Illustration of a mini replica of Leopard tanks in front of the Ukrainian National flag displayed on a computer screen. On Tuesdayy, February 07, 2023, in Krakow, Poland. (Photo by Artur Widak/NurPhoto)NO USE FRANCE

L’invio di moderni carri armati occidentali è davvero un game changer?

 

 

Non esistono situazioni disperate; solo uomini disperati’, così ammoniva settanta anni fa Heinz Guderian, uno dei padri delle moderne forze corazzate. Siamo dunque a questo punto? Forse no, ma trascorso il primo anno di guerra, sulle pianure ucraine si proiettano nuove e preoccupanti ombre. A dissiparle, non è bastata la decisione di inviare qualche moderno carro armato all’esausto esercito di Zelensky; come in teatro, anche in guerra è, infatti, tutta una questione di tempi.

Per comprendere meglio cosa questo significhi, è dunque opportuno risalire proprio la linea del tempo a cominciare da quando, a metà settembre, le unità ucraine ripresero il controllo dell’intera regione di Kharkiv. In quei giorni, l’esercito russo stava vivendo il momento di maggiore confusione e sbandamento da quando l’attacco iniziale a Kiev era fallito. Disordine, sgomento, abbattimento erano palesi tra le file dei coscritti di Putin così come tra i mercenari della Wagner o i ceceni di Kadirov.

Tra i primi a comprendere che quello poteva essere il momento giusto per la trattativa, era stato il Capo di stato maggiore della difesa USA, il generale Mark Milley. Allora, molto probabilmente con il benestare della Casa Bianca, il sessantacinquenne generale si era permesso di suggerire a Zelensky di iniziare a negoziare da una posizione di forza come quella raggiunta in estate piuttosto che attendere un’improbabile vittoria assoluta. A Kiev nessuno lo aveva ascoltato, così la guerra era andata avanti  registrando, peraltro, un nuovo importante successo per gli ucraini, vale a dire l’abbandono di Kherson da parte del presidio russo.

In quei giorni di fine estate, in molti avevanoiniziato a pronosticare il rapido collasso dell’armata di Mosca e la conseguente fine della guerra. Tuttavia, non altrettanti avevano preso nella dovuta considerazione alcuni fattori che nel tempo non avrebbero mancato di manifestare la propria rilevanza. Il primo era stata la dichiarazione, il 21 settembre 2022, dell’avvio in Russia della mobilitazione parziale di oltre 300.000 riservisti. Le televisioni e i blogoccidentali di quei giorni si erano concentrati a mostrare giovani russi in fuga o altri catturati fuori dai bar come ad annunciare il fiasco di una simile, disperata iniziativa. Eppure qualcuno deve pur aver risposto alla chiamata visto che a novembre dello scorso anno erano stati incorporati oltre 250.000 nuovi soldati. Non solo. I peggiori o i meno adatti erano stati subito spediti sulla linea del Donbas a tener duro; gli altri, i più svegli, gli specializzati o semplicemente quelli più fortunatierano stati sottoposti a un intenso programma di addestramento e ricondizionamento ancora in via di completamento nelle basi e nei poligoni russi e bielorussi. Nel frattempo, l’abbandono di Kherson, ordinato da ‘Armageddon’ come è simpaticamente soprannominato il nuovo comandante delle forze russe in Ucraina, generale Sergej Surovikin, aveva consentito di recuperare circa 30.000 uomini fino ad allora bloccati nell’inconcludente presidio di una città indifendibile. Del ritiro da Kherson si era avvantaggiata anche la sbilenca catena logistica russa nonché la linea del fronte, ridotta di un centinaio di chilometri.

E mentre Medvedev e Putin minacciavano apocalittici attacchi con nuove e sconosciute potentissime armi, più prosaicamente parte dell’industria pesante russa si stava riconvertendo ai ritmi e alle necessità di una guerra su vasta scala. Anche se rallentata da una serie di problemi organizzativi, dall’endemica corruzione degli apparatchik e solo in parte dalle sanzioni occidentali, la macchina produttiva di guerra russa si era messa in moto iniziando a ripianare le immense perdite di mezzi e materiali patite nei primi mesi dell’operazione militare speciale. Sul campo, visto che sul terreno era d’obbligo una tenace difensiva, il Cremlino aveva avviato una potente e costante offensiva aerea condotta a colpi di missili e droni, che se pur ridotta in durezza e intensità non accenna ancora a placarsi. Obiettivo: la rete energetica e dei trasporti allo scopo di impedire o rallentare ogni produzione bellica da parte di Kiev e fiaccare il morale della popolazione. Se la prima finalità sembra essere stata raggiunta, per la seconda siamo ancora in alto mare. E’ sotto gli occhi di tutti di quanto gli ucraini, almeno quelli rimasti in patria, siano sempre più determinati a combattere questa che sempre più è vista come una guerra per la sopravvivenza stessa del Paese.

