Quella ucraina è una storia di impossibili fughe e di incredibili massacri. Ecco le radici dell’invasione russa iniziata il 24 febbraio 2022
Il 26 maggio 1896, nella Chiesa della Dormizione al Cremlino, veniva incoronato Nicola II Romanov, l’ultimo zar di tutte le Russie. Di Russia non ce n’era infatti una sola, ma, insieme alla Grande Russia, quella per intenderci di Mosca e San Pietroburgo, c’era la Russia Bianca di Minsk e laggiù, più a sud, la Piccola Russia di Kiev. Sono passati quasi centotrenta anni da allora. Nicola II fece una brutta fine e anche ai suoi successori sovietici alla fine non toccò maggior fortuna. Tempi diversi, uomini diversi e storie diverse, ma su una cosa Nicola II, Stalin, Breznev e ora Putin si sarebbero trovati d’accordo: ‘La grande Madre Russia’, per essere tale, deve comprendere la Grande, la Bianca e la Piccola Russia, vale a dire l’Ucraina. Peccato che, negli ultimi cento anni, metà degli ucraini si siano ostinati a immaginare la grande pianura a nord del Mar Nero come una Patria a sé, quindi non una piccola Russia, ma una terra a parte.
A ben guardare le realtà geopolitiche dell’Ucraina sono state e sono tutt’ora, quattro: l’Ucraina occidentale, mitteleuropea, asburgica e germanofila di Leopoli, quella orientale, russofila e panslavista di Kharkiv a cui si affiancano l’Ucraina centrale con capitale Kiev, e le grandi distese dell’Ucraina meridionale a cavallo del grande fiume Dnepr. Per tutto il XX secolo, entrambe le Ucraine hanno tentato di fagocitare le rispettive ‘sorelle separate’ per dar vita a una ‘Grande Ucraina’. Ogni volta che in Ucraina uno di questi progetti tentava di mettere le ali trovava sempre qualcuno dei suoi bellicosi vicini, vuoi l’Austria-Ungheria, vuoi la Russia sovietica, vuoi la Polonia, disposto a scatenare una guerra per impedirlo.
La storia politica dell’Ucraina è una storia di impossibili fughe e di incredibili massacri. Quello iniziato il 24 febbraio dello scorso anno non è che l’ultimo. Come nella filastrocca di Branduardi, a questa crudele fiera dell’Est venne prima la Russia che si mangiò l’Ucraina fino a Kiev e al Dnepr, poi venne l’Austria che si mangiò l’Ucraina a ovest del fiume; venne poi la Prima Guerra Mondiale che si mangiò l’Austria e lasciò metà Ucraina in bocca alla Polonia e infine venne l’Unione sovietica che si mangiò la Polonia e, naturalmente, tutta l’Ucraina. In seguito, la crisi di fine anni ’80 si mangiò l’Unione sovietica e per un breve periodo nessuno ebbe più la forza di mangiarsi ancora l’Ucraina. Almeno finora.
A partire dal pomeriggio dell’8 dicembre 1991, quando Michail Sergeevič Gorbačëv, ultimo segretario generale del Partito comunista sovietico, annunciò al mondo lo scioglimento dell’URSS, la Russia, quella Grande, si è pian piano rimessa in forze, ricordandosi di non poter vivere senza le sue cugine minori: Bielorussia e Ucraina, che nel frattempo si erano dichiarate indipendenti. Nel frattempo, la Federazione russa aveva perduto tutto il suo ‘estero vicino’, cioè quella cintura di territori sui quali esercitare un’influenza diretta, se non addirittura il controllo, e sui quali poter eventualmente combattere prima di coinvolgere il proprio territorio negli orrori di una guerra futura che nella mente di un russo verrà comunque da Ovest.
Di quella cintura di Stati che era stato il Patto di Varsavia, da lì a poco sarebbero rimasti solo la Russia Bianca, vale a dire la Bielorussia e la Piccola Russia, vale a dire l’Ucraina. Tuttavia,mentre la Bielorussia s’era tenuta ancora agganciata a Mosca attraverso un simpatico dittatore di fabbricazione ex-sovietica, l’Ucraina s’era messa in testa di vivere il suo sogno, magari nell’Unione Europea. Magari, addirittura, nella NATO. Con ogni evidenza, o forse in barba ad essa, a Kiev, in pochi avevano considerato che:
- quando la tua popolazione è meno di un terzo di quella del tuo vicino;
- quando, attraverso il tuo territorio, l’ipertrofico vicino ha accesso alla sua unica base navale nel Mar Nero;
- quando produci gran parte dell’approvvigionamento cerealicolo del mondo;
- quando nelle tue fabbriche e nei tuoi cantiericostruisci un terzo degli armamenti destinati al mercato bellico del potente vicino
allora certe idee non te le puoi permettere o, almeno, devi farlo con una certa cautela. Insomma, nuotare accanto alla balena ha i suoi inconvenienti.
