Il petrolio piuttosto che il gas sono stati e sono al centro di scontri di poteri. Sarà così anche per i minerali critici? Ci sarà un ritorno alle dinamiche della Guerra Fredda nella concorrenza attorno a minerali critici?

 

Per anni, i Paesi occidentali hanno trascurato le implicazioni per la sicurezza nazionale delle materie prime critiche (minerali critici). E mentre la transizione verde si imponeva come inevitabile,l’Occidente continuava a perdere terreno, in primo luogo a vantaggio della Cina.
Nel decennio scorso, ilrisvegliodell’Occidente. Quando già, però, la Cina si era ampiamente avvantaggiata, posizionandosi come il Paese più importante nella catena di approvvigionamento di minerali critici. Predominio della Cina sul mercato dei minerali critici che è finito per emergere come un elemento di tensione geopolitica tra Occidente(Stati Uniti in testa) e Cina.

Pochi -tra i tanti- elementi di cronaca, bastano a significare tale tensione, cresciuta di pari passo all’acuirsi del confronto (guerra tecnologica) tra USA e Cina.

A inizio mese, il governo canadese ha ordinato alle società cinesi di cedere le loro partecipazioni in tre società minerarie junior quotate in Canada che intendono sviluppare depositi di litio. Il divieto, spiega ‘Reuters‘, arriva pochi giorni dopo che il Canada ha annunciato una politica più severa sugli investimenti nel settore dei minerali da parte di entità statali, in particolare quelle cinesi, che dominano la lavorazione dei principali metalli di transizione energetica come il litio, il cobalto e le terre rare. Non saranno solo gli attori di proprietà statale cinese a essere sottoposti a un esame più approfondito, si precisa, ma anche qualsiasi investitore privato «valutato come strettamente legato, soggetto all’influenza o che potrebbe essere costretto a conformarsi a direttive extragiudiziali di governi stranieri». Tale politica copre non solo l’attività mineraria, ma tutte le fasi della catena di lavorazione dei minerali. L’elenco dei minerali critici del Canada, aggiornato a marzo di quest’anno, è ampio e copre non solo la famiglia delle terre rare e gli input di transizione energetica come litio, cobalto e nichel, ma anche metalli industriali tradizionali come alluminio, rame e zinco.
Così, la decisione di Ottawa ben esprime il livello di concorrenza che sui minerali critici si è appuntata nella competizione globale per assicurarseli.
La mossa, annota l’agenzia, «segna un irrigidimento delle linee di battaglia geopolitiche nel settore dei metalli e solleva la questione di cosa potrebbero fare il Canada e i suoi alleati in nome della sicurezza nazionale». Il giro di vite del Canada sugli investimenti cinesi in minerali critici «dovrebbe essere visto nel contesto di una NATO metallicaemergente di Paesi che la pensano allo stesso modo che cercano di ridurre la loro dipendenza dalla Cina e dalla Russia».
Negli stessi giorni in cui il Canada mostrava le unghie a Pechino,
l’esercito degli Stati Uniti stava dialogando con alcune aziende minerarie canadesi di un potenziale finanziamento di alcuni progetti di minerali critici in Canada, sulla scia dell’intenzione di Biden di ridurre la sua dipendenza dalla Cina per i metalli necessari per costruire attrezzature per la difesa ed espandere il mercato del veicolo elettrico. Tra i progetti al centro dell’attenzione americana, uno di rilievo ‘multigenerazionale’ che riguarda l’Anello di Fuoco, nel nord dell’Ontario, per la produzione di minerali come nichel e rame. Obiettivo dichiarato: rendere il Nord America un attore dominante nel settore.

La guerra in Ucraina ha spinto l’Unione Europea adaccelerare anch’essa sui minerali critici. L’UE, fa notare, l’ambasciatore J. Peter Pham, dell’Atlantic Council di Washington, e consigliere senior del Krach Institute for Tech Diplomacy presso la Purdue University, già stato inviato speciale degli Stati Uniti per le regioni africane dei Grandi Laghi e del Sahel, «è ancora più dipendente dalla Cina di Xi Jinping per le sue terre rare (98% secondo un rapporto della Commissione) di quanto non lo sia mai stata dalla Russia di Vladimir Putin per il gas naturale consumato prima della guerra (40% secondo uno studio della Columbia University)». Questa imbarazzante situazione ha fatto annunciare alla Presidente della Commissione Ursula von der Leyen, nel suo discorso sullo stato dell’Unione del 2022, una legge europea sulle materie prime critiche per garantire che l’Europa eviti di «diventare nuovamente dipendente, come abbiamo fatto con petrolio e gas». Due mesi dopo, alla COP27, ha annunciato il raddoppio della capacità di energia rinnovabile del continente. I due obiettivi sono fondamentalmente legati. Così i legislatori dell’UE si preparano a prendere in considerazione l’imminente European Critical Raw Minerals Act. C’è da credere che le severe politiche di oltreoceano, in particolare nei confronti della Cina, sbarchino anche a Bruxelles.

