Pochi giorni fa, il sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, è stato condannato a due anni, sette mesi e 15 giorni di carcere per oltraggio a pubblico ufficiale (per cui rischiava quattro anni), in particolare per aver insultato – definendoli ‘folli’, espressione già usata dal Ministro dell’Interno Suleyman Soylu contro di lui – i membri del Consiglio elettorale che nel 2019 annullarono le elezioni comunali da lui vinte con scarto minimo (marzo 2019) contro il candidato di Recep Tayyip Erdoğan, l’ex Premier Binali Yıldırım, per essere poi rivinte, pochi mesi dopo (giugno 2019), con maggior margine, in seguito al ricorso per irregolarità (e alle pressioni) alla Commissione elettorale da parte del turco Presidente per il quale fu una vera e propria batosta.
Dopo la sentenza, sono scese in piazza migliaia di persone, chiedendo le dimissioni del governo. “Questa decisione è la prova che non c’è più giustizia in Turchia”, ha arringato Imamoglu, denunciando “lo schiaffo alla democrazia” arrivato dai giudici. E ha promesso: “Non mi fanno paura e non mi arrendo, faremo in modo che chi ha cercato di condannarci se ne penta alle urne”. Messaggi di solidarietà sono arrivati anche dagli altri partiti di opposizione.
La condanna non prevede la carcerazione effettiva perché è al di sotto del limite in cui in Turchia si applica la pena carceraria, ma prevede un divieto di svolgere attività politica e, quindi, ricoprire incarichi politici: qualora divenisse definitiva, Imamoglu sarebbe costretto alle dimissioni dalla carica di sindaco e non potrebbe candidarsi alle elezioni politiche in programma tra sei mesi.
La figura di Imamoglu è cruciale perché, da membro del Partito Popolare Repubblicano (CHP), il più grande partito socialdemocratico laico della Turchia, si è affermato come l’’anti-Erdogan’. In quest’ottica, la sentenza è un’ottima notizia per il Presidente turco non solo perché gli consentirà di riprendere il controllo di Istanbul, ma anche perché potrebbe impedire al suo più forte sfidante di candidarsi alle elezioni presidenziali e parlamentari del giugno 2023 in vista delle quali Erdogan è in estrema difficoltà: gli indici della sua popolarità sarebbero scesi sia sotto quelli di Imamoglu che del sindaco di Ankara, Mansur Yavas , dello stesso partito di opposizione.
Una delle principali cause resta la crisi economica in corso – aggravata dalle conseguenze della pandemia e della guerra russo-ucraina – che il governo non sembra saper gestire. Il tasso annuo di inflazione della Turchia è salito oltre l’80% . In particolare a ottobre l’indice dei prezzi al consumo CPI è salito per il 17esimo mese consecutivo, segnando un balzo record dell’85,5% su base annua (soprattutto i prezzi dei beni energetici e alimentari), il livello più alto dall’estate del 1998. In Turchia, il tasso di inflazione aveva iniziato a surriscaldarsi ben prima della guerra in Ucraina: già lo scorso gennaio l’inflazione turca volava già al record degli ultimi 20 anni, con un boom di quasi il 50%, al record in un ventennio. Ma gli economisti indipendenti sottolineavano di credere che il boom vero fosse pari a +110%. E in un sondaggio nazionale del febbraio 2021, il 50% dei turchi affermava che la povertà li stava portando a saltare i pasti.
La crisi economica è direttamente associata al governo di Erdogan , che ha provocato una fuga di cervelli e politiche finanziarie sbagliate, in particolare la sua insistenza sull’abbassamento dei tassi di interesse -la ‘madre di tutti i mali’ secondo il Presidente- per ridurre l’inflazione, il contrario di quello che suggeriscono gli economisti.
