Nel ribattezzato ‘Giorno della Liberazione’, il 2 aprile 2025, il Presidente USA, Donald Trump, ha mantenuto la sua promessa di imporre dazi su quasi tutte le nazioni e isole disabitate del pianeta, peraltro sulla base di calcoli strampalati. Pochi giorni dopo, lo stesso Presidente ha annunciato una sospensione di 90 giorni sui dazi reciproci per tutto il mondo tranne che per la Cina.
In modo neanche così tanto implicito, Trump sembra voler usare i dazi per ricostruire il settore industriale a stelle e strisce, dove i posti di lavoro calano da decenni. Del resto, tra gli elettori del tycoon, non mancano i ‘dimenticati’ della Rust Belt.
Ma come dimostrano i dazi imposti da Trump su acciaio e alluminio nel 2018, ad essere colpite di più furono le imprese statunitense e i consumatori. Aumentarono i costi dei prodotti del 12%, ma il costo per riportare negli Stati Uniti 1.800 posti di lavoro nel settore delle lavatrici fu superiore a 1,5 miliardi di dollari l’anno, l’equivalente di oltre 800 mila dollari per ogni occupato.
In questo grafico prodotto dal CSIS, si può notare come la quota di posti di lavoro manifatturieri rispetto all’occupazione totale ha continuato a scendere nonostante i precedenti aumenti delle tariffe, probabilmente a causa di cambiamenti economici più ampi, inclusa la transizione dell’economia statunitense verso un’economia basata sui servizi piuttosto che su una basata sui beni.