Insomma, la competizione geopolitica per l’accesso ai minerali critici sta accelerando, sia tra i consumatori che tra i produttori. Il mondo ha bisogno di espandere la sua fornitura di minerali critici -grafite, nichel, cobalto e soprattutto litio, e le sostanze chimiche in cui vengono raffinati. E’ un problema di sicurezza nazionale per tutti i Paesi. La sfida di procurarsi forniture adeguate di minerali critici è infatti e dunque imprescindibile per la decarbonizzazione globale, e di conseguenza per la sicurezza internazionale.

La concorrenza è guidata dalle aspettative che la domanda di componenti minerali critici aumenterà man mano che il mondo si allontana dai combustibili fossili

Alcuni dati significativi e ‘duri’ vengono sintetizzati da ‘Just Security‘ del Reiss Center on Law and Security presso la New York University School of Law.
I
veicoli elettrici (EV), ad esempio, stanno crescendo rapidamente come quota del mercato automobilistico complessivo, rappresentando il 17% delle vendite totali di auto in Europa nel 2021 e il 35% in Cina nel 2022 . I mercati negli Stati Uniti, come la California, hanno promesso di consentire solo la vendita di veicoli elettrici entro il 2035, mentre quasi tutti i principali produttori di automobili prevedono di produrre solo veicoli elettrici entro la fine del prossimo decennio.

Questa nuova flotta di automobili richiederà milioni di tonnellate di litio, grafite, nichel e altri minerali che attualmente non esistono. La domanda di batterie per i veicoli elettrici sta attualmente guidando il 75% della domanda di litio e nel 2021 è stato estratto abbastanza litio per produrre solo 11,4 milioni di nuovi veicoli elettrici, molto meno di quanto sarà necessario alla fine. Secondo le ultime previsioni, il mercato del litio raddoppierà entro il 2030, e crescerà anche la domanda di altri minerali critici.

Ma bisogno guardare oltre le auto elettriche. Secondo l’ultimo rapporto sui minerali critici dell’Agenzia internazionale per l’energia (IEA), saranno necessarie quantità crescenti di minerali relativamente scarsi per soddisfare la domanda mondiale di energia pulita. Entro il 2040, il settore dell’energia pulita richiederà oltre il 60% del cobalto e del nichel del mondo, il 40% del rame e l’80% del litio. In uno scenario di forte crescita, la domanda di minerali aumenterà del 400% entro il 2040. Raggiungere questo livello sarà necessario affinché le nazioni raggiungano gli obiettivi climatici.

In breve: per ridurre le emissioni, mitigare i cambiamenti climatici e realizzare una rapida transizione energetica, il mondo avrà bisogno di nuove enormi quantità di minerali critici. Ciò significa nuove sfide per la costruzione di catene di approvvigionamento trasparenti e resilienti, mercati ben governati e modelli mutevoli di tensioni e alleanze geopolitiche.

Il petrolio, e successivamente il gas naturale, hanno plasmato il 20° secolo, su queste risorse -possederle e/o averne accesso- si sono decise la supremazia economica e militare delle Nazioni.
«L’energia da idrocarburi è ovviamente ancora importante dal punto di vista geopolitico, ma la sua rilevanza sta diminuendo man mano che le economie mondiali iniziano seriamente a passare a sistemi energetici più sostenibili». Se così stanno le cose, il 21° secolo sarà quello dei «minerali che alimenteranno la transizione energetica» verso la quale il mondo è costretto dirigersi, «così come l’innovazione tecnologica, non sono solo importanti input industriali; sono risorse strategiche, necessarie per costruire, rifornire e schierare le forze armate moderne e alimentare le economie», afferma Cullen Hendrix, senior fellow presso il Peterson Institute for International Economics (PIIE), ricercatore senior non residente presso il Center for Climate and Security e professore all’Università di Denver, autore di una ricerca sulle positività e negatività con le quali la politica dovrà fare i conti approcciando questi materiali, nella consapevolezza che «sempre più la sicurezza nazionale ed economica si basa su tecnologie avanzate ad alta intensità di minerali critici come gli array di calcolo che supportano l’intelligenza artificiale e il calcolo quantistico».

