Il 18 maggio 2022, meno di tre mesi dopo lo scoppio della crisi russo-ucraina, il quotidiano ‘La Repubblica’ diffuse la notizia della presentazione al Segretario Generale dell’ONU, Antonio Guterres, da parte dell’allora Ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, di un ‘piano di pace’ articolato in quattro punti: cessate il fuoco; neutralità internazionalmente garantita dell’Ucraina; larga autonomia per i territori contesi (nel quadro della sovranità di Kiev); negoziazione di un accordo multilaterale sulla pace e la sicurezza in Europa.

Il testo del ‘piano’ non è mai stato diffuso; né l’allora Presidente del Consiglio, Mario Draghi, che doveva evidentemente esserne informato, lo ha mai citato nelle sue pur numerose esternazioni sulla crisi russo-ucraina (in probabile ossequio all’intransigente posizione antirussa dell’Amministrazione democratica statunitense). D’altra parte, esisteva per l’Italia un’oggettiva difficoltà a soddisfare le pretese delle parti in causa, soprattutto partendo da una posizione di non reale neutralità, dovuta al nostro coinvolgimento nella fornitura di armi a Kiev.

In assenza di un testo, ci riferiamo qui ad un’intervista rilasciata al quotidiano ‘Il Mattinoil 7 maggio 2022 undici giorni prima della presentazione del piano da Pasquale Ferrara, Direttore Generale per gli affari politici e di sicurezza della Farnesina. Nell’intervista, intitolata ‘Le quattro condizioni per trattare con Putin’, l’Ambasciatore Ferrara affermava fra l’altro:

Una prospettiva propriamente diplomatica dovrebbe articolarsi in almeno quattro componenti. In primo luogo, il raggiungimento di un vero e proprio cessate il fuoco a carattere duraturo, che però non finisca per congelare la situazione sul terreno a vantaggio dei russi. In secondo luogo, qualora l’Ucraina decidesse di assumere uno status di neutralità internazionale, sarà necessario stabilire in quali forme e con quali implicazioni alcuni Paesi possano farne da garanti, e l’Italia si è detta pienamente disponibile a concorrere a questa soluzione. In terzo luogo, dovrà probabilmente esserci un negoziato sugli aspetti territoriali, in particolare per la Crimea e per il Donbass, ovviamente in connessione con il ritiro graduale e progressivo delle forze di occupazione russa dall’Ucraina. Infine, dopo l’aggressione russa, si renderà necessario rivisitare l’equazione della sicurezza paneuropea, sia per proteggere il fianco orientale dell’Europa sia per tener conto della possibile adesione di Svezia e Finlandia alla NATO, che rimane un’alleanza difensiva. In questo esercizio dovranno necessariamente essere coinvolte entrambe le parti.”

Come si vede, in queste frasi sono già presenti i quattro elementi del ‘piano di pace’, evidentemente redatto in seguito alla Farnesina per poi essere presentato a Guterres. Vogliamo qui sottolineare l’importanza del secondo punto del piano, quello relativo alle garanzie, e del quarto, sulla sicurezza europea.

Nel piano italiano, come appare chiaramente dall’intervista di Ferrara, le garanzie venivano poste in rapporto con l’auspicabile neutralità di Kiev e non, come ancora oggi avviene, con il suo schieramento a Occidente. Un’intuizione di grande valore che, se fosse stata allora applicata (come ha spiegato Lucio Caracciolo nell’editoriale apparso sul numero 1/2024 di ‘Limes e in alcuni recenti interventi televisivi), avrebbe potuto quanto meno contribuire a un alleggerimento della situazione.

Ma ancor più rilevante appare il quarto punto del piano, che avrebbe potuto avvicinare la Federazione Russa a un obiettivo strategico a lungo perseguito: un accordo multilaterale sulla sicurezza europea (cosiddetta ‘nuova Helsinki’, con riferimento alla CSCE del 1973-1975). Tale obiettivo era stato riaffermato da parte russa poco prima dell’attacco all’Ucraina: il 15 dicembre 2021, infatti, Mosca aveva presentato alla controparte statunitense e, tramite Washington, alla NATO due bozze di accordo sulla mutua sicurezza.

Dati i tempi in cui era stata lanciata, tale iniziativa aveva una valenza soprattutto propagandistica: il suo rifiuto avrebbe potuto essere considerato come una sorta di giustificazione preventiva dell’aggressione contro Kiev. Eppure, il punto sulla ‘sicurezza paneuropea’ avrebbe potuto rendere il piano italiano più accettabile per Mosca, contribuendo magari ad ammorbidirne le posizioni sulla questione territoriale

Oggi, il ciclone Trump ha radicalmente mutato le carte in tavola: ma Putin, nel continuare a negare la possibilità di accettare forze di interposizione appartenenti a Paesi europei, si riferisce probabilmente proprio alla necessità di ridiscutere previamente, in maniera complessiva, gli equilibri continentali. 

Mentre la dirompente, anche se poco ortodossa, azione del nuovo Presidente americano avvicina per la prima volta il mondo alla prospettiva di una soluzione della crisi ucraina, i governanti europei, con poche inascoltate eccezioni, pensano invece a ‘riarmarsi’ per difendere il continente, a loro dire, dalla minaccia militare posta dalla Federazione Russa. Assistiamo, dunque, sgomenti al roboantepiano di riarmodi Ursula von der Leyen; all’equilibrismo del quasi-cancelliere tedesco Friedrich Merz, che ha fatto votare l’importantissima riforma costituzionale sul debito (soprattutto militare) dal vecchio Bundestag ormai sciolto, ad evitare che il nuovo potesse magari respingerla; all’asserita disponibilità di Emmanuel Macron a offrire ai partner europei la propria (molto limitata) capacità di deterrenza nucleare; alle bellicose dichiarazioni di molti governanti del Vecchio Continente. Tutto ciò nell’assenza, fin dall’inizio, di un reale contributo europeo alla soluzione della crisi ucraina, alla quale il piano italiano del maggio 2022, se presentato con minor timidezza, avrebbe forse potuto avvicinarci.

Di Massimo Lavezzo Cassinelli

Massimo Lavezzo Cassinelli ha fatto parte del servizio diplomatico italiano dal 1982 al 2016. Dopo un primo periodo alla Farnesina presso la Direzione Generale Affari Economici, ha iniziato nel 1985 la sua prima missione all’estero, all’Ambasciata d’Italia in Ecuador. Successivamente ha prestato servizio presso le Ambasciate in Giordania, in Perù e in Egitto, oltre che come capo del Consolato italiano a Berna. E’ stato poi Rappresentante Permanente Aggiunto presso la FAO, il PAM e l’IFAD. Ha infine ricoperto le cariche di Ambasciatore d’Italia in Armenia e nel Principato di Monaco. Ha concluso la carriera al Cerimoniale Diplomatico della Repubblica.