Abu Mohammad al Jolani (nome che lo collega idealmente alle alture siriane del Golan occupate da Israele fin dal 1967), tornato ad usare il nome anagrafico Ahmad Huseyn al Shara, è il leader islamista della coalizione di ribelli Hayat Tahrir al-Sham (HTS) che, attraverso un’offensiva lampo in Siria, ha portato alla caduta del regime del Presidente Bashar al Assad, al potere dal 2000 e fuggito verso Mosca. La presa della capitale è avvenuta domenica 8 dicembre quando è stata proclamata dai ribelli “la città di Damasco libera”.

Già dall’abbandono del nome da combattente,  Jolani sembra essere passato da un vocabolario fondamentalista a toni che vogliono presentarsi più moderati, anche per accreditarsi come leader affidabile di fronte alla comunità internazionale.

Forte delle conquiste sul terreno e desideroso di accreditarsi come interlocutore del prossimo presidente americano Donald Trump, il leader dell’offensiva, Abu Muhammad al Jolani, ha rilasciato sporchi giorni fa un’intervista proprio alla Cnn: “L’obiettivo della rivoluzione è il rovesciamento di questo regime”, ha detto, esibendo un taglio di barba meno minaccioso della sua precedente tradizione qaidista.

“È nostro diritto usare tutti i mezzi disponibili per raggiungere tale obiettivo”, ha aggiunto Jolani, rassicurando però le cancellerie occidentali sulla volontà delle sue milizie di non danneggiare gli interessi delle comunità cristiane e di altri gruppi non sunniti: “Nessuno ha il diritto di cancellare un altro gruppo. Queste comunità religiose hanno coesistito in questa regione per centinaia di anni e nessuno ha il diritto di eliminarle”, ha affermato il capo dei ribelli.

In queste parole, sembrano riecheggiare quelle del padre che, nel suo ultimo libro, ‘Leggere la resurrezione siriana’, scrive che “l’unico futuro è quello di costruire uno Stato civile e democratico; un pluralismo basato sulla cittadinanza senza discriminazioni di razza, religione o setta, attraverso la stesura di una nuova costituzione per il Paese che ne garantisca la sovranità assoluta del popolo, rispetto delle libertà, pluralismo politico, subordinazione delle istituzioni alle leggi e rimozione dell’esercito e delle forze di sicurezza dalla politica dopo aver portato i criminali davanti a tribunali equi”.

Ma chi è al-Jolani? 42 anni, alto, fisico robusto, con barba nera e occhi brillanti, cresce a Mazzé, un ricco quartiere di Damasco, in una famiglia benestante e borghese -madre insegnante e padre consulente del ministero del petrolio siriano- tanto che intraprenderà gli studi di medicina. La sua biografia è comunque influenzata dalla storia paterna: è il 1963 quando il partito Ba’ath ha appena preso il potere in Siria e suo padre, Hussein Al Shara, panarabista laico, si trova a Fiq, un piccolo villaggio nelle alture del Golan, e sta per partecipare insieme ad altri ragazzi membri partito nasserita ad una protesta contro il regime. Schiva dei colpi di pistola a lui destinati  e fugge, ma la sera dopo viene arrestato dalle autorità, per poi essere rilasciato quattro giorni dopo, grazie alle pressioni dei notabili locali. A quel punto, fugge in Giordania. Al ritorno in Siria, subisce un secondo arresto.

Il figlio Ahmad, che nasce nel 1982, si dimostra uno studente brillante fin dalle elementari. Come ricordano su ‘Middle East Eye’ Hamzah Almustafa e Hossam Jazmati, “lo perseguita” l’appellativo di “nazih” (sfollato) perché viene dal Golan, territorio occupato da Israele, ed è per questo emarginato dalla società cittadina. In questi anni, “il senso di disciplina lascia spazio a quello della ribellione”. Nel frattempo, si innamora Sarà di ragazza alawita, appartenente alla setta del presidente Bashar al Assad. Ma sarà un’unione contrastata da entrambe le famiglie in quanto “sunniti e alawiti non si sposano fra di loro”.

Dopo l’11 settembre 2001, nelle moschee dei sobborghi di Damasco così come ad Aleppo, con il benestare ufficioso delle autorità siriane interessate a favorire la partenza verso l’Iraq di giovani siriani (così da avere una moneta di scambio con gli USA), Abu Al Qaqa, predicatore fondamentalista, tiene molti sermoni. In uno di questi gruppi, entra a far parte Ahmad, ignaro di essere reclutato, in realtà, da funzionari dell’intelligence siriana come Mohammad Mansoura.

Una volta partito per l’Iraq in seguito all’ invasione USA del 2003, a Mosul, Jolani sente parlare di Abu Musab al Suri, l’ideologo della Jihad, e, soprattutto, diventa stretto collaboratore di Abu Musab al Zarqawi, il capo di Al Qaeda in Iraq, che scompare nel 2006. Alla sua morte, Jolani viene arrestato viene rinchiuso a Camp Bucca, dove, insieme ad altri, rinfocola la certezza di portare avanti “la causa di Dio”, fi sabilillah.

È in questa fase che incontra Abu Baker al Baghdadi, futuro fondatore dello Stato Islamico (ISIS). Usciti dal carcere, nel 2011, Jolani, in comune accordo con Baghdadi, supera il confine con la Siria e nel 2012 fonda l’ala siriana di al Qaida, Jabhat an Nusra, il che gli aveva guadagnato una taglia da 10 milioni di dollari da parte degli Stati Uniti.

