Non c’è spazio per tornare indietro, “il futuro è nostro”. Lo ha detto il leader dell’Hayat Tahrir al-Sham (HTSOrganizzazione per la Liberazione del Levante), Abu Mohammed al-Jolani, alla Tv di stato siriana, come riferisce la Bbc. Prima Aleppo, poi Hama, Homs e infine Damasco, con la fuga del dittatore siriano Bashar al-Assad in Russia: è così che la Siria è caduta dal regime vicino alla minoranza alawita legata allo sciismo, nelle mani di un gruppo militante islamista sunnita da anni coinvolto nel conflitto che sconvolge il Paese dal 2011, giudicato organizzazione terroristica dagli Stati Uniti, Onu, Turchia.

Nata nel 2011 con il nome Jabhat al-Nusra quale affiliata diretta di Al Qaeda (rete terroristica fondata da Osama Bin Laden responsabile degli attacchi dell’11 settembre 2011 contro gli Stati Uniti), è da sempre considerata tra i gruppi più avversari del Presidente siriano Assad. Nella sua fondazione venne coinvolto anche il più famoso Stato Islamico (IS), Abu Bakr al-Baghdadi. Originariamente, nel gruppo si mescolava lo spirito rivoluzionario con l’ideologia jihadista, in contrasto con la principale coalizione ribelle sotto la bandiera della Siria Libera. In seguito, il gruppo ha subito una trasformazione significativa negli ultimi anni sotto la guida di Abu Mohammad al-Jolani, colui che nel 2016, ruppe pubblicamente con Al Qaeda, in aperto contrasto anche con l’ISIS, sciogliendo Jabhat al-Nusra e creando ex-novo nel 2017 una nuova organizzazione, Jabhat Fatah al Sham. A questa prima fase di riorganizzazione ne segue un’altra, nel gennaio del 2017, quando Jabhat Fatah al Sham si fonde con altre fazioni jihadiste e prende il nome di Hayat Tahrir al Sham, sempre sotto la guida di Al Jawlani e diventa il principale gruppo oppositore di Assad. Nel 2018, il Dipartimento di USA inserisce HTS all’interno della lista delle organizzazioni terroristiche internazionali.

Dopo la rottura con Al Qaeda, HTS sembrava aver ridotto il suo obiettivo a cercare di stabilire un dominio islamico fondamentalista in Siria piuttosto che un califfato più ampio, come l’ISIS ha tentato di fare senza riuscirci. Secondo la risoluzione 2021/655 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, prima dell’offensiva del 27 novembre, HTS, con un numero totale di circa 10 mila miliziani, dopo non esser riuscita a conquistare Aleppo, controllava un’area limitata ad alcune delle zone più a nord-occidentale della provincia di Idlib, dove costituisce di fatto l’amministrazione locale, dove vivono circa quattro milioni di persone, la maggior parte delle quali sfollate da città che le forze di Assad hanno riconquistato, ma dove per anni lo scontro con le forze governative è stato durissimo. Fino al 2020, tuttavia, un accordo di cessate il fuoco mediato dalla Russia, da sempre il principale alleato di Assad, e dalla Turchia, grande sostenitore dei ribelli, aveva resistito.

Per acquisire rilevanza, le azioni militari di HTS non si sono limitate solamente ad attaccare le forze del regime, ma sono state dirette anche contro l’ISIS nel nord-est del Paese o le cellule qaediste come Hurras al Din e Ajnad al Qawqaz o le fazioni fazioni islamiste militarmente più deboli come Ahrar al Sham. Uno dei principali gruppi della coalizione che ha preso parte all’offensiva su Aleppo è l’Esercito nazionale siriano (Syrian National Army) comprendente dozzine di fazioni con varie ideologie che, fin dallo scoppio della guerra civile contro il governo di Damasco, ricevono soldi e armi dalla Turchia con la quale l’HTS è riuscita a stringere forti relazioni. «Pregherò a Damasco», disse anni fa il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Come spiega ‘Al Monitor’, durante questo decennio di conflitto, Ankara ha provato di smussare le differenze tra Ens e Hts e favorire un coordinamento sul campo per fini militari. Secondo l’analisi dell’Osservatorio siriano per i diritti umani (SOHR), centro di monitoraggio con sede a Londra ma con un’ampia rete informativa in Siria, l’offensiva lanciata dai gruppi ribelli il 27 novembre è stata effettuata con il sostegno di Ankara.

Da parte sua, l’ex rappresentante speciale degli Stati Uniti per la Siria, James Jeffrey, ha sottolineato come HTS sia diventato “l’opzione meno peggiore tra le varie presenti a Idlib”, vista la sua capacità di contrastare l’ISIS e le cellule affiliate ad Al Qaeda.

“In tutti questi anni di amministrazione a Idlib e nelle altre zone liberate non abbiamo mai imposto il velo a nessuno, né ai musulmani né ai curdi, né ai drusi, né ai cristiani. Perché dovremmo cominciare a imporre adesso limiti alle libertà individuali?”, si è chiesto retoricamente Mazen Jaber, uno dei portavoce di HTS. Il gruppo proietta un’immagine di pragmatismo e moderazione, almeno in confronto ad altre fazioni islamiste. Al centro di questo sforzo di rebranding ci sono le misure volte a salvaguardare i diritti delle minoranze e delle donne, a frenare la violenza indiscriminata e a stabilire strutture di governance nelle aree sotto il suo controllo. Nonostante queste aperture, lo scetticismo sulle vere intenzioni del gruppo rimane pervasivo in quanto HTS affonda le sue radici nell’ideologia salafita-jihadista, una corrente di pensiero che professa la necessità del jihad – inclusa la lotta armata contro gli “infedeli” – al fine di instaurare un nuovo Califfato. Leader ideale del gruppo è considerato lo sceicco Abu Jaber. «Combattiamo per stabilire la sharia. Non ci sarà posto nel Paese per infedeli come sono i musulmani sciiti, i drusi, i cristiani e gli alawiti di Assad», dichiarava al-Jolani nel 2014, a volto coperto e in abiti da combattente.

