Al di là dei risultati ufficiali, il vero vincitore delle presidenziali 2024 è stato – secondo la maggior pare dei commentatori – Elon Musk. Il patron di X, Tesla, StarLink e SpaceX è stato da subito uno dei grandi sostenitori di Donald Trump e – certamente – quello che, nel corso della campagna elettorale, ha assunto più visibilità. La vicinanza di Musk a Trump è nota e consolidata. Dal 2022, dopo essere stato acquistato dal Musk, X ha sperimentato una chiara torsione in senso pro-Trump e pro-MAGA, facendosi cassa di risonanza del movimento e contribuendo in modo importante a diffonderne il messaggio fuori dall’ambito degli utenti di Truth, la piattaforma lanciata da Trump dopo essere stato bandito da Twitter. Musk è stato anche uno dei grandi finanziatori della campagna di Trump e di altri candidati repubblicani, con un contributo nel ciclo elettorale 2024 di 132 milioni di dollari secondo i dati certificati dal Federal Election Commission. Lo stesso Trump ha più volte sottolineato la forza del legame con Musk, dedicandogli, fra l’altro, un lungo spazio nel ‘discorso della vittoria’ nella notte del 5 novembre.

Su questo sfondo, la nomina di Musk alla guida di un ipotetico Dipartimento per l’efficienza governativa (Department of Government Efficiency – DOGE) non giunge inaspettata. Negli scorsi mesi, lo stesso Musk si era candidato per un posto simile; una candidatura che, all’epoca, pochi avevano preso sul serio, nonostante l’adesione di Trump all’offerta. I compiti del nuovo dipartimento (che, nonostante il nome, non sarà unagenzia governativa e sarà guidato – oltre che da Musk dell’ex aspirante alla presidenza Vivek Ramaswamy) non sono ancora chiari. Trump ha dichiarato che Musk e Ramaswamy daranno alla Casa Bianca “consigli e indicazioni” e collaboreranno con l’Office of Management and Budget per “guidare una riforma strutturale su larga scala e creare un approccio manageriale al governo mai visto prima”. La convinzione è, comunque, che il dipartimento produrrà soprattutto raccomandazioni per il taglio delle spese federali, un ambito nel quale, secondo Musk si potrebbero realizzare fino a 2.000 miliardi di dollari di risparmi, pari a quasi un terzo della spesa totale annua del governo.

Si tratta di un settore delicato. Secondo le previsioni, se Trump desse effettivamente seguito alle politiche fiscali tratteggiate in campagna elettorale (in particolare ai generosi tagli alle tasse che ha promesso), il debito pubblico statunitense aumenterebbe in modo significativo, con una lunga serie di conseguenze avverse. Per esempio, nelle settimane prima del voto, il think tank Committee for a Responsible Federal Budget (CRFB) ha stimato come una vittoria di Trump sarebbe costata al paese un aumento del debito pubblico pari a 7,5 trilioni di dollari, somma destinata ad aggiungersi a 35,6 trilioni attuali e solo in parte compensata dell’aumento dei dazi sulle importazioni, il cui gettito è stato stimato, dal CRFB, in 2,7 trilioni di dollari. L’interrogativo è quanto Musk e Ramaswamy (le cui posizioni antistataliste e iperliberiste sono note) sapranno svolgere il loro compito in modo non ideologico’ e quanto – come appare più probabile – l’azione del DOGE non sarà una sorta di ‘supporto esterno’ alle scelte della Casa Bianca in campi sensibili come il welfare, le politiche sociali, l’ambiente e la transizione energetica.

Un altro interrogativo riguarda la possibilità che l’‘alchimia’ Trump-Musk possa venire meno. Sinora, i due hanno dimostrato un legame solido, cementato dai vantaggi reciproci che questo si porta dietro. Non si può, però, escludere a priori lo scontro fra due personalità largamente imprevedibili e abituate a porsi sempre al centro della scena. L’eventualità è già stata ventilata da alcuni commentatori, tracciando anche paragoni con figure come quella di Steve Bannon, Chief Strategist e membro del National Security Council negli anni del primo mandato Trump, liquidato senza troppe cerimonie nell’agosto 2017 e tornato in auge solo nel corso dell’ultima campagna elettorale. Quanto il parallelo sia fondato è difficile da dire, anche perché è difficile pensare alla figura di Musk come a quella di un collaboratore (seppure ‘di livello’) del Presidente. D’altra parte, scommettere su un rapporto duraturo destinato magari a protarsi oltre il 2029 è, forse un azzardo anche se – visti i nomi in gioco – una rottura fra l’imprenditore e il Presidente aprirebbe probabilmente scenari imprevedibili per il futuro politico degli Stati Uniti.

Di Gianluca Pastori

Gianluca Pastori è Professore associato nella Facoltà di Scienze politiche e sociali, Università Cattolica del Sacro Cuore. Nella sede di Milano dell’Ateneo, insegna Storia delle relazioni politiche fra il Nord America e l’Europa e International History; in quella di Brescia, Storia delle relazioni e delle istituzioni internazionali.