Nel mese di settembre, Erdogan aveva dichiarato: “La mia battaglia più grande è contro gli interessi. Gli interessi sono il mio più grande nemico. Abbiamo abbassato i tassi al 12% (prima dell’ulteriore taglio di ottobre). E’ sufficiente? Non lo è. I tassi devono scendere ancora di più”. Così ha proceduto con una politica monetaria dissennata di una banca centrale a cui è stato messo letteralmente il bavaglio vedendosi costretta a tagliare ripetutamente i tassi nonostante l’inflazione: i tagli si sono succeduti uno dopo l’altro nel corso del 2020 e del 2021 durante i quali ha ‘defenestrato’ ben quattro banchieri centrali, che hanno osato contrastare le sue opinioni in tema di politica monetaria: tra questi, Naci Agbal, ‘reo’ di aver alzato i tassi per cercare di frenare il boom dei prezzi; all’inizio di dicembre del 2021 era stato ‘fatto fuori’ il ministro delle Finanze Lutfi Elvan, cacciato a poco più di 12 mesi dalla sua nomina, colpevole di non aver partecipato agli applausi nel corso di un discorso che Erdogan aveva tenuto in Parlamento. All’inizio del 2022, veniva messo alla porta anche Sait Erdal Dincer, numero uno dell’Istat della Turchia, accusando l’agenzia di statistica di aver praticamente gonfiato i numeri relativi all’inflazione. Poco prima di essere silurato, Dincer si era sfogato in un’intervista rilasciata al quotidiano finanziario Dunya, evidentemente conscio del destino imminente: “Al momento sono qui, seduto in questo ufficio. Domani ci sarà qualcun altro. Non importa chi sarà il (nuovo) presidente. Immaginate centinaia dei miei colleghi, che devono sopportare o rimanere zitti mentre sono costretti a pubblicare numeri sull’inflazione ben diversi da quelli della realtà?”.
Come dimostra questa purga di alti funzionari, un altro tallone d’Achille è il profilo sempre più smaccatamente autoritario del regime, che è andato via via associando la legittimità derivante dalle vittorie elettorali al consolidamento del potere mediante numerosi metodi che nulla hanno a che vedere con lo Stato di diritto: tra questi, la repressione e la carcerazione degli oppositori politici, dopo processi farsa e con accuse pretestuose, come accaduto a Selahattin Demirtaş, un leader politico curdo in carcere dal 2016, e più di recente, nel maggio 2022, un’altra delle principali leader del CHP, Canan Kaftancioglu, condannata a 4 anni di carcere. Ed altri 108 esponenti del partito filo-curdo sono in attesa di giudizio e la stessa formazione politica potrebbe presto essere messa al bando per presunti legami con il Pkk.
Nella stessa direzione di restringimento delle libertà funzionale al rafforzamento di chi è al potere è la censura (e la carcerazione) dei giornalisti e dei social media, rinvigorita, poche settimane fa, da una nuova legge apposita. Ma senza dimenticare le altrettanto efficaci misure di confisca e l’estesa rete di capitalismo clientelare strettamente connessa al partito di governo.
Ben più modesto ritorno di consenso, invece, starebbe avendo il grande attivismo attuato da Erdogan in politica estera: dalla tentata e, talvolta riuscita (vedi l’accordo sul grano) mediazione tra Russia e Ucraina alla normalizzazione delle relazioni con l’Egitto di Al-Sisi, con l’Arabia Saudita di Bin Salman e gli Emirati Arabi Uniti di Bin Zayed nel tentativo, forse, di incoraggiare anche il loro sostegno finanziario per la campagna elettorale, passando per la tanto sbandierata e, al momento, non ancora concretizzata invasione del Nord della Siria in risposta all’attentato di Istanbul.
Non a caso, Erdogan, durante una cerimonia nella provincia di Samsun sul Mar Nero, ha dichiarato: “Nel 2023, inizieremo la costruzione del centenario della Turchia e apriremo la strada ai giovani con la forza che otterremo dal sostegno che abbiamo chiesto per l’ultima volta a nostro nome dalla nazione”. Rivolgendosi ai presenti, poi, il Presidente ha detto: “Tutti possono vedere l’enorme differenza tra la Turchia che abbiamo ereditato dai nostri anziani e la Turchia che consegneremo ai giovani. Una persona che governa il Paese da così tanti anni, ovviamente, può avere difetti e fare errori. Il problema più grande della vecchia Turchia era che coloro a cui la nazione dava autorità non venivano ritenuti responsabili. Facciamo questo calcolo da soli, senza lasciarlo a nessun altro”.
‘Corsi e ricorsi storici turchi’ si potrebbe dire dato che per Imamoglu potrebbe prospettarsi lo stesso iter di Erdogan, la cui ascesa politica, iniziata con l’elezione a sindaco di Istanbul nel 1994, venne ostacolata dall’élite laicista, che all’epoca dominava la politica turca e temeva l’ascesa del conservatorismo religioso: nel 1997, l’attuale Presidente turco lesse pubblicamente la poesia di un poeta conservatore turco e questo, l’anno dopo, gli costò una condanna del tribunale a dieci mesi di carcere per incitamento all’odio religioso. Un’ingiustizia, sicuramente, che, tuttavia, non fece che rafforzare la sua leadership ed ampliare la base del suo consenso.
