Dopo la sua morte, i libri di Papa Francesco stanno conquistando le classifiche, tra i bestseller, ad esempio, nella top 10 di Amazon. A svettare ’Spera’, edito da ‘Mondadori’, l’autobiografia di Papa Francesco, la cui stesura ha impegnato gli ultimi sei anni, originariamente destinata ad essere pubblicata solo dopo la sua morte, ma poi pubblicata all’inizio di un importante anno giubilare, che Papa Francesco aveva dedicato al tema della ‘speranza’.
Scritta in collaborazione con l’autore Carlo Musso, che ha lavorato con il Papa su diverse pubblicazioni in precedenza, è un’autobiografia “potente e intimo, stimolante e pieno di storie mai raccontate prima”. Francesco affronta senza alcuna dissolvenza anche i nodi cruciali del pontificato e sviluppa con coraggio, schiettezza e profezia i più importanti e dibattuti temi della nostra contemporaneità: guerra e pace (compresi i conflitti in Ucraina e Medio Oriente), migrazioni, crisi ambientale, politica sociale, condizione femminile, sessualità, sviluppo tecnologico, futuro della Chiesa e delle religioni. Ricco di rivelazioni, di aneddoti, di illuminanti riflessioni, un memoir emozionante e umanissimo, commovente e capace di umorismo, che rappresenta il “romanzo di una vita” e al tempo stesso un testamento morale e spirituale destinato ad affascinare i lettori di tutto il mondo e a incarnare il suo lascito di speranza per le generazioni future. Il volume è corredato da alcune straordinarie fotografie, anche private e inedite, provenienti dalla disponibilità personale di Papa Francesco.
È nei momenti più tranquilli e personali che emerge un’immagine intima della personalità e della prospettiva di Jorge Mario Bergoglio, l’uomo che divenne Papa Francesco che, nell’introduzione, in riferimento alla memoria e all’esercizio dell’autobiografia, scrive:
«Un’autobiografia non è la nostra letteratura privata, piuttosto la nostra sacca da viaggio. E la memoria non è solo ciò che ricordiamo, ma ciò che ci circonda. Non parla unicamente di quel che è stato, ma di quel che sarà. Si dice comunemente “aspetta e spera”– tanto che nel vocabolario spagnolo la parola esperar significa sia sperare sia aspettare –, ma la speranza è soprattutto la virtù del movimento e il motore del cambiamento: è la tensione che unisce memoria e utopia per costruire davvero i sogni che ci aspettano. E se un sogno si affievolisce, bisogna tornare a sognarlo di nuovo, in nuove forme, attingendo con speranza dalle braci della memoria».
Coloro che cercano un’autobiografia nel senso più stretto della parola potrebbero essere colti di sorpresa dal formato e dalla struttura del libro. Non rigidamente cronologico, spesso si alterna tra narrazione della vita e riflessione spirituale e morale su questioni contemporanee. La narrazione rimbalza dal 1963 al 1945 e poi al 2019 in una mezza dozzina di pagine, prima di tornare alla narrazione della sua formazione nel 1963. Il risultato a volte è leggermente stridente per il lettore che si aspetta una cronologia più chiara.
Coloro che desiderano saperne di più sulla personalità del Papa troveranno sicuramente molto interesse. Era un bambino che non era mai il migliore della classe a scuola, ma lavorava sodo; un appassionato di calcio e basket a cui piaceva anche collezionare francobolli; e un adulto con una passione per la musica classica.
I lettori saranno colpiti dalla natura inflessibile delle riflessioni di Papa Francesco sulla sua vita. Spesso si definisce come impaziente, malinconico, consapevole di sé, periodicamente antisociale, ansioso e profondamente rammaricato verso coloro che aveva sminuito (anche accidentalmente).
Molte storie evidenziano anche il papa come contrario, senza paura di rompere con le tradizioni consolidate da tempo, comprese quelle immediatamente invocate dopo la sua elezione. Il suo rifiuto di vivere nel Palazzo Apostolico a causa del fatto che era troppo isolato (“nemmeno il papa può salvarsi da solo”, scherza), e il suo rifiuto di una limousine a favore di una Ford Focus blu per viaggiare per Roma sono solo due punti salienti del suo atteggiamento.
Il racconto procede dai primi del Novecento, con le radici italiane e l’avventurosa emigrazione in America Latina degli avi: i nonni Giovanni e Rosa e dal padre Mario che partono per il Sud America nel 1929, dopo averci provato nel 1927 quando avevano comprato i biglietti per imbarcarsi sulla nave Principessa Mafalda, ma poi dovettero rimandare la partenza perché non erano riusciti a vendere i loro pochi beni. Quello fu proprio un colpo di fortuna, perché quel transatlantico naufragò il 25 ottobre 1927. «Per questo io ora sono qui» – scrive il Papa nel libro – «Non immaginate quante volte mi sia trovato a ringraziare la Provvidenza Divina». Anche allora, come accade oggi, i migranti morivano in mare e, non a caso, le migrazioni sono state un punto centrale del pontificato di Bergoglio. Ricordando la sua educazione in Argentina e la migrazione della sua famiglia dall’Italia, arriviamo a capire di più sulla sua costante evidenziazione della difficile situazione delle comunità di migranti.
Il racconto si sviluppa attraverso l’infanzia, con gli entusiasmi e i turbamenti della giovinezza: trova spazio, nella sua memoria, una tragedia riguardante un suo compagno di scuola delle superiori: uno studente brillante e colto che uccide un suo amico e poi viene rinchiuso nel manicomio criminale. Il giovane Jorge andò a trovarlo. «E fu terribile. Ne restai profondamente turbato», ricorda Bergoglio. Anni dopo, venne a sapere che, dopo essere uscito dal riformatorio, l’amico si era suicidato, a 24 anni. «A volte, come dice il salmo, il cuore dell’uomo è un abisso». Un altro dramma raccontato da Bergoglio è quello di un ragazzino che conosceva e che a 15 anni uccise la mamma con un coltello. «Ricordo la veglia funebre in quella casa, il volto terreo del padre, il suo dolore doppio, senza pace».