L’accesso e il mantenimento stabile e continuato delle linee di approvvigionamento per le risorse strategiche, ha plasmato le politiche estere delle principali economie e potenze militari nel corso della storia e continuerà a farlo in futuro. Il petrolio piuttosto che il gas sono stati e sono al centro di scontri di poteri. Sarà così anche per i minerali critici? Ci sarà un ritorno alle dinamiche della Guerra Fredda nella concorrenza attorno a minerali critici? come litio, cobalto, elementi delle terre rare, nichel, grafite e altri. E’ la domanda attorno alla quale ruota il lavoro di Cullen Hendrix. Quanto sta accadendo in Canada farebbe pensare che sì, attorno ai minerali critici si combatterà una battaglia geopolitica senza esclusione di colpi. E il Canada è solo un esempio.
«Tre fattori suggeriscono che la geopolitica dei minerali critici sarà meno complicata di quella relativa a petrolio e gas, ma altri tre fattori dipingono un quadro più inquietante»: è la risposta che offre Hendrix.
La premessa per impedire un ritorno alla logica a somma zero della politica delle risorse della Guerra Fredda, le catene di approvvigionamento di minerali critici, spiega l’analista PIIE, «devono essere ampliate in ogni fase, dalle miniere alla lavorazione a valle e al riciclaggio. In tal modo, i Paesi in via di sviluppo e a reddito medio, ricchi di minerali, dovrebbero guardare sia agli Stati Uniti che alla Cina, e oltre, per coltivare partner di investimento e abbracciare iniziative di buon governo. Inoltre, gli Stati Uniti non dovrebbero cercare di sostituire il ruolo della Cina come fonderia mondiale, ma piuttosto promuovere lo sviluppo di capacità a valle nei partner a basso e medio reddito».

Le fonti di energia rinnovabile «non consumano minerali critici su base costante; piuttosto, questi minerali sono input per l’infrastruttura che facilita la creazione e lo stoccaggio di energia eolica, solare, geotermica, idroelettrica e altri tipi di energia rinnovabile. La perdita di accesso a minerali critici, può limitare le opportunità di espandere la capacità o riparare le infrastrutture esistenti, ma non si tradurrebbe immediatamente nel tipo di crisi energetica in piena regola creata, per esempio, dall’embargo petrolifero arabo del 1973, o persino dall’invasione russa dell’Ucraina».
Qualsiasi interruzione dei mercati globali del petrolio e del gas manda in fibrillazione le economie dipendenti dalle importazioni di tali prodotti. Quindi, c’è una grande differenza tra minerali critici e idrocarburi» rispetto alla possibilità che questi materiali possano essere utilizzati in modo coercitivo, se non ricattatorio, come può essere l’esempio del gas russo.

Altro fattore di grande importanza strategica, forse il più importante, è che, «le strutture proprietarie dei minerali critici e degli idrocarburi sono molto diverse. Le stime variano, ma ovunque dai due terzi all’80 percento delle riserve di petrolio e gas sono controllate dalle compagnie petrolifere nazionali. Queste società in genere non si comportano come normali aziende che rispondono ai segnali del mercato, si comportano anche come estensioni degli interessi dei rispettivi governi. La struttura proprietaria dei minerali critici è leggermente diversa. Azionimolto più grandi delle risorse sono detenute e prodotte da società private o quotate in borsa:nessuno dei primi sei produttori di litio (66% del mercato globale) è di proprietà statale, né lo sono i primi cinque produttori di cobalto (50%). Alcune di queste società hanno sede in Cina, dove il confine tra imprese statali e imprese private può essere sfumato. Ma ad oggi, le aziende che producono minerali critici non sono, in larga misura, estensioni degli interessi nazionali dei governi di controllo». Un documento del PIIE, dell’agosto 2022, ha indagato nel dettaglio chi controlla le parti vitali delle catene di approvvigionamento globali di minerali critici.

