Steve Bannon, già stratega di Trump che da direttore di Breitbart News aveva affidato un ufficio di corrispondenza vaticano al sacerdote Thomas Williams, legato alla Congregatio Legionariorum Christi di Marcial Maciel Degollado.
Un’altra figura di spicco del fronte conservatore anti-Bergoglio è il cardinale tedesco ed ex prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Gerhard Müller, si è affermato come teorico di riferimento della corrente conservatrice. “Il prossimo Papa non deve essere il successore di Francesco, ma il successore di Pietro”, ha dichiarato recentemente in un’intervista a La Repubblica.
Teologo duro e puro, rimosso nel 2017, Müller ha aspramente contestato le aperture ai divorziati risposati, alle comunità LGBTQ+, alle donne nella Chiesa. Posizioni che ha espresso sui media e in libri così da assurgere a punto di riferimento per i fedeli che meno condividevano le idee di Papa Francesco alla cui salute, ciò nonostante, nel febbraio scorso, nei giorni del ricovero, aveva dedicato preghiere da Piazza San Pietro, insieme ad altri ‘oppositori’ come Burke, e Giovanni Angelo Becciu.
Un altro cavallo di razza è Timothy Dolan, cardinale arcivescovo di New York, 75 anni, originario di St. Louis, Missouri. Ordinato sacerdote nel 1976 , ha ricoperto ruoli accademici e pastorali prima di diventare arcivescovo di Milwaukee nel 2002. Nel 2009 è stato nominato alla guida dell’arcidiocesi di New York da Benedetto XVI e creato cardinale nel 2012. Ha poi ricoperto la presidenza della Conferenza episcopale statunitense dal 2010 al 2013.
Molto attivo sui social, è noto per la sua preghiera inaugurale al primo mandato di Trump nel 2017. Lo stesso tycoon non lo ha dimenticato tanto da avergli fatto un endorsement per il soglio pontificio. Pur essendo diventato emblema dell’allineamento tra la Chiesa USA e il trumpismo, non ha mancato di prendere le distanze dall’amministrazione Trump e in particolare da JD Vance sulle politiche anti-migranti, bollando come «malvagi e volgari» i commenti del Vicepresidente secondo cui i vescovi (conservatori compresi) che si oppongono alle deportazioni di massa dei clandestini perché le organizzazioni religiose che aiutano gli immigrati a chiedere asilo vengono pagate per questo servizio. In questo senso, alla rigidità dottrinale, Dolan coniuga anche un pragmatismo che lo ha fatto salire nel toto-nomi dei papabili.
Un’altra figura chiave di questa Chiesa in piena ‘trumpizzazione’ è Brian Burch, fondatore e presidente di ‘CatholicVote’, organizzazione nata con l’obiettivo di “promuovere i valori cattolici nella sfera pubblica” e conosciuta per le sue posizioni apertamente ostili al pontificato di Papa Francesco. Negli ultimi anni, CatholicVote si è distinta per le ingenti campagne elettorali contro candidati progressisti e per il sostegno esplicito a figure come JD Vance, considerato da Burch un baluardo di rinascita morale e religiosa. Nel 2024, la nomina di Burch ad ambasciatore statunitense presso la Santa Sede ha segnato un punto di svolta simbolico e concreto: la saldatura tra l’America trumpiana e il cattolicesimo tradizionalista.
Un tentativo di imporre una sterzata alla chiesa di Francesco ha avuto luogo il 26 agosto 2018 quando il vescovo Carlo Maria Viganò, che fino a poco prima era stato Nunzio apostolico negli Stati Uniti e non aveva nascosto le sue simpatie per Donald Trump e per Steve Bannon, ha accusato il Papa di aver coperto gli abusi sessuali del cardinale McCarrick, di cui ha chiesto le sue dimissioni. Il tentativo è un flop e Viganò viene scomunicato per scisma. A supportarlo, anche Timothy (Tim) Busch, ricco avvocato d’affari, che all’epoca finanziava la fondazione cattolica ‘Better Church Governance Group’, la quale, a sua volta, aveva commissionato ad un ex agente dell’FBI, Philip Scala, il ‘Red Hat Report’, il rapporto «zucchetta rossa» (il tradizionale copricapo dei cardinali) ossia una serie di dossier su tutti i porporati chiamati in Conclave. L’arma dei dossier e delle fake news è riemersa in questi giorni quando era circolata quella sul presunto malore del cardinale Pietro Parolin, rilanciata dal sito CatholicVote così da indebolirne la candidatura, ma poi seccamente smentita dal direttore della Sala Stampa vaticana Matteo Bruni.