Mediante una amnistia, il governo siriano scarcera centinaia di fondamentalisti. I compagni di cellula che con Jolani erano andati in Iraq a combattere la Jihad tornano in libertà: tra questi, Zahran Alloush, creatore dell’esercito dell’Islam; Hassan Abboud, iniziatore del gruppo salafita di Harar al Sham, che controllerà il nord della Siria. E proprio con quest’ultimo al Jolani avrà diversi scontri, fino a vincere, intestandosi Idlib e spezzando i legami con l’Isis, a cui, inizialmente aveva fornito la logistica.

Nel 2016, quindi, rompe pubblicamente con Al Qaeda, in aperto contrasto anche con l’ISIS, sciogliendo Jabhat al-Nusra e creando ex-novo nel 2017 una nuova organizzazione, Jabhat Fatah al Sham. A questa prima fase di riorganizzazione ne segue un’altra, nel gennaio del 2017, quando Jabhat Fatah al Sham si fonde con altre fazioni jihadiste e prende il nome di Hayat Tahrir al Sham, sempre sotto la guida di Al Jawlani e diventa il principale gruppo oppositore di Assad. Nel 2018, il Dipartimento di USA inserisce HTS all’interno della lista delle organizzazioni terroristiche internazionali.

Dopo la rottura con Al Qaeda, HTS sembrava aver ridotto il suo obiettivo a cercare di stabilire un dominio islamico fondamentalista in Siria piuttosto che un califfato più ampio, come l’ISIS ha tentato di fare senza riuscirci. Secondo la risoluzione 2021/655 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, prima dell’offensiva del 27 novembre, HTS, con un numero totale di circa 10 mila miliziani, dopo non esser riuscita a conquistare Aleppo, controllava un’area limitata ad alcune delle zone più a nord-occidentale della provincia di Idlib, dove costituisce di fatto l’amministrazione locale, dove vivono circa quattro milioni di persone, la maggior parte delle quali sfollate da città che le forze di Assad hanno riconquistato, ma dove per anni lo scontro con le forze governative è stato durissimo. Fino al 2020, tuttavia, un accordo di cessate il fuoco mediato dalla Russia, da sempre il principale alleato di Assad, e dalla Turchia, grande sostenitore dei ribelli, aveva resistito.

Si era poi staccato dal qaidismo internazionale per dar vita a una forma più pragmatica di jihadismo politico con base nella regione nord-occidentale siriana di Idlib. Qui, nel corso degli anni, la Turchia ha esteso la sua influenza politica e militare diretta, avendo già occupato ampie zone del nord-ovest e del nord-est della Siria.

Il pragmatismo di Jolani, fondamentalista convinto, lo ha condotto negli anni a rassicurare: “Non abbiamo progetti internazionali. Solo la Siria”, come se il suo radicalismo fosse nazionalista. «Combattiamo per stabilire la sharia. Non ci sarà posto nel Paese per infedeli come sono i musulmani sciiti, i drusi, i cristiani e gli alawiti di Assad», dichiarava al-Jolani nel 2014, a volto coperto e in abiti da combattente.

Ma Al-Jolani -già comandante militare che ha acquisito esperienza come giovane combattente di al Qaeda contro gli Stati Uniti in Iraq durante l’invasione americana prima della sua cattura e prigionia in Iraq. Ma già a partire dal 2017, momento della rottura con Al-Qaeda, aveva iniziato a mostrarsi a volto scoperto, rispolverando il suo nome anagrafico, Ahmed al Shareh. Ha quindi ridotto l’aggressività della sua propaganda contro gli “infedeli”. Dal 2021 ha cominciato a dare interviste a ai media americani, nell’evidente intento di “ripulire” l’immagine del suo gruppo e far saltare l’attribuzione di gruppo terroristico: in un’intervista alla PBS del 2021, ha respinto la designazione di terrorista, affermando che il suo gruppo non rappresenta una “minaccia per la società occidentale o europea”. Gli Stati Uniti hanno infatti messo su di lui una taglia di 10 milioni di dollari.

In una più recente intervista alla Cnn si è presentato come il nuovo leader in pectore della Siria per la quale ha dichiarato di volere m «istituzioni comunitarie, non il governo di un singolo». E sul suo cambio di linea osserva: A 20 anni pensi in un modo, a 40 cambi, è umano».

“È un radicale pragmatico”, ha dichiarato all’AFP Thomas Pierret, specialista dell’islamismo in Siria. “Nel 2014 era all’apice del suo radicalismo per imporsi contro la frangia radicale della ribellione e l’organizzazione dello Stato Islamico (jihadista), per poi moderare le sue parole”, spiega il ricercatore.

“Penso che sia soprattutto una questione di buona politica. Meno i siriani e la comunità internazionale avranno paura, più Jolani apparirà come un attore responsabile piuttosto che un estremista jihadista tossico, e più facile sarà il suo compito”, afferma interpellato dall’agenzia AFP il ricercatore Aron Lund. “È totalmente sincero? Certamente no. Quest’uomo proviene da una tradizione religiosa fondamentalista molto dura. Ma quello che sta facendo è la cosa intelligente da dire e da fare in questo momento”, conclude Lund.