La scelta vocazionale, la maturità, fino a coprire l’intero pontificato e il tempo presente. non mancano nel libro accenni agli amori giovanili. Bergoglio ne parla così. «Anch’io provai attrazione per due ragazze in quel tempo… Ma non furono fidanzamenti ufficiali, uscivamo in compagnia, andavamo a ballare il tango. Avevo diciassette anni, e dentro di me già c’era l’inquietudine della vocazione e del sacerdozio… Ma prima ancora, da bambino, ci fu l’infatuazione infantile per una ragazzina… Era una mia compagna di scuola della primaria, Amalia Damonte. Le scrissi una lettera in cui le dicevo che ci saremmo dovuti sposare, tu o nessuna, e per dar forza a quella proposta disegnai pure la casetta bianca che avrei comprato e dove un giorno saremmo andati ad abitare, un disegno che incredibilmente quella bambina ha conservato per tutta la vita».
Non mancano riferimenti a carcerati, ai poveri, agli emarginati, come nelle pagine dedicate alla zia Rosa, sorella maggiore della nonna materna di Bergoglio. «Viveva un’esistenza randagia, travolta dagli oggetti che aveva ammassato e continuava ad accumulare… Zia Rosa era stata cancellata dalla vita della famiglia. Era la mia zia “barbona”».
Il libro è disseminato di immagini di eventi familiari e momenti chiave della sua vita e del suo papato, alcuni mai visti prima, che si aggiungono alla natura intima del racconto. Le sue opinioni sulla crisi degli abusi sessuali clericali (“con vergogna e pentimento, la Chiesa deve chiedere perdono”), così come le sue opinioni sul ruolo delle donne nella Chiesa (“la Chiesa è femminile”) e sulla guerra in Ucraina (“il popolo ucraino non solo è stato invaso ma è stato martirizzato”), attireranno senza dubbio la maggior parte dell’attenzione.
La sua avversione per la guerra e la sua attenzione alla necessità della pace si rivelano anche nelle conversazioni quando stava crescendo. “Se avessi sentito parlare della prima guerra mondiale dalle labbra di mio nonno, avrei saputo della seconda a Buenos Aires dalle storie di molti immigrati che sono arrivati dopo quella nuova carneficina, o per fuggire da essa”. Seguire queste storie con una chiamata alla giustizia per gli emarginati in un mondo che subisce una “globalizzazione dell’indifferenza” sembra quindi una naturale conseguenza della sua esperienza.
Eppure in altri momenti, la narrazione soffre a spese della sua lezione di accompagnamento sulla moralità. Un capitolo sulla sua formazione temporale per il sacerdozio, ad esempio, usa il fatto che non poteva diventare un missionario in Giappone a causa della sua salute debole per ruotare in una discussione su Hiroshima e la sofferenza dei bambini nelle zone di guerra. E in ‘Spera’ torna sempre la parola pace, la «logica illogica» della guerra.
Papa Francesco nel libro rivela poi che durante il viaggio in Iraq, nel 2021, scampò a un attentato. Così. «La polizia aveva avvisato la Gendarmeria vaticana di un’informativa giunta dai servizi segreti inglesi: una donna imbottita di esplosivo, una giovane kamikaze, si stava dirigendo a Mosul per farsi esplodere durante la visita papale. E anche un furgone era partito a tutta velocità con il medesimo intento… Quando il giorno seguente domandai alla Gendarmeria che cosa si sapeva sui due attentatori, il comandante mi rispose laconicamente: “Non ci sono più”. La polizia irachena li aveva intercettati, e fatti esplodere. Anche questo mi ha colpito molto. Anche questo era il frutto avvelenato della guerra».
Gli appelli alla pace li sentiamo anche tutte le domeniche durante l’Angelus, su Rai 1. A proposito di tv, nel libro spiega perché non la vede. «Non guardo la televisione dal 1990, per rispettare un voto che ho fatto alla Virgen del Carmen la notte del 15 luglio di quell’anno. Quella sera ero in comunità a Buenos Aires, stavamo guardando la tv e sullo schermo è comparsa una scena squallida, che mi ha colpito aspramente».
Nell’autobiografia, Bergoglio ripercorre anche alcuni momenti del conclave che ha portato, nel 2013, alla sua elezione. Ricorda che il primo atto da Pontefice è stato un inciampo: dopo aver indossato la talare bianca, uscito dalla sagrestia della Sistina va a salutare il cardinale Ivan Dias, in sedia a rotelle, e inciampa in un gradino. «All’inizio del pontificato avevo la sensazione che sarebbe stato breve: pensavo tre o quattro anni, non di più» – si legge nel libro – «La verità è che è il Signore l’orologio della vita. Intanto, io vado avanti. Sento che tutta la mia esistenza è impastata di speranza e anche nei momenti più bui mai ho sentito di averla persa».
“Sento di avere una reputazione che non merito, una stima pubblica di cui non sono degno”, ammette a un certo punto. Che tu sia d’accordo con lui o meno, Papa Francesco sarà senza dubbio ricordato come il papa che ci ha permesso, per la prima volta, di godere di un resoconto più intimo di una delle posizioni più influenti e misteriose. Ma soprattutto come il Papa della speranza (a cui ha dedicato il giubileo del 2025) che lui definisce «una bambina spiritosa. Sa che l’umorismo, il sorriso sono lievito dell’esistenza e strumento per affrontare le difficoltà, perfino le croci, con resilienza».