Di sicuro, Trump sarà uno dei convitati di pietra nel Conclave, vista la sfida che rappresenta per la Chiesa, ma anche per la donazione di 14 milioni di dollari che il tycoon ha donato dopo il funerale di Papa Francesco. Non poca cosa per uno Stato, il Vaticano, che ha 70 milioni di dollari di deficit.
Una fiches su un possibile Papa americano? Più difficile, ma non impossibile (qualcuno parla del camerlengo Kevin Farrell e il prefetto del Dicastero per i vescovi, Robert Prevost) che potrebbe emergere nel caso di un stallo prolungato nelle votazioni, come soluzione di compromesso con l’ala conservatrici, ma su cui, in maniera indiretta, in molti potrebbero vedere ancora gravate l’ombra degli abusi sessuali perpetrati dalla Chiesa USA, rivelati dal ‘Boston Globe’. Anche se ciò non avvenisse, il polmone americano-conservatore probabilmente proverà, quanto meno, a puntare su candidati come Robert Sarah (Guinea) o Péter Erdő (Ungheria), entrambi su posizioni tradizionali. Un papato più vicino alla sensibilità trumpiana favorirebbe un raffreddamento della Chiesa su immigrazione, ecologia e disuguaglianze, oltre che un ritorno alla visione tradizionale su famiglia, coppie omosessuali, donne, Islam.
Joe Biden, primo cattolico a essere stato eletto Presidente dopo John Fitzgerald Kennedy, ai titoli di coda del suo mandato, ha conferito la Medaglia della libertà a Papa Francesco: “La sua missione di servizio ai poveri non è mai cessata. Pastore amorevole, risponde con gioia alle domande dei bambini su Dio. Insegnante stimolante, ci comanda di lottare per la pace e proteggere il pianeta. Leader accogliente, si rivolge a fedi diverse. Primo Papa dell’emisfero australe, Papa Francesco è diverso da chiunque sia venuto prima. Soprattutto, è il Papa del popolo: una luce di fede, speranza e amore che brilla intensamente in tutto il mondo”, è stata la motivazione. Cosa, dunque, resterà di Bergoglio nei rapporti tra Stati Uniti e Santa Sede? E quali sfide il cattolicesimo USA pone alla Chiesa? Lo abbiamo chiesto a Massimo Faggioli, Professore ordinario nel dipartimento di Teologia e Scienze religiose alla Villanova University di Philadelphia, autore di ’Da Dio a Trump. Crisi cattolica e politica americana’, edito da Scholé, marchio di Morcelliana Editrice.
Professor Faggioli, quale definizione darebbe del rapporto di Papa Francesco con gli Stati Uniti?
È stato un rapporto difficile fin dall’inizio perché Papa Francesco era latino-americano. Il problema è che i rapporti si sono deteriorati perché il cattolicesimo, negli Stati Uniti, ha cambiato pelle: quello che era il neo-conservatorismo moderato degli anni ‘80 e ‘90 con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, negli anni 2000 si è radicalizzato, flirtando con l’estrema destra, ed è diventato più eversivo nei confronti del Vaticano, dell’autorità papale e, quindi, di Papa Francesco. A questa tendenza si è sommato l’arrivo del ‘trumpismo’ che strumentalizza la religione in modo sfacciato, cercando di impossessarsi di Dio, di renderlo esclusivamente ‘trumpiano’.
L’’antiamericanismo’ di Papa Francesco era figlio, secondo Lei, della matrice culturale ‘peronista’?
Non saprei perché, secondo me, ha una radice molto più profonda: il Papa vedeva il mondo in maniera opposta a come lo vedono gli americani. Per gli americani, gli Stati Uniti sono il centro del mondo; per Francesco, la storia moderna è fatta di colonialismo o post-colonialismo. È proprio un altro modo di vedere le cose rispetto alla dicotomia liberale-conservatore.
Lo definirebbe anti-occidentale?
No, piuttosto direi che è un Papa che ha visto con chiarezza i limiti e l’ipocrisia dell’occidentalismo. La Russia di Vladimir Putin o la Cina di Xi Jinping sono anti-occidentali mentre Bergoglio è il prodotto di questa cultura occidentale, ma è capace – cosa tipicamente cattolica – di essere critico nei confronti della sua culla storica. Quindi, anti-occidentale no, anti-capitalista forse sì.