Fattore da non sottovalutare è che «i minerali più critici possono essere riciclati. Alcuni, come il rame, possono essere riciclati all’infinito senza perdita di funzionalità. Con gli idrocarburi ciò che brucia non torna più. Il riciclaggio su scala industriale può ridurre la dipendenza dai minerali estratti, e quindi diminuire l’importanza del controllo sui depositi di minerali stessi. Le guerre di conquista per le risorse petrolifere sono state meno comuni di quanto suggerirebbe la saggezza convenzionale, ma la disputa sul controllo politico delle risorse minerarie è stato uno dei principali fattori che hanno portato agli interventi dell’era della Guerra Fredda nei Paesi ricchi di minerali tra cui Cile, Repubblica Democratica del Congo, Indonesia».

Questi tre elementi sono da considerare come le positività nella geopolitica dei minerali critici, che fanno presagire una geopolitica meno conflittuale attorno a questi materiali. Sarebbe così, se non entrassero in scena altri fattori che l’analista definisce come «tre fattori che puntano nella direzione opposta».

Primo fattore: «che punta verso una geopolitica simile alla Guerra Fredda è che l’esposizione al rischio vissuta da Stati Uniti e Cina è più simmetrica nei minerali critici rispetto a petrolio e gas. È importante ricordare che la dipendenza degli Stati Uniti dalle importazioni di petrolio durante la Guerra Fredda fu in gran parte il risultato di una scelta strategica, piuttosto che di una necessità: la Foreign Petroleum Policy degli Stati Uniti, pubblicata nel 1944, incoraggiò il passaggio dalla produzione interna e dall’esportazione a conservazione del petrolio dell’emisfero occidentale, nonché l’approvvigionamento della domanda interna e in Europa attraverso le esportazioni dal Medio Oriente, con la logica esplicita di conservare le risorse dell’emisfero occidentale per il consumo degli Stati Uniti in caso di terza guerra mondiale».
La geopolitica della Guerra Fredda avrebbe potuto essere ancora più feroce se l’Unione Sovietica non fosse stata autosufficiente per quanto riguarda gli idrocarburi. «Nel 21° secolo, gli Stati Uniti sono sull’orlo dell’autosufficienza di idrocarburi, mentre la Cina è fortemente dipendente dal petrolio straniero. Gli Stati Uniti ovviamente non sono immuni alle dinamiche dei mercati mondiali del petrolio e del gas, ma non dipendono da essi per soddisfare la domanda interna quanto la Cina. Al contrario, sia gli Stati Uniti che la Cina dipendono da minerali critici provenienti in gran parte al di fuori dei loro confini. La Cina domina certamente le catene di approvvigionamento per molti minerali critici, con posizioni di leadership nella raffinazione e fusione globale di alluminio (66,6% della capacità globale), nella raffinazione di litio e cobalto (rispettivamente 80% e 66%) e nella produzione e raffinazione di grafite (circa 80% per cento), insieme a molti, molti altri. Ma questo dominio è meno una funzione delle sue dotazioni di risorse naturali, e più la sua priorità strategica di possedere risorse minerarie estere e utilizzare la politica industriale per diventare la raffineria del mondo. Ma sia gli Stati Uniti che la Cina dipendono da risorse minerarie critiche sulle quali non sono sovrani». Il che si traduce in una concorrenza ad altissima intensità tra gli USA e i suoi alleati da una parte, e la Cina e i suoi alleti dall’altra.

In secondo luogo, «i mercati dei minerali critici sono piuttosto scarsi e quindi più vulnerabili alla manipolazione strategica. Le esportazioni globali totali di cobalto, nel 2020, ammontavano a meno di 5 miliardi di dollari. Le esportazioni di nichel sono state di 30 miliardi di dollari. In confronto, le esportazioni globali di petrolio e gas naturale liquefatto superavano i 2 trilioni di dollari. A causa dei loro mercati complessivi molto più piccoli e della forte dipendenza da relativamente pochi Paesi esportatori, i minerali critici sono soggetti a una maggiore volatilità dei prezzi e a una potenziale chiusura del mercato». Anche un solo produttore può destabilizzare il prezzo di un metallo, fino anche al punto di determinare la chiusura del mercato.

Terzo fattore: «le riserve di alcuni minerali critici sono altamente concentrate in pochi Paesi, molti dei quali sono piccole economie con politiche interne relativamente instabili. Il Congo è responsabile di oltre il 60% della produzione mondiale di cobalto. Ma questo è solo un esempio. Chiamare la Guinea, una piccola Nazione dell’Africa occidentale con 14 milioni di abitanti, ‘l’Arabia Saudita della bauxite’ -la materia prima utilizzata per produrre alluminio- sarebbe un insulto alla quota di mercato della Guinea: ha quasi un quarto delle riserve globalie rappresenta oltre metà delle esportazioni mondiali. In questi casi, la possibilità di controllare quote massicce delle forniture globali attraverso un intervento militare diretto o l’uso di un’estrema leva diplomatica in un singolo Paese è alta», sottolinea Cullen Hendrix.