Ecco allora che torniamo al tempo. Nel periodo in cui l’esercito russo era palesemente più debole, che cosa si è fatto? Sono state inviate altre batterie di HIMARS, qualche centinaio di obici, veicoli ruotati protetti e munizioni, tante munizionioltre a mantenere una costante e capillare copertura di sorveglianza e intelligence sulle azioni dei russi. In apparenza, dunque, a Kiev non avrebbero avuto ragione di lamentarsi, ma allora perché Zelensky non ha perso occasione per chiedere altre armi e munizioni? E’ forse in preda a una furia distruttiva?

Se è vero che ‘a caval donato non si guarda in bocca’, è altrettanto vero che il cavallo non è certo un purosangue. Ad un’occhiata più attenta, si scoprirà, infatti, che nei mesi passati Kiev è stato rifornito di tutto quello che di ex-sovietico era possibile recuperare nei depositi della Polonia, in Ungheria e di tutti i Paesi NATO un tempo ex-patto di Varsavia. Si era andati a scavare fino in Marocco e a Cipro alla ricerca di qualche T72, T64 o BMP ancora funzionante da poter gettare nella fornace ucraina. Con quei mezzi e con quelli abbandonati dai russi sul campo di battaglia, l’esercito di Zelensky aveva fatto davvero miracoli, ma ora di mezzi del genere non se ne trovano quasi più e il tempo dei prodigi è tramontato.

Non ci vuole certo un genio per comprendere come, se una produzione bellica, quella russa, è in costante aumento e la situazione del parco armi e mezzi dell’Ucraina peggiora di giorno in giorno presto o tardi, il divario sarà tale da consentire a Mosca di condurre un’offensiva decisiva. Anche la situazione del personale inizia a scricchiolare. Se nei primi mesi della guerra Kiev poteva infatticontare, oltre alla determinazione e al coraggio, anche su una preponderanza numerica di 2 a 1, ormai il rapporto si è parificato e presto verrà ribaltato a favore dei russi. Come mai? Ricordate la mobilitazione parziale che ci aveva strappato un sorriso? Si, proprio quella sta fornendo a Putin un esercito nuovo di zecca da affiancare o sovrapporre a quello che si sta consumando in Donbas. La situazione è peraltro così seria che lo stesso generale Valery Zalužnyj, da giugno a capo delle forze armate ucraine, ha auspicato un’ulteriore mobilitazione dei giovani ucraini per compensare le perdite sofferte in questi mesimantenere un rapporto di forze ancora favorevole.

Siamo quindi giunti al tempo presente, quando gli Stati Uniti e tutti gli altri Paesi che concorrono all’alleanza dei volenterosi a sostegno dell’Ucraina si sono decisi all’invio di moderni carri armati. Finalmente, verrebbe da aggiungere, e, invece, anche in questo caso c’è da dare un’occhiata più attenta a questa scelta e alle sue conseguenze. In primo luogo, se è vero che si è deciso di inviare carri da combattimento moderni, sul numero c’è da riflettere. Zelensky e il suo stato maggiore sanno bene che, per raggiungere qualche significativo ribaltamento di situazione, dovrebbero disporre di almeno 500 o 600 carri e, invece, finora si è parlato di circa un centinaio e neppure dello stesso tipo. Al riguardo, la Gran Bretagna ha annunciato che invierà una quindicina di Challenger, la Germania un’altra quindicina di Leopard 2 ai quali si uniranno quelli di Polonia, Lituania e di molti altri Stati. C’è infatti da precisare che, a parte la Francia che è equipaggiata con il carro Leclerc, la Gran Bretagna con il già citato Challenger e noi con l’Ariete (sul quale è meglio sorvolare), tutto il resto d’Europa e molti altri Paesi del mondo sono equipaggiati con il tedesco Leopard 2, un mastodonte di oltre 60 tonnellate, spinto da un motore da 1500 cavalli e armato con un cannone da 120 mm in grado di sparare in movimento. Del Leopard 2, la Rheinmetall di Dusseldorf ne ha prodotte svariate versioni a partire dall’originaria A1 fino alla più moderna A7. Per ciascuna di esse,qualcosa sul carro è cambiato o è stato aggiunto. Significa che per ogni versione sarà, necessariauna logistica dedicatainfatti, non tutto quello che, ad esempio, va bene per una versione A3, lo si monta anche su un A5. Oltretutto, la Germania mantiene non solo il diritto ad autorizzare la cessione a un Paese terzo di ogni Leopard 2venduto a chicchessia, ma è anche l’unica in grado di effettuare grandi riparazioni e manutenzioni ultra-specialistiche su questo carro.