Di sicuro Thomas Wilson, Presidente americano ai tempi della Conferenza di Versailles epropugnatore del principio di autodeterminazione dei popoli, non sarebbe d’accordo, ma per voler invece citare un politico di casa nostra, Giulio Andreotti, viene da dire che nel mondo reale il diritto internazionale, i trattati, le convenzioni ‘per qualcuno si applicano e per altri si interpretano’.
Da quelle parti, i quarant’anni di guerra fredda e di blocchi contrapposti sembravano aver congelato ogni pensiero, compreso quello di un’Ucraina indipendente. Certo, qualche volta come in Ungheria nel ’56 o Praga nel ‘68, qualcuno ci aveva provato, ottenendo, però, sempre la stessa risposta: i carri armati russi in piazza mentre a Washington, come nelle altre capitali del mondo libero, nessuno era andato oltre una ‘vibrata protesta’.
Tuttavia, da quando nell’89 i 27 cavalli delle trabant travolsero il muro di Berlino, insieme alsol dell’avvenire; tramontò anche l’ordinato mondo dei blocchi. In quegli anni ormai lontani, tutti i satelliti dell’ex-URSS fecero a gara a scappare da Mosca e a rifugiarsi nel caldo abbraccio dell’Occidente. Nel 1999, la Polonia, nella cui capitale era stato firmato il Patto di Varsavia, entrava nella NATO; due anni prima, l’Ungheria aveva tenuto un referendum sull’ingresso nell’Alleanza: era stato un plebiscito di sì. Seguirono poi la Romania, la Cecoslovacchiae, infine, le tre Repubbliche baltiche che, addirittura, avevano fatto parte dell’Unione Sovietica. Per ogni abbraccio di ritrovata fratellanza con il temuto Occidente, la Grande Russia digrignava i denti, consapevole che stava via, via perdendo pezzi fondamentali del suo ‘estero vicino’.
Tra i due Stati superstiti, l’Ucraina aveva ben presto iniziato ad oscillare tra Russia e Europa. Per quasi vent’anni si è assistito ad un balletto continuo di nuovi primi ministri e nuovi capi di stato una volta filo-russi e l’altra filo-occidentalifino ad arrivare al 2014 quando, in piazza Maidan, in pieno centro a Kiev, migliaia di persone avevano fatto ben capire che il sogno di aderire all’Unione Europea era qualcosa di più di un semplice sogno. L’aveva capito bene anche Viktor Janukovyč, ultimo Presidente filo-russo della repubblica ucraina che, il 24 febbraio 2014, lasciava Kiev per la Russia inseguito da un mandato di cattura. Il resto che oggi è rappresentato da un esercito di oltre 400.000 uomini che ha invaso la Piccola Russia costringendola a una guerra furibonda può essere riassunto per tappe, partendo, se si vuole, da un’altra invasione russa, quella della Crimea, oppure dalla strage al palazzo dei sindacati di Odessa del maggio del 2014 o anche dall’abbattimento il 17 luglio 2014 del Boing 777 della Malaysia Airlines in servizio fra Amsterdam e Kuala Lumpur, oppure, perché no, dal Donbass, dove, nell’aprile dello stesso anno, partivano le prime cannonate tra l’esercito di Kiev e i separatisti delle regioni di Donetsk e Lugansk.
Negli otto anni che precedono lo scoppio della guerra, oltre un milione di profughi ha lasciato il Donbas, altri 400.000 si sono rifugiati in Russiae 14.000 sono i morti tra i cittadini ucraini. Tutto questo senza che in Occidente qualcuno si accorgesse di nulla. E non ci si era accorti neppure dei così detti ‘accordi di Minsk’, patrocinati da Francia, Germania e Russia con i quali si era tentato di risolvere la faccenda, ma che, per spontanea ammissione di Angela Merkel, al tempo Cancelliere tedesco, erano serviti solo a guadagnare tempo.
Tempo per far cosa? Di certo non per trovare una vera soluzione. Da un lato della barricata, infatti, il nuovo autocrate di quasi-tutte-le-Russie sapeva di non poter perdere quell’ultimo pezzo di ‘estero vicino’, ma sapeva anche di non essere ancora pronto a combattere una guerra per tenerselo. Si accontentava così di sovvenzionare i gruppi neo-nazisti della Piccola Russia per avere un casus bellida usare in futuro e nel frattempo riempiva di armi, munizioni e istruttori le milizie del Donbas, senza,peraltro, trascurare di ungere con una montagna di dollari chiunque tra oligarchi, politici e locali capi-popolo potesse aiutarlo a riportare a casa la cuginetta ribelle.