Ecco, appunto, Papa Francesco ha più volte criticato, sia nei suoi interventi pubblici, nelle sue omelie, ma anche nelle encicliche -pensiamo alla ‘Laudato si’’ o alla ‘Fratelli tutti’ -il capitalismo selvaggio, all’origine di disuguaglianze, ingiustizie sociali, crisi ambientale, migrazione. Questa critica al capitalismo senza regole ha influito nella mancanza di sintonia tra Bergoglio e gli Stati Uniti?
Certamente sì nel senso che Papa Francesco ha visto da vicino gli effetti devastanti del capitalismo neo-liberale sui poveri in generale e sui poveri dei Paesi più poveri. Quindi, non c’è ideologia quanto piuttosto constatazione dei fatti che ha visto e che ha portato sulla scena nel mondo in cui solo un Papa può fare. Questa è la ‘genialità’ del cattolicesimo e del papato che prende delle questioni e gli dà una piattaforma globale che non si crea dall’oggi al domani.
Si potrebbe parlare di ‘antimperialismo’ a proposito di Papa Francesco, latino-americano e, quindi, anche memore delle manovre degli Stati Uniti nel loro ‘giardino di casa’?
Gli Stati Uniti sono un impero che non si è mai riconosciuto come tale, non è mai stato sincero a riconoscersi come tale. E Papa Francesco era probabilmente uno dei pochi ad avere le credenziali per criticare un certo tipo di comportamento anche se, da Pontefice, ha dovuto moderare un certo tipo di linguaggio benché il messaggio fosse molto chiaro.
Nel 2015, con Barack Obama Presidente, Papa Francesco fece un viaggio importante negli Stati Uniti, parlando anche alle sessioni riunite del Congresso. Come ricorda quel viaggio?
Parlò al Congresso a sessioni riunite, ma visitò anche le carceri, andò alle Nazioni Unite. Ero a Washington in quei giorni e ricordo che fece un grande sforzo, anche con l’inglese, per gettare un ponte all’America e ai vescovi americani. Un tentativo che, tuttavia, non è mai riuscito.
In quest’ottica, particolarmente esemplificativo del rapporto controverso tra Papa Francesco e l’episcopato americano è stato lo scontro lo ‘scontro’ con alcune figure di spicco, dal cardinale Timothy Dolan, attuale arcivescovo di New York (che ha ricevuto ‘l’endorsement’ di Trump per succedere a Francesco ed è stato inserito nella Commissione per la libertà religiosa della Casa Bianca) o il cardinale conservatore del Wisconsin, Raymond Burke o ancora l’ex vescovo della diocesi di Tyler, Joseph Strickland, per non parlare dell’ex Nunzio apostolico a Washington, Monsignor Carlo Maria Viganò. Perché questo attrito?
Perché vi sono proprio due visioni del cattolicesimo, della Chiesa, del mondo, della politica, dell’economia completamente diverse tra Papa Francesco e chi si opponeva. Ciò ha impedito a questo rapporto di decollare proprio perché, dagli anni ‘80 in poi, il cattolicesimo negli Stati Uniti, che è tra i primi ad accettare anche velocemente il Concilio Vaticano II, inverte la rotta, facendo passi indietro: il cattolicesimo che si vede oggi in certe scuole o in certe riviste è un cattolicesimo completamente assorbito dal sistema politico ed economico americano. Un’’americanizzazione’ su cui il trumpismo ha fatto leva.
Ma qualcosa sta cambiando? Dopo la lettera (gennaio 2025) di Francesco ai vescovi USA sui migranti, la Conferenza episcopale degli Stati Uniti ha citato in giudizio l’Amministrazione sulla sospensione degli aiuti ai rifugiati. Per venire agli ultimi giorni, poi, il cardinale di New York ha bollato come «una brutta figura» la foto pubblicata sui social da Trump vestito da Papa. Era per sfuggire al ‘bacio della morte’?
Era costretto a farlo.
Ma la linea prevalente nell’episcopato americano qual’è? Più vicina a Francesco che, peraltro, aveva recentemente sostituto alcune figure?
Al momento è difficile stabilirlo. Una certa parte è vicina a Francesco, ma la presidenza della Conferenza episcopale è in mano ad un profilo molto conservatore, uno di quelli che aveva pensato di venire a patti o controllare Trump, ma non essendoci riuscito, ora non c’è una leadership nazionale con un piano come rispondere al trumpismo. Ci sono voci isolate come l’arcivescovo di Washington, alcune commissioni di vescovi, ma la Conferenza episcopale non ha fatto nulla di quello che fece nel 2010 quando ci fu la riforma sanitaria di Obama cui si oppose un fronte di resistenza dei vescovi perché la riforma andava a toccare questioni come l’aborto. Lì ci fu un fronte pubblico combattivo, ora no. La lettera sui migranti di Papa Francesco è stata un segnale di sostegno ad un certo tipo di leader cattolici, ma non ha fatto breccia tra gli altri.