La riluttanza di Berlino ad autorizzare l’invio dei ‘suoi’ Leopard in Ucraina è motivata però anche da altre ragioni: ad esempio, la Rheinmetall non sarebbe particolarmente felice di constatare che uno dei suoi carri è finito in mano russa per essere sottoposto a un minuzioso retro-engeneering. Cosa dire poi se alla prova del fuoco questo prodigioso (e costoso) mezzo si dimostrasse non all’altezza della sua fama? C’è da immaginare che le ripercussioni sul ristretto mercato mondiale delle armi sarebbero gravi. Non ultimo, tra i dirigenti tedeschi si potrebbe essere insinuato il malevolo sospetto che, una volta che i molti Paesi europei ed extra-europei si decidessero a donare i loro Leopard 2all’Ucraina, gli stessi potrebbero essere tentati di rimpiazzarli non con altri Leopard 2, ma con i loro concorrenti americani, i carri Abrams o con qualche mezzo magari sud coreano. La Polonia, d’altra parte, l’ha già fatto. C’è poi da aggiungerela scarsa voglia da parte della Germania di inimicarsi ancor di più la Federazione russa con la quale da tempo mantiene rapporti commerciali e finanziari strettissimi.

Dunque, qual’è stata la soluzione? Proporre agli USA di subordinare la concessione delle necessarie autorizzazioni alla cessione dei Leopard 2 ad un analoga fornitura di carri Abrams e che comunque il numero dei carri cedibili non sarebbe potuto essere tale da pregiudicare le capacità di difesa dei vari offerenti. In altre parole, darne pochi e darne tutti. A questo punto, è stato Washington a storcere il naso per motivi in gran parte analoghi a quelli diBerlino. La soluzione americana è stata, perciò, di inviare un centinaio di Abrams da trarre però non dalle scorte strategiche dell’esercito, ma direttamente dalla linea di produzione e c’è da scommettere che sulle pianure ucraine non vedremo certo l’ultimo modello di questo carro a stelle e strisce.

In conclusione, all’esercito ucraino, stando alle correnti decisioni, arriveranno un centinaio di carri o forse duecento, misti tra Challengerbritannici, Leopard 2 di svariate versioni e qualche Abrams; tutto questo per la gioia di ogni responsabile logistico o capo officina che dovrà prepararsi a confrontarsi non uno svariato numero di catene logistiche diverse. Guardiamoper un’ultima volta al tempo per constatare che,mentre tutto questo è ancora bel al di là dal realizzarsi, nelle retrovie del fronte del Donbass quasi quotidianamente si ha notizia dell’arrivo di convogli ferroviari che trasportano T72B e T90 M revisionati o nuovi di fabbrica. Viene allora da chiedersi per quale ragione Mosca dovrebbe attendere l’arrivo dei nostri rinforzi per scatenare la sua ennesima offensiva. Forse per questo da parte USA e britannica si inizia a parlare di uan nuova offensiva russa e fine febbraio. Come al solito, vedremo.

Di Paolo Capitini

Il generale Paolo Capitini, ha preso parte a diverse operazioni all’estero (Somalia, Bosnia, Kosovo, Ciad e Repubblica Centro Africana, Haiti e Libia) e ha prestato servizio presso il Comando Operativo di Vertice Interforze a Roma, presso il Corpo di Reazione Rapida della NATO a Lille e la Scuola Sottufficiali Esercito a Viterbo. Esperto di scienze strategiche e di storia militare.