Dall’altro lato, la svolta filo occidentale di Kiev appariva sempre più decisa e chiara: del resto, il dialogo e la cooperazione tra NATO e governo ucraino erano iniziati già nel lontano 1991, l’anno del quasi colpo di stato a Mosca ma anche della indipendenza ucraina. Allora Kiev aveva deciso di aderire al Consiglio di Cooperazione del Nord Atlantico per poi entrare nel 1994 nel programma PfP (Partenariato per la Pace), avviato dall’Alleanza a favore di tutti i paesi dell’ex-Patto di Varsavia’ e le repubbliche ex-sovietiche che l’avessero richiesto. Erano quelli gli anni convulsi di Boris Eltsin e del partito comunista di Zjuganov; Chernobyl ancora fumava e le iniziative della NATO non avevano suscitato significative proteste da parte di Mosca. Almeno allora.
Nel 1997 mentre si pubblicava il primo libro di Harry Potter e a Parigi, sotto il tunnel dell’Alma, moriva Lady Diana, la NATO e l’Ucraina davano vita al NATO-Ukraine Council (NUC) e sempre dal 1997 l’alleanza apriva a Kiev, in via Melnykova 36/1, il NATO Information Documentation Center(NIDC). Nel 1999, era stata poi l’ora di una rappresentanza ‘semi-diplomatica’, il NATO Liaison Office (NLO: Ufficio di Collegamento della NATO). Anche sul piano operativo e delle missioni, Ucraina e NATO si erano dati da fare. Dal 1996, Kiev aveva contribuito attivamente a tutte le operazioni e alle missioni a guida NATO, a partire da quelle in Bosnia, in Kosovo e in Afghanistan; alle operazioni anti-pirateria nell’Oceano Atlantico, fino a mandare suoi soldati alla NATO Reaction Force.
Insomma, un’amicizia di lunga data che era andatain crescendo fino al 2008 quando al summit dei capi di stato e di governo dei Paesi NATO aBucarest, Bush jr. propone e sostiene con forza la necessità di far entrare Ucraina e Georgia nell’Alleanza. Solo la decisa opposizione di Francia e Germania aveva allora fermato il tentativo. Intanto, da circa otto anni, al Cremlino era insediato Vladimyr Putin, con una personalità ben diversa da quella di Eltsin e deciso a far uscire la Russia dalla palude degli anni ’90 e molto attento a come la NATO si stava muovendo nello spazio ex-sovietico. Si ritorna, quindi, al 2014 quando l’esercito di Kiev, mal equipaggiato, male addestrato e peggio comandato rischia di essere travolto nella repressione delle rivolte in Donbas. Visti gli amichevoli trascorsi, è naturale che Kiev si rivolga alla NATO per rimodernare le proprie forze armate, ripristinarne l’immagine tra la popolazione e aumentarne l’efficienza. Si tratta, però, di un processo lungo e gli ucraini vogliono muoversi in fretta, anche perché Putin è sempre più infastidito dall’intraprendenza della NATO verso Kiev e non lo manda certo a dire. Mentre americani e britannici si danno da fare per rimettere in piedi l’esercito, il governo pensa di ricorrere alle milizie paramilitari, composte in gran parte da mercenari stranieri, ex combattenti delle guerre balcaniche, ultras di calcio e militanti di estrema destra. Nel 2020, le milizie costituiscono circa il 40% delle forze ucraine arrivando a contare quasi 100.000 uomini ripartiti in diverse formazioni, quasi tutte armate, finanziate e addestrate da Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada e Francia. Peraltro, queste milizie, nel 2014, avevano avuto una parte importante nella rivolta di Euro-Maidan, trasformandola da iniziale protesta giovanile in una rivoluzione vera e propria con tanto di morti e feriti.
Negli stessi mesi, Mosca non rimase certo con le mani in mano organizzando un’operazione ibridache entrerà nei libri di strategia militare:l’occupazione della Crimea. Non si era trattato di una vera e propria invasione, almeno non in senso classico. Nei mesi precedenti, Mosca aveva sapientemente suscitato e amplificato il sentimento di crescente preoccupazione della popolazione russa della penisola nei confronti del governo di Kiev, sempre più anti-russo. Dopo qualche mese di manifestazioni, proteste e richieste di aiuto, la Madre Russia non potevacerto rimanere insensibile al ‘grido di dolore’ che si levava dalle sponde del Mar Nero dove, incidentalmente, è alla fonda l’unica flotta russa con sbocco sul Mediterraneo. E’ questal’operazione dei così detti ‘omini verdi’, componenti delle forze speciali di Mosca che senza insegne e gradi, ma con armamento alla mano occupano i gangli della Crimea dichiarandola infine liberata.