Durante il pontificato di Bergoglio, anche a partire da questioni come capitalismo, immigrazione, ambiente, coppie gay, si è rasentato il rischio di uno ‘scisma’ tra il ‘cattolicesimo USA’ e la Chiesa di Roma?
Il rischio c’è stato, ma il vero progetto del conservatorismo statunitense non è fare lo scisma, bensì conquistare tutto, convincendo il resto degli americani che il vero cattolicesimo è il loro, non quello romano. Questo è un movimento che inizia oltre trent’anni fa e JD Vance ne è uno dei prodotti.
Tra gli altri, due temi hanno caratterizzato in modo determinante il pontificato di Francesco: immigrazione e ambiente. “Chi costruisce muri non è cristiano”, disse senza mezzi termini nel 2016, criticando le proposte trumpiane sull’immigrazione, come è tornato a fare pochi mesi fa, alla vigilia del secondo mandato del tycoon, nella famosa lettera ai vescovi USA: “Deportare le persone lede la dignità umana”. Con suo grande dispiace, Trump ha anche abolito tutte le misure e i trattati a tutela dell’ambiente, all’insegna del “drill, baby, drill”. Ciò nonostante, a fronte di un Pontefice di idee quasi opposte a Donald Trump, circa il 60% degli americani cattolici, sopratutto i cosiddetti White Christians, pare abbia votato proprio repubblicano alle ultime presidenziali. Non è una contraddizione?
No, è stato sempre quasi del tutto normale. La cosa nuova è che ora non si limitano a dire di non essere d’accordo col Papa – che è una cosa che anche in Europa si è fatta per molto tempo – ma arrivano a dire che il Papa non è cattolico, il che è ben diverso.
Tanto per citarne una, la pasionaria MAGA e fedelissima di Trump, Marjorie Taylor Greene, ha esultato per la morte di Papa Francesco, scrivendo su X: «Il male sta venendo sconfitto per mano di Dio». La divergenza spiega anche perché l’obolo dei fedeli americani è andato crollando negli ultimi anni?
Diciamo che l’obolo dei Paesi cattolici è calato in generale, quindi anche negli Stati Uniti. Ma questo è un cattolicesimo conservatore che ha rinnegato la sua proverbiale lealtà verso Roma e ha deciso che può ridiscutere perfino il Papa, se questo non gli piace. Tale tendenza è una delle grandi cose successe durante questi dodici anni di pontificato e che rende gli scenari futuri abbastanza incerti.
L’allora Segretario di Stato USA, Mike Pompeo, aveva fatto pressione affinché il Vaticano non rinnovasse il controverso accordo sulle nomine dei vescovi. L’apertura di Bergoglio alla Cina, ha ampliato la frattura con il cattolicesimo americano?
L’ha ampliata, ma non è stata determinante nel senso che l’ostilità degli americani nei confronti della Cina è trasversale ai due partiti: è sicuramente molto forte nei repubblicani, ma è altrettanto significativa anche tra i democratici. Nancy Pelosi, ad esempio, in un’intervista di pochi mesi fa, aveva criticato aspramente l’accordo tra la Santa Sede e la Cina.
La guerra è una “pazzia”, ha ribadito più volte Bergoglio, non smettendo mai di invocare la diplomazia e la pace sia per la guerra in Ucraina che per quella a Gaza, a proposito della quale si era spinto a parlare di ‘genocidio’. Tuttavia la linea degli Stati Uniti, a cavallo tra l’amministrazione di Biden -che forniva armi a Kiev e non prendeva posizione contro Netanyahu- e quella di Trump -più favorevole alla Russia ed accondiscendente con Israele- è andata in direzione molto diversa. Qui il solco tra la Chiesa di Francesco e gli Stati Uniti si è fatto più profondo?
Le guerre hanno favorito l’incomprensione nel senso che hanno portato alla Casa Bianca un certo candidato che, tuttavia, nella visione vaticana, non ha una linea molto diversa da quella di Biden. La vera differenza è che, con Trump, non si sa cosa aspettarsi. Se il Vaticano fino a qualche mese fa poteva contare su una certa idea di America, oggi non lo sa.
