Sabato, un giorno significativo perché per gli ebrei e per gli israeliani è giorno di riposo, Sabato, dico, scade quella sorta di ultimatum posto da Hamas ad Israele: non libereremo gli ostaggi promessi. In genere gli ultimatum sono accompagnati da un ‘se non farete una certa cosa’.

Qui, se ben capisco no. È solo il rifiuto di rispettare un accordo raggiunto con estrema difficoltà, dopo un anno di trattative, tra una entità che una parte del mondo definisce terrorista, che un internazionalista alla peggio deve definire ‘insorgente’ e che, per quanto mi riguarda personalmente (ma queste sono affermazioni duramente scientifiche, e quindi senza alcuna valenza politica) definisco un soggetto di diritto internazionale, come ho definito tale a suo tempo (e, temo, fra non molto di nuovo) lo ISIS (il Dāʿish, per la precisione) e un’altra entità che si chiama Israele. Qui no, ripeto, ma non per caso, visto quanto affermato dal Presidente degli USA: «pazzo, ma non pagliaccio», frase chiarissima, vera o meno che sia, che implica la deportazione di 2 milioni di persone.

Quel Sabato, Israele ha detto che riprenderà la ‘guerra’ contro Gaza. Anche qui precisiamo: contro la Palestina, perché Gaza ne è parte e perché anche la Palestina o meglio (a mio parere di nuovo scientifico e quindi privo di giudizio di valore) la OLP, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, che ha firmato con Israele un accordo internazionale, sul prato della Casa Bianca, alla presenza e con la firma del Presidente degli USA, Bill Clinton. Che poi Israele, prima (una volta ucciso Rabin, il Primo Ministro firmatario dell’accomodo sul prato della Casa Bianca) e gli USA (lo stesso Bill) abbiano direttamente o indirettamente detto che gli accordi non erano validi perché secondo loro la Palestina non era uno Stato, sono affari loro. Il diritto internazionale concepisce la guerra solo tra enti sovrani. Se uno è sovrano e l’altro no, si chiama massacro, deportazione, repressione, uccisione, quello che volete, ma non ‘guerra’: beninteso in entrambe le direzioni, faccio il giurista, io, e nemmeno io sono pazzo.

Dal punto di vista tecnico giuridico (e quindi al di là di ogni giudizio di valore) Israele è un soggetto di diritto internazionale, con un ‘suo’ territorio (fra virgolette perché Israele si è sempre rifiutata di fissare i propri confini) perfettamente legittimo e che ha la titolarità piena ad esistere e continuare ad esistere, benché nato illecitamente su un territorio che non era il ‘suo’ dal punto di vista del diritto internazionale. Tanto più che la famosa risoluzione 181 del 1947, poteva giuridicamente solo limitarsi a ‘raccomandare’ dei confini e ad auspicare la nascita di due Stati, non a ordinarla. Forse (ma questa di nuovo è una mia opinione scientifica priva di giudizio di valore) poteva e ha potuto esserne una sorta di sanzione dello stato di fatto a posteriori, non infrequente nel diritto internazionale moderno. Sta però in fatto che Israele nella sua dichiarazione sulla propria stessa costituzione, si riferisce esplicitamente a quella risoluzione come fonte giustificatrice della propria esistenza, ma quindi anche come fonte della legittimità dei propri confini: non si può mangiare solo la crema di un cannolo!

Ma se ciò vale per Israele, vale tale e quale anche per la Palestina, il territorio della quale, illegittimamente, come per Israele ‘assegnato’ dalla stessa risoluzione alla Palestina, comunque, ‘spetta’ alla Palestina ora o domani, con le medesime motivazioni che ‘giustificano’ l’esistenza dello Stato di Israele, con in più (cosa che non si applica ad Israele e questo non è un parere scientifico ma una realtà effettuale e concreta) la forza del principio di autodeterminazione dei popoli, che ne rafforza la pretesa alla esistenza su quel territorio.