Ma Al-Jolani -già comandante militare che ha acquisito esperienza come giovane combattente di al Qaeda contro gli Stati Uniti in Iraq durante l’invasione americana prima della sua cattura e prigionia in Iraq. Ma già a partire dal 2017, momento della rottura con Al-Qaeda, aveva iniziato a mostrarsi a volto scoperto, rispolverando il suo nome anagrafico, Ahmed al Shareh. Ha quindi ridotto l’aggressività della sua propaganda contro gli “infedeli”. Dal 2021 ha cominciato a dare interviste a ai media americani, nell’evidente intento di “ripulire” l’immagine del suo gruppo e far saltare l’attribuzione di gruppo terroristico: in un’intervista alla PBS del 2021, ha respinto la designazione di terrorista, affermando che il suo gruppo non rappresenta una “minaccia per la società occidentale o europea”. Gli Stati Uniti hanno infatti messo su di lui una taglia di 10 milioni di dollari.

In una più recente intervista alla Cnn si è presentato come il nuovo leader in pectore della Siria per la quale ha dichiarato di volere m «istituzioni comunitarie, non il governo di un singolo». E sul suo cambio di linea osserva: A 20 anni pensi in un modo, a 40 cambi, è umano». “È un radicale pragmatico”, ha dichiarato all’AFP Thomas Pierret, specialista dell’islamismo in Siria. “Nel 2014 era all’apice del suo radicalismo per imporsi contro la frangia radicale della ribellione e l’organizzazione dello Stato Islamico (jihadista), per poi moderare le sue parole”. Dopo la presa di Damasco, inoltre, il gruppo ha lasciato in carica molti dei ministri di Assad così come gli amministratori locali, almeno per il momento.

Trasformazione reale o travestimento tattico? Le perplessità restano anche perché nel gruppo confluiscono fazioni come Ahrar al-Sham, i cui obiettivi dichiarati sono «rovesciare il regime (Assad)» e «creare uno stato islamico governato dalla legge della Sharia».

“Le dichiarazioni di HTS sul rispetto delle minoranze non dovrebbero essere interpretate come un segno di moderazione nell’ideologia del gruppo”, avverte Kirsten Fontenrose –membro senior non residente della Scowcroft Middle East Security Initiative presso i programmi per il Medio Oriente dell’Atlantic Council ed ex direttore senior del Consiglio di sicurezza nazionale degli Stati Uniti per il Golfo- aggiungendo che “i talebani hanno fatto simili promesse di ‘sentiero di campagna’ per proteggere i diritti delle donne e delle minoranze al fine di facilitare la loro strada verso il potere, quindi le hanno flagrantemente tradite”.

Notando che il presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump ha affermato che gli Stati Uniti non dovrebbero essere coinvolti nel conflitto in Siria, Kirsten Fontenrose, che ha prestato servizio nella prima amministrazione Trump, segnala che “l’unico modo per l’opposizione [siriana] di ottenere la difesa dalla prossima amministrazione degli Stati Uniti è presentare rapidamente un piano pragmatico e unificato per un governo di transizione, elezioni e governance in corso”.

Dopo la presa di Aleppo della scorsa settimana, il vice comandante del gruppo Ahmed al-Dalati ha riunito i leader musulmani in una moschea per impartire istruzioni e li ha invitati a proteggere le minoranze etniche e religiose della città. «Le istruzioni del comando generale del dipartimento delle operazioni militari sono rigorose e chiare. È vietato fare del male a chiunque o invadere le sue proprietà… non solo ai musulmani, ma a tutti gli altri, siano essi cristiani, armeni o qualsiasi setta presente ad Aleppo. … Nessuno deve avvicinarsi a loro», ha detto.

La capacità di HTS di pianificare ed eseguire una campagna nazionale deriva da anni di costruzione di istituzioni. Il gruppo creò un’accademia militare, che addestrò un quadro di combattenti d’élite e istituì un organo di governo civile noto come “Governo della Salvezza“. Sotto la protezione della Turchia, il gruppo ha stabilito Idlib come uno stato islamista di fatto, completo di strutture di governo funzionanti, disciplina militare e un certo grado di autonomia strategica. Queste strutture hanno permesso a HTS di amministrare il territorio in modo efficace e di presentarsi come una forza disciplinata in grado di mantenere l’ordine e proiettare il potere.

Un fattore importante sarà il modo in cui la comunità internazionale utilizzerà la sua nuova leva. “Nessuna entità, inclusa HTS, sarà in grado di gestire efficacemente il paese senza una dipendenza quasi totale dagli aiuti esteri”, sostiene Fontenrose. Eppure “questo è il punto negli scenari post-conflitto in cui i donatori di solito scompiano le cose” perseguendo piani di ricostruzione divergenti, responsabilizzando attori politici concorrenti, finanziando progetti duplicati e non legando i finanziamenti a traguardi specifici.

L’offensiva ha sottolineato l’adattabilità e la raffinatezza di HTS. L’uso della guerra dei droni, le tattiche di infiltrazione e le avances territoriali simili a una guerra lampo hanno sopraffatto le difese del regime. Coordinandosi con altri gruppi ribelli e sfruttando le debolezze della SAA, l’HTS è stata in grado di raggiungere i suoi obiettivi con vittime civili minime, un netto contrasto con le fasi precedenti e più distruttive della guerra civile.