Prima parlava del ‘trumpismo’. Nel suo libro intitolato ’Da Dio a Trump. Crisi cattolica e politica americana’ analizza, di fatto, una mutazione, anzi una ‘trumpizzazione’ del cattolicesimo americano. Cosa sta diventando? Un cattolicesimo ‘pagano’? Trump -che ha da poco istituito alla Casa Bianca un ‘Ufficio per la fede’- si sta sostituendo a Dio, che, come ama ripetere, lo avrebbe salvato per fare ‘l’America di nuovo grande’?
Il cattolicesimo americano si sta smarcando da certe ortodossie e si rivolge ad un mondo simbolico e ad un linguaggio completamente diverso. L’America ha bisogno di religione, ma un vecchio mondo cattolico tradizionale è molto indebolito e, quindi, si è esposto alla tentazione di questo ‘trumpismo’, un’idolatria politica, ma anche religiosa, che è un mix di ‘teologia della prosperità’, consumismo sfrenato, libertinismo morale. La religiosità in America si stata svuotando del contenuto: gli americani stanno smettendo di credere in Dio o, probabilmente, credono anche nel Dio cattolico, ma non sono del tutto coscienti di tutto quello che il ‘trumpismo’ gli sta attaccando addosso. Non è un’apostasia formale, ma il ‘trumpismo’ ha fatto un uso spregiudicato di alcuni elementi della propaganda del mondo cattolico, ma in un contesto comprendente moralità privata, consumo, ambiente, migranti, che potrebbe definirsi quasi ‘post-cristiano’.
Esempio di questo cattolicesimo ‘trumpiano’ è JD Vance, convertito nel 2019 al cattolicesimo, definendosi seguace della «chiesa della resistenza» a Bergoglio, e, peraltro, ultimo leader ad essere stato ricevuto da un Papa Francesco già molto fragile, a poche ore dalla morte?
Un po’ si, anche se ci tiene a mantenere molto a conservare le sue credenziali ortodosse, essendo un cattolico di formazione recente e non credo che sia strumentale la sua conversione così come la sua conversione al trumpismo, questa sì strumentale alla sua carriera politica. L’incontro con Papa Francesco risponde a questa logica, anche guardando al ‘dopo-Trump’ e a come ritagliarsi meglio il proprio futuro politico, al di là del ‘trumpismo’.
Anche perché i voti cattolici sono fondamentali.
Certo, così come i voti dei protestanti che oggi non hanno una rappresentanza nel panorama politico.
Oltre che per fare incontri diplomatici, come spiega la partecipazione di Trump ai funerali di Papa Francesco, da cui era distante anni luce? Pura ipocrisia?
Per lui tutto è pubblicità. È un momento di grande confusione e di ridefinizione delle identità, ma il cattolicesimo è il più a rischio in quanto il più identificato con una Chiesa unica, globale.
Potremmo dire che è una crisi di identità quella che caratterizza i due ‘imperi paralleli’, Chiesa Cattolica, ma anche gli Stati Uniti che, non a caso, oggi sono guidati da Trump, eletto proprio a causa di quella crisi?
Certo che sì.
Ma la tendenza divergente tra i due imperi universali -Stati Uniti e Chiesa Cattolica- divenuta più esplicita durante il Pontificato di Bergoglio, sopravvivrà nei prossimi anni?
Molto dipenderà da chi sarà il nuovo Papa, ma è chiaro che questa divergenza resterà perché riguarda traiettorie di lungo periodo. Gli Stati Uniti stanno andando in una certa direzione culturale, economica e non credo si possa invertire la rotta in tempi brevi.
Pensa che Trump, il trumpismo e la galassia MAGA proveranno a mettere le mani sul Conclave?
Ha solamente danneggiato i candidati trumpiani, non ha convinto nessuno che fosse una buona idea sostenerli. È stata una caduta di stile, ma anche un errore tattico.
All’interno della Cappella Sistina, i Cardinali riuniti in Conclave terranno conto di Trump, della ‘variabile americana’?
In qualche modo sì perché quando gli aiuti umanitari smettono di arrivare dall’America, questo danneggia tutto e tutti. Tocca sopratutto i Paesi poveri, da cui provengono alcuni Cardinali e che, se incerti su cosa fare con il ‘trumpismo’, hanno toccato con mano che danneggia il mondo intero. Quattro mesi fa il ‘trumpismo’ era meno indifendibile di quanto non sia oggi. Si apre il confronto sulla visione del cattolicesimo, se vicina a quella di Papa Francesco o a quella del ‘trumpismo’.
Un Papa americano è impossibile?
È difficile, ma non impossibile come una volta perché ora non si sa dove vanno gli Stati Uniti e questo cambia la prospettiva tra Vaticano e USA. È uno degli effetti paradossali del ‘trumpismo’.