L’Occidente reagisce con una serie di sanzioni economiche non particolarmente gravi. Nessuno pensa di spedire a Kiev neppure un proiettile per tentare la riconquista. Come si è detto, passano altri otto anni prima che la Federazione russa pensi che i tempi per riprendersi l’Ucraina siano ormai maturi. Viene da chiedersi come possa venire in mente a qualcuno di invadere una nazione. La domanda è legittima e illuminante di quanto il nostro modo di pensare e di immaginare l’azione politica sia ormai lontano da simili opzioni. Ma siamo poi certi che valga lo stesso dalle parti di Putin?
Questa ricostruzione, per quanto rozza, sarebbe gravemente incompleta se si trascurasse infatti di accennare a quale sia il sentimento che fin dal suo costituirsi anima la ‘Grande Russia’. Una nazione che accoglie oltre duecento nazionalità, che in gran parte costruiscono la propria identità attraverso la narrazione di appartenere ad unaterra perennemente in pericolo, sempre sotto assedio da parte dell’Occidente come dell’Oriente. I popoli che abitano questo spazio sanno che non ci sarà mai una grande catena montuosa a proteggerli, né un oceano, né un deserto. Solo un immenso spazio aperto dove ogni rischio, ogni minaccia può trasformarsi in tragedia.
Nel corso dei secoli, i russi hanno imparato che, se vogliono continuare ad abitare il loro spazio, devono essere pronti ad accettare immensi sacrifici, pur di prevalere. E’ stato così contro i mongoli, i tartari, gli svedesi, i turchi, i polacchi così come contro i tedeschi del Kaiser o quelli di Hitler. Figurarsi se americani o, addirittura, i cugini della Piccola Russia possono davvero metter loro paura. Anzi, nel caso dell’Ucraina, per Mosca c’è anche l’aggravante del tradimento perpetrato da un parente stretto. Insomma la ‘Grande Russia’ ha sempre guardato all’Ucraina come un ‘piez’e core’!Poco importa se negli ultimi cento anni gli ucraini abbiano fatto di tutto per ricavarsi un proprio spazio e ancora meno che i Russi, zaristi prima e sovietici poi, abbiano risposto con stragi, fame e persecuzioni: la ‘Piccola Russia’ è, comunque, affare di famiglia.
Vale, dunque, la pena scatenare una guerra per tenersela? Certo che ne vale la pena, costi quel che costi. Ecco allora la prima lezione impartita da questa guerra ancora in corso: per gli imperi l’economia non è tutto, anzi è molto poco. Sono il potere, il prestigio, la gloria ad essere vitali. Immaginate l’effetto prodotto a Mosca dalle parole del Presidente Obama quando nel 2004 definì la Federazione Russa una ‘potenza regionale’. La Russia sa bene che è condannata ad essere un impero oppure a non essere affatto e, di fronte a questa scelta, è disposta a giocarsi tutto. C’è poi un altro aspetto minore, ma non secondario che può aiutare a capire meglio il perché Putin abbia deciso di passare alle vie di fatto. Tale aspetto si chiama paura. Di cosa? Di un modello. La possibilità cioè che l’Ucraina, anche non appartenendo alla NATO e forse neppure all’Unione Europea, sviluppasse comunque una sua democrazia sostanziale e consentisse ai suoi cittadini di vivere meglio dei suoi dirimpettai russi era ed è intollerabile. Avrebbe significato la fine di un sistema di governo che, dal tempo di Ivan il Terribile, per la gestione del potere, si è sempre basato su l’uomo solo al comando, circondato da una ristretta cerchia di fedelissimi e dove i ricambi avvengono per eliminazione fisica dell’avversario. Una democrazia pulsante nel cuore dell’impero sarebbe stato un virus letale. C’era bisogno comunque di una guerra? Forse no. Forse neppure i pianificatori russi l’avevano prevista o forse solo immaginata così, quando il 24 febbraio di un anno fa l’esercito di Mosca ha varcato la frontiera ucraina invadendo il Paese da cinque direzioni differenti. Di questo, però, parleremo in seguito. Per ora ci basti ricordare che questa è una storia che viene da lontano.