Potrebbe accadere lo stesso ad Imamoglu il quale ha già annunciato che farà appello contro la condanna, ma che per il momento continuerà molto probabilmente a fare il sindaco. Peraltro, l’immagine del sindaco era stato offuscata a causa di una serie di contrattempi, come il fatto che il sindaco fosse sempre da qualche parte in vacanza quando le tempeste di neve o le inondazioni colpivano la città , o il suo contatto con i giornalisti filogovernativi in viaggi completamente pagati in altre città. Ha lottato per migliorare i servizi cittadini, in parte perché il governo gli ha impedito di prendere prestiti, ed è stato accusato di essere troppo vicino ad alcuni uomini d’affari legati a Erdogan.
Va detto che, per la prima volta da decenni, a queste elezioni l’opposizione, sembra volersi presentare unita, con una coalizione di sei partiti guidati dal CHP, il partito di cui Imamoglu è uno dei leader.
Sebbene il CHP e gli altri partiti di opposizione non abbiano ancora scelto il proprio candidato per sfidare Erdogan, Imamoglu è indicato da tempo come uno dei più adatti.
Il principale leader dell’opposizione, Kemal Kilicdaroglu , capo del Partito popolare repubblicano (CHP) e (negli ultimi mesi) impegnato in numerosi quanto mal visti viaggi all’estero, ambisce a essere il candidato, e gli altri sei leader dell’opposizione nel processo negoziale sono arrivati vicini a concludere l’accordo. Ma Meral Aksener, leader del partito nazionalista IYI, si oppone, da ben prima della sentenza contro Imamoglu, all’accordo anche perché scettico della capacità di Kilicdaroglu di vincere contro Erdogan. Non a caso, si è presentata in piazza al fianco del sindaco di Instabul, promettendo che “la canzone del sindaco non sarà interrotta”. La posizione di Imamoglu nei sondaggi contro Erdogan è di gran lunga migliore di quella di Kilicdaroglu e questo avrebbe spinto anche l’ex primo ministro Ahmet Davutoglu, ora leader del Partito del futuro (Gelecek), molto vicino a sostenere Imamoglu come candidato presidenziale dell’opposizione.
Tuttavia, la candidatura di Imamoglu porta con sé numerose incognite per l’opposizione. Innanzitutto, i tempi necessari per l’appello contro la sentenza tuttavia potrebbero complicare la sua candidatura. Dovrà prima impugnare la decisione del tribunale dinanzi alle Corti d’Appello Regionali e, se il verdetto non gli sarà favorevole, ne darà seguito in Cassazione. Non è detto che, sempre per finalità politiche, il processo possa arrivare a sentenza molto velocemente, anche prime delle elezioni: Imamoglu potrebbe essere registrato come candidato presidenziale, ma poi cancellato da un verdetto del tribunale poco prima delle elezioni, lasciando, di fatto, l’opposizione senza un candidato. Questa eventualità potrebbe favorire la candidatura di Kilicdaroglu, ma potrebbe anche spaccare l’unità dei partiti di opposizione che abbandonerebbero lo schema del candidato unico per tornare a correre ciascuno con un proprio candidato.
Erdogan, dunque, può tirare un sospiro di sollievo? Cosa ne sarà di Ekrem Imamoglu? Lo abbiamo chiesto ad Ahmet Kuru, Professore di scienze politiche e Direttore del Center for Islamic and Arabic Studies presso la San Diego State University, oltre che autore di ‘Islam, Authoritarianism and Underdevelopment: A Global and Historical Comparison’ (Cambridge University Press).
Professor Kuru, il sindaco di Instanbul, Ekrem Imamoglu, è stato condannato a 2 anni e 7 mesi di carcere con l’accusa di aver insultato i membri del Consiglio elettorale supremo della Turchia durante il discorso da lui pronunciato nel 2019 per la vittoria elettorale. Imamoglu ha commentato la vicenda affermando: “Questa decisione è la prova che non c’è più giustizia in Turchia. È uno schiaffo alla democrazia”. È, secondo te, una ‘sentenza politica’, motivata dai ‘timori elettorali’ e dalla debolezza di consenso di Erdogan?
Sì, sicuramente. In qualsiasi paese, se una persona viene condannata a oltre 2 anni e mezzo di prigione e viene esclusa dalla politica solo per aver detto “coloro che hanno annullato la mia elezione sono degli sciocchi”, allora la sentenza sarebbe definita politicamente motivata.
Che rapporto c’è tra la giustizia turca e il regime di Erdogan?
