“…vedrete la guerra non nelle sue schiere ordinate, belle e splendenti, con il rullo dei tamburi, con le insegne al vento e i generali caracollanti, ma vedrete la guerra nella sua vera espressione, nel sangue, nelle sofferenze, nella morte…”
(Lev Tolstoj, ‘I racconti di Sebastopoli’)
«Come Berlino dopo la Seconda Guerra Mondiale»: così il Generale Keith Kellogg, inviato speciale della Casa Bianca per l’Ucraina, si è espresso riguardo al possibile futuro di quel Paese in una recente intervista al quotidiano londinese ‘The Times’. L’idea di Kellogg prevederebbe in sostanza la suddivisione dell’Ucraina in aree di controllo o ‘di influenza’, sul modello della capitale tedesca che, nel 1945, venne ripartita in quattro zone rispettivamente sotto il controllo sovietico, americano, britannico e francese (le ultime tre in seguito unificate).
Il ‘modello berlinese’ verrebbe applicato all’Ucraina dividendola in tre parti:
1. i quattro oblast finora parzialmente occupati da Mosca, che resterebbero sotto il controllo russo;
2. l’Ucraina occidentale (sponda ovest del fiume Dnipro), comprendente la capitale Kiev e grandi città come Odessa e Leopoli, ove verrebbe schierata una ‘forza di rassicurazione’ composta di truppe britanniche, francesi e di altri Paesi (esclusi gli Stati Uniti);
3. l’Ucraina orientale (sponda est del Dnipro), ove si schiererebbero soltanto le truppe ucraine, separata dalla zona russa con l’istituzione di una fascia smilitarizzata profonda una trentina di chilometri.
Non sappiamo quanto il Generale Kellogg sia realmente ascoltato a Washington: in realtà, la sua figura appare sostanzialmente esautorata, dato che i negoziati sull’Ucraina sono stati di fatto affidati dal Presidente Trump all’inviato speciale per il Medio Oriente, Steve Witkoff. D’altra parte, il suo piano è stato immediatamente rigettato, ovviamente per motivi opposti, da entrambi i contendenti.
Al di là dello scarso peso specifico di Kellogg all’interno dell’Amministrazione Trump e dell’evidente incongruità, non solo dal punto di vista delle dimensioni, del parallelo fra l’Ucraina di oggi e la Berlino del 1945, la sua proposta riveste un certo interesse per gli osservatori internazionali, in quanto riapre il dibattito fra ‘finlandizzazione’ e ‘soluzione coreana’ che andò per la maggiore nella fase iniziale della guerra.
Indicata dal Presidente francese Emmanuel Macron prima del 24 febbraio 2022 – e da Henry Kissinger fin dal 2014 – come possibile soluzione della crisi ucraina, la ‘finlandizzazione’ avrebbe comportato per Kiev una condizione di neutralità obbligata, scongiurando il persistente pericolo di invasioni russe e preservandol’indipendenza del Paese.
Fu proprio questa la situazione della Finlandia durante la guerra fredda: nel 1948, Helsinki firmò con l’allora Unione Sovietica un accordocon cui si impegnava a restare neutrale, rifiutando gli aiuti del piano Marshall e, in prospettiva, l’ingresso nella NATO (allora in via di gestazione); dal canto suo, Mosca assicurava che non avrebbe tentato di invadere o annettere territori finlandesi.
L’ingerenza sovietica si fece sentire, soprattutto in politica estera, ma Helsinki non venne obbligata ad aderire al Patto di Varsavia e seppe mantenere la propria indipendenza e un assetto istituzionale democratico. Infine, la Finlandia riuscì – anche grazie all’incipiente crisi dell’URSS – a integrarsi nel mondo occidentale e ad essere ammessa nell’Europa comunitaria, pur restando formalmente neutrale fino al2023.
La seconda alternativa che si scorgeva per Kiev nei primi tempi della guerra era, come si è detto, la ‘soluzione coreana’. È noto come, ancora oggi, le due Coree si trovino formalmente in una condizione di guerra, retta però da un armistizio che regge da oltre settant’anni. I relativi colloqui, tenuti esclusivamente dalle autorità militari, durarono circa due anni e condussero alla firma di un documento che individuava una linea di demarcazione fra i contendenti e una zona smilitarizzata, prevedendo altresì i termini del cessate il fuoco. Nonostante il fallimento, l’anno successivo, della conferenza di pace di Ginevra, l’armistizio del 1953 ha di fatto permesso nei decenni alle due Coree di convivere senza più riprendere i combattimenti, sia pure intrattenendo rapporti bilaterali di carattere fortemente mutevole.
Neppure il ‘piano Kellogg’prevede il raggiungimento di un vero accordo di pace, bensì – come nel caso coreano – quello di un semplice ‘armistizio’, che permetterebbe però all’Ucraina di non perdere formalmente i territori occupati e alla Federazione Russa di mantenerne di fatto il possesso. Si tratterebbe dunque di una sistemazione territoriale provvisoria e neppure molto attendibile (basti pensare, ad esempio, ai pericoli connessi con la presenza di truppe occidentali a diretto contatto, nel sud del Paese, con quelle russe).
Eppure Kiev, avendo quasi subito escluso – con il pieno appoggio dell’Amministrazione Biden e dei suoi soci europei ed atlantici – la ‘finlandizzazione’ (oggetto principale delle conversazioni russo-ucraine di Istanbul, interrottesi già nella primavera 2022), sembra avere oggi ben poche alternative a disposizione, soprattutto in presenza di un sostegno americano sempre più incerto e di un’Europa che continua a perseguire politiche sostanzialmente autolesionistiche, in attesa di un chimerico ‘riarmo’.
In queste condizioni, e nonostante la volontà di Donald Trump, resta infatti ben difficile che si possa pervenire in tempi medio-brevi a un compiuto ‘accordo di pace’, anche perché Mosca sembra tuttora ampiamente in grado di forzare la mano insistendo nell’offensiva; né, anche ad accordo concluso, alcuna forza militare europea potrebbe ragionevolmente bilanciare, in assenza di appoggio americano, la preponderanza di quella russa.
Al contrario, un cessate il fuoco duraturo sul modello coreano, oltre a lasciare impregiudicata la soluzione delle controversie ‘esistenziali’ che hanno scatenato la guerra, potrebbe occuparsi anche di questioni importanti come la sicurezza delle centrali nucleari e la ricostruzione dell’Ucraina, facilitando il ritorno a relazioni più ‘normali’ fra gli attuali belligeranti. In questo senso, se il progetto di Kellogg appare abbastanza fantasioso, ciò non vale certamente per le motivazioni che l’hanno prodotto e che potrebbero essere declinate in maniera diplomaticamente – e militarmente – più appropriata, evitando così al mondo di continuare ad assistere a una guerra sempre più simile a quella descritta da Tolstoj nella citazione di apertura; e, soprattutto, alla martoriata Ucraina di continuare a subirla.