A questo punto si ripropone la domanda: come possiamo costruire un percorso verso un futuro sostenibile senza ripetere la sfortunata storia della competizione per le risorse dell’era della Guerra Fredda? «Se non si può contare sui meccanismi di mercato per garantire forniture adeguate, prevedibili e convenienti, diventa più probabile che venga utilizzata la leva geopolitica. Attualmente, i mercati per questi minerali sono generalmente piccoli, dipendono eccessivamente da pochi produttori con un’ampia quota di mercato e dipendono da un fornitore dominante (la Cina) per la raffinazione a valle. La logica economica di base suggerisce che i mercati minerari critici saranno soggetti a fallimenti del mercato.
Ampliare queste catene di approvvigionamento, sia attraverso investimenti in nuove capacità produttive che attraverso il riciclaggio, è la risposta. I prezzi elevati e la domanda anticipata (si prevede un aumento della domanda da tre a 42 volte per molti minerali critici per raggiungere gli obiettivi net zero stabiliti dagli accordi sul clima di Parigi) stanno catalizzando una frenesia di esplorazione e sforzi per convertire le risorse in riserve economicamente sfruttabili. Questo aiuta a risolvere le preoccupazioni sulla scarsità assoluta o sull’idea che il mondo finirà queste risorse nel prossimo futuro. Ma non risolve necessariamente problemi di concentrazione del mercato o strozzature nella capacità di raffinazione. Ciò richiederà l’espansione delle forniture e della capacità di raffinazione in modo da diversificare i produttori e rendere i mercati meno dipendenti da particolari miniere o raffinerie».

Bisogna evitare la «percezione che l’Occidente e la Cina siano inesorabilmente bloccati in una dinamica in erba della Guerra Fredda, perchè le percezioni contano molto», afferma Cullen Hendrix. Dunque, «la soluzione non è che gli Stati Uniti e le altre economie avanzate si limitino a rifondare radicalmente la capacità mineraria e di raffinazione». Piuttosto si tratta di «espandere la capacità di raffinazione nei Paesi produttori di materie prime, molti dei quali sono poveri e potrebbero trarre grandi vantaggi dall’aumento della catena del valore e dai posti di lavoro industriali che la capacità di raffinazione porterebbe. Poiché cercano capitale di investimento, farebbero bene ad adottare un approccio equilibrato, rispetto a una miscela di investitori occidentali e non occidentali, inclusa ma non limitatamente la Cina.
Se società minerarie multinazionali con sede in una miriade di Paesi occidentali e non occidentali operano contemporaneamente in un Paese, la loro presenza diluisce l’influenza politica del governo di ogni singolo Paese investitore, contrapponendo i suoi interessi a quelli di altre grandi economie».
Infine, afferma l’analista PIIE, i Paesi ricchi di minerali critici dovrebbero abbracciare iniziative multilaterali di buona governance «come l’Extractive Industries Transparency Initiative (EITI), uno sforzo globale multilaterale per promuovere la trasparenza sulle entrate delle risorse naturali e sulla spesa pubblica. I mali della competizione per le risorse dell’era della Guerra Fredda derivavano non solo dalla geopolitica e dalle macchinazioni dei grandi poteri, ma anche dall’impatto corrosivo della ricchezza mineraria sulle istituzioni economiche e politiche. Iniziative come l’EITI sono fondamentali per fornire una supervisione su come i fondi delle risorse vengono investiti e spesi. In tal modo, aiutano a mobilitare queste risorse verso una crescita e una prosperità ampie e inclusive».

Nella fase storica attuale, segnata dai rischi derivanti dal cambiamento climatico, ovvero rischi di estinzione dell’essere umano, il mondo non può permettersi di perdere energie e tempo nella Guerra Fredda dei minerali critici. Il mondo non può permettersi che le transizioni energetiche necessarie rischino di impantanarsi in un ritorno alla geopolitica della Guerra Fredda. «Per quanto riguarda le risorse e le tecnologie rinnovabili da esse dipendenti, ci sono buone ragioni per pensare che questa volta sarà diverso», secondo Cullen Hendrix.