Non c’è separazione dei poteri in Turchia come dovrebbe essere in una democrazia. Il regime di Erdogan controlla la magistratura e l’ha progettata nei minimi dettagli. È quasi impossibile vedere un giudice o un procuratore che possa prendere decisioni che contraddicono i piani politici di Erdogan.
Tu hai scritto che questa sentenza “conferisce al presidente Recep Tayyip Erdogan una doppia vittoria: non solo significa che Erdogan riprenderà il controllo di Istanbul, ma potrebbe anche impedire al suo più forte sfidante di candidarsi alle elezioni del giugno 2023”. Partiamo dalla prima questione: cosa significherebbe, nel caso la sentenza venisse confermata, per Erdogan riprendere il controllo di Istanbul? Perché è così importante?
Il partito di Erdogan, Justice and Development Party (AKP), ha vinto la maggior parte dei seggi nel consiglio municipale di Istanbul, anche se ha perso l’elezione del sindaco di Istanbul. Quindi, se Erdogan ha fatto incarcerare Imamoglu e rimosso dalla carica di sindaco, il suo partito eleggerà il sindaco sostituto usando la sua maggioranza nel consiglio municipale di Istanbul.
Veniamo alla seconda questione, quella elettorale. Lei ha scritto: “Il pericolo per Erdogan è che se la popolazione turca ritiene che l’incarcerazione di Imamoglu sia politicamente motivata, potrebbe rendere più popolare il suo rivale”. Imamoglu verrebbe visto come la vittima di un sistema ingiusto. E, molto opportunamente, ha ricordato anche che “la lunga strada del Presidente turco è iniziata con la sua elezione a sindaco di Istanbul nel 1994 . L’élite laicista, che all’epoca dominava la politica turca e temeva l’ascesa del conservatorismo religioso di Erdogan, lo bandì dalla politica con una decisione del tribunale che lo vide imprigionato per quattro mesi per incitamento all’odio religioso in un discorso. Quel discorso, infatti, ha solo rafforzato il sostegno di Erdogan”. Secondo te, potrebbe accadere lo stesso per Imamoglu? Perché? Se ciò accadesse, la carcerazione rischia di trasformarsi ‘boomerang’ per Erdogan?
Sì, a lungo andare questa sentenza politicamente motivata renderà Imamoglu più popolare. È probabile che gli elettori turchi reagiscano a questo intervento ingiusto alla loro decisione elettorale. Ma nel breve periodo, i risultati dipendono dalle strategie dell’opposizione. Se non dichiarano Imamoglu come loro candidato, o se dichiarano un candidato debole per le elezioni presidenziali del giugno 2023, allora ci sarà un effetto boomerang per Erdogan nel breve periodo.
Lei ha scritto che ciò che rende Imamoglu “una minaccia elettorale potenzialmente potente per Erdogan” è “la sua capacità di fare appello agli elettori di vari segmenti della società”. Quali e perché? E perché Erdogan non ha più la stessa capacità?
Erdogan non può ottenere i voti dei segmenti laici della società turca a causa del suo discorso e delle sue politiche islamiste. È anche improbabile che Erdogan riceva voti curdi a causa dei suoi alleati e atteggiamenti nazionalisti. Imamoglu, tuttavia, è diverso. Può ottenere voti curdi pur mantenendo stretti rapporti con i politici nazionalisti. È di un partito laico, ma è in grado di ricevere voti religiosi. Questo è ciò che lo rende il più forte contendente contro Erdogan.
Imamoglu dovrà prima impugnare la decisione del tribunale dinanzi alle Corti d’Appello Regionali e, se il verdetto non gli sarà favorevole, ne darà seguito in Cassazione. Il verdetto finale potrebbe essere emesso prima delle elezioni del giugno 2023. Imamoglu potrebbe essere registrato come candidato presidenziale dell’opposizione, ma poi cancellato da un verdetto del tribunale poco prima delle elezioni, lasciando l’opposizione senza un candidato. È un rischio che l’opposizione è disposta a correre?
Vedremo. Il problema principale non è che i leader dell’opposizione siano preoccupati per i rischi legali. Il problema principale è che il leader della principale opposizione, il Partito popolare repubblicano, Kemal Kilicdaroglu, vuole diventare lui stesso il candidato. Ecco perché Kilicdaroglu blocca la candidatura di Imamoglu, nonostante Imamoglu sia molto più popolare di Kilicdaroglu.