Poi, come sempre, tutto è negoziabile e purtroppo da giurista, perché la guerra è vietata dal diritto internazionale, ma questo è solo un parere scientifico, privo di giudizio di valore la forza può fare prevalere l’una o l’altra posizione, ma non fino al punto di descrivere l’ipotesi di annullare la Palestina deportandone la popolazione che abita quei territori almeno dal 3.000 avanti Cristo e che gli ebrei nella Bibbia, se non sbaglio, chiamano, tra gli altri, Filistei. La pretesa alla autodeterminazione è assolutamente incontrovertibile, ed è stata non solo riconosciuta dalla storia del diritto internazionale, non solo da ben due sentenze (pareri consultivi: molto più di una sentenza) della Corte Internazionale di Giustizia, non solo da una fondamentale sentenza della Corte di Giustizia della UE, non solo affermata dallo stato attore (e da molti co-attori) nel giudizio tra Sud Africa e Israele alla CIG stessa, ma anche, ripeto ma anche e principalmente, dalla risoluzione 242 del 1967 del Consiglio di Sicurezza delle NU, e poi ribadita nel 1973 parola per parola: e quella sì, è una risoluzione obbligatoria e vincolante.

Potrei aggiungere, non da giurista, ma umanamente perché mi sono occupato del problema, appunto, dal 1967 proprio sull’onda delle emozioni, suscitate da quella guerra, a favore di Israele me compreso umanamente, ma che da giurista mi indusse a studiare il tema, per giungere alle conclusioni di cui parlavo prima. Potrei altresì aggiungere, ribadisco umanamente, che trovo insopportabile l’articolo del Professor Galli della Loggia (Corriere della Sera, 12.2.2025) in cui conclude, dopo lunghe contumelie e lamentazioni con una frase che troverei offensiva (se potessi mai offendermi per giudizi del genere) «se non fosse per tutto questo a chi mai gliene importerebbe davvero di quel che può capitare ad Israele? noi opinione pubblica occidentale, insistendo da sempre sulla virtuosa formula di «due popoli due Stati»Ad esempio la necessità del radicale, oggi pressoché inimmaginabile, cambiamento dello spirito pubblico che domina le masse palestinesi e le sue organizzazioni politiche: chi mai accetterebbe infatti di avere come vicino uno Stato governato da Hamas? Ma naturalmente ad una simile domanda nessuno di noi ha mai pensato o pensa di dover rispondere. Non sono affari nostri, se ne occupino gli israeliani: e se non ci riescono, tanto peggio per loro». Da quando in qua uno Stato si sceglie i confinanti? È una domanda da giurista, priva di giudizio di valore. E se quei vicini non gli piacciono che fa? è una domanda da giurista, priva di giudizio di valore.

Eh no, caro professore. Premesso che Lei non ‘rappresenta’ l’opinione pubblica, ma solo la Sua opinione (come me, del resto, anche se meno famoso e certo meno potente) Lei non può dire a quegli italiani che sostengono la causa palestinese, la legittima causa palestinese, sostanzialmente che sono degli antisemiti, e ricominciare con la storia dell’odio verso gli ebrei, mascherandolo per un odio presunto verso Israele, che in Italia ha avuto sempre ed ha, una difesa indiscutibile sia di Israele, come stato, che del ‘popolo’ ebraico … che, come sa meglio di me, non sono la stesa cosa!

E sorvoliamo sullo «Stato ebraico»: espressine che un giurista e comunque una persona di appena elementare cultura, oggi nel 2025 non dovrebbe nemmeno supporre di pronunciare. Certo, oggi negli USA governa un tale, almeno a parole, deciso e violento, ma, mi permetta di supporre – stavo per scrivere ‘sperare’ – caro Professore, che non molti ebrei italiani avrebbero piacere o si sentirebbero esauditi nelle loro aspirazioni se potessero parlare dei palestinesi come dei «musi rossi» cari al John Wayne della odierna Casa Bianca.

E questo, sì, è un giudizio: politico non solo giuridico.

Di Giancarlo Guarino

Giancarlo Guarino è Professore ordinario, fuori ruolo, di Diritto Internazionale presso la Facoltà di Economia dell’Università di Napoli Federico II. Autore di varie pubblicazioni scientifiche, specialmente in tema di autodeterminazione dei popoli, diritto penale internazionale, Palestina e Siria, estradizione e migrazioni. Collabora saltuariamente ad alcuni organi di stampa. È Presidente della Fondazione Arangio-Ruiz per il diritto internazionale, che, tra l’altro, distribuisce borse di studio per dottorati di ricerca e assegni di ricerca nelle Università italiane e straniere. Non ha mai avuto incarichi pubblico/politici, salvo quelli universitari.