Il principale leader dell’opposizione, Kemal Kilicdaroglu , capo del Partito popolare repubblicano (CHP), mira a essere il candidato, e gli altri sei leader dell’opposizione nel processo negoziale sono arrivati vicini a concludere l’accordo. Ma Meral Aksener, leader del partito nazionalista IYI, si oppone ancora all’accordo, anche prima che arrivasse il verdetto di Imamoglu, ed ha espresso malcontento nei confronti della gestione del processo di selezione da parte del CHP e non sembra credere che Kilicdaroglu possa vincere contro Erdogan. La posizione di Imamoglu nei sondaggi contro Erdogan è di gran lunga migliore di quella di Kilicdaroglu. Anche l’ex primo ministro Ahmet Davutoglu, ora leader del Partito del futuro (Gelecek), sembra vicino a sostenere Imamoglu come candidato presidenziale dell’opposizione. Lei ha scritto: “Se l’opposizione persegue una strategia ragionevole, Erdogan si avvia verso la sconfitta alle elezioni del giugno 2023, se il voto sarà equo e libero. Ma gli osservatori temono che tenterà di ingannare il sistema o di cambiare le regole per vincere le elezioni e mantenere i suoi poteri superpresidenziali per altri cinque anni”. In che modo, secondo te, Erdogan potrebbe ‘ingannare il sistema’ e/o cambiare le regole del gioco? Cosa ti aspetti nei prossimi mesi che ci dividono dalle elezioni turche? Nel caso l’opposizione decidesse di procedere col sostegno ad un altro candidato, su quale figura potrebbe, secondo te, cadere la scelta? E quest’altra scelta danneggerebbe il risultato elettorale dell’opposizione, favorendo Erdogan?
La maggior parte del piano per manipolare le elezioni del giugno 2023 è rimuovere il candidato più forte, Imamoglu. Le altre parti possibili includono la chiusura del Partito filo-curdo con una decisione del tribunale e un’operazione militare in Siria o in un altro paese vicino.
Veniamo ai due talloni d’Achille del Presidente turco. “Erdogan ha già lavorato per stabilire media compiacenti, attraverso la confisca, il capitalismo clientelare e la repressione , compresi l’ arresto e l’incarcerazione di giornalisti . A ottobre, Erdogan ha introdotto una nuova ‘legge sulla censura’”, tu hai scritto. Inoltre, ha già arrestato oppositori come Selahattin Demirtas, l’ex co-presidente del Partito Democratico del Popolo filocurdo (arrestato sei anni fa) e Koftan Cioglu. L’ autoritarismo crescente è un motivo del calo di consensi di Erdogan? E perché la crisi economica danneggia il consenso del Presidente turco? Cosa gli viene rimproverato?
Le politiche autoritarie di Erdogan hanno ridotto in una certa misura la sua popolarità. Ma il vero danno alla sua popolarità lo ha fatto la crisi economica. Il tasso di inflazione annuale della Turchia è salito oltre l’80%. In un sondaggio nazionale del febbraio 2021, il 50% ha affermato che la povertà li stava portando a saltare i pasti. La crisi economica è direttamente associata al governo autoritario di Erdogan, che ha provocato una fuga di cervelli e le sue politiche finanziarie sbagliate, in particolare la sua insistenza sull’abbassamento dei tassi di interesse per ridurre l’inflazione, una politica che va contro ciò che la maggior parte degli economisti prescriverebbe.
Crede, come annunciato dallo stesso Erdogan, che il 2023 sarà la sua ultima corsa presidenziale? E il centenario della Repubblica lo aiuterà alle urne?
Non so se il 2023 sarà l’ultima corsa presidenziale di Erdogan. Ha fatto molte promesse simili in passato e poi non le ha mantenute. Erdogan può dire di nuovo nel 2028 che sarebbe l’elenco dell’ultima corsa presidenziale. Spetta agli elettori turchi prendere le decisioni. Vedremo se voteranno ancora per Erdogan o meno nel giugno 2023. Non credo che il centenario della Repubblica aiuterà Erdogan alle urne. La Turchia non avrà un grande centenario: ha una profonda crisi economica così come un record molto negativo dei diritti umani.
In conclusione, il futuro della Turchia, in un modo o nell’altro, passa per Istanbul? E chi rischia di più, al momento, tra Erdogan e l’opposizione?
Sì, Istanbul è cruciale per il futuro della Turchia. È il centro del paese in termini di popolazione, economia e quindi politica. Perdere la carica di sindaco di Istanbul nel 2019 è stata una grave crisi per Erdogan. Ora sta cercando di riconquistare Istanbul usando i tribunali. Vedremo se l’opposizione perseguirà strategie efficaci per trasformare i piani di Erdogan in opportunità per se stessa.