Fa una certa impressione constatare che l’unico ‘piano di pace’, oltre a quello un po’ naïf di Musk, sia stato partorito dal nostro Ministero degli Esteri
I media internazionali hanno riservato nei giorni scorsi una certa attenzione -seppur prevalentemente negativa- al ‘piano di pace’ per l’Ucraina enunciato il 3 ottobre da Elon Musk.
In realtà, il magnate di Tesla e SpaceX si era limitato a proporre via Twitter quanto segue:
– i referendum nelle regioni ucraine ‘annesse‘ dalla Federazione Russa dovrebbero essere ripetuti, questa volta sotto la supervisione delle Nazioni Unite; qualora tali nuove consultazioni avessero esito negativo per la Russia, questa dovrebbe ritirarsi;
– l’appartenenza della Crimea a Mosca dovrebbe essere riconosciuta: la penisola, afferma Musk, è infatti stata russa dal 1783 «fino all’errore di Krusciov» (che, come noto, la trasferì nel 1954 alla ‘sua’ Ucraina, parte peraltro dell’allora Unione Sovietica);
– l’approvvigionamento idrico della Crimea dovrebbe essere in ogni caso assicurato (Musk fa qui riferimento alla diga costruita nel 2014 da parte ucraina per impedire appunto tale approvvigionamento e rimossa dai militari russi dopo l’occupazione della regione di Kherson);
- l’Ucraina dovrà rimanere neutrale.
Dopo le reazioni fortemente negative di Kiev (particolarmente beffarda quella dello stesso Presidente Zelensky), Musk ha in parte modificato il ‘piano‘, ammettendo la prospettiva di un nuovo referendum anche in Crimea, ma ha ulteriormente motivato la sua presa di posizione con la necessità di impedire la perdita di moltissime vite umane per entrambe le parti e soprattutto per l’Ucraina.
Fin dall’avvio da parte di Putin della cosiddetta ‘operazione militare speciale’, Musk si era apertamente schierato con Kiev, mettendo fra l’altro a disposizione del governo ucraino il servizio di Internet satellitare Starlink (per un costo totale, non molto elegantemente specificato dal magnate, di 80 milioni di dollari). Proprio per questo i suoi tweet hanno deluso non poco la dirigenza ucraina, accelerando verosimilmente l’adozione del decreto presidenziale (in verità un po’ sui generis) con cui Zelensky ha poi sancito «l’impossibilità di condurre negoziati con il presidente russo Vladimir Putin».
E’ chiaro che l’estemporanea iniziativa di Musk lascia il tempo che trova in termini di contributo alla pace, data la situazione ormai al limite dell’irrecuperabilità dopo l’avanzata ucraina, ancora in corso grazie alle ingenti forniture di armi da parte dell’Occidente; i referendum -seppur chiaramente nulli in termini di diritto internazionale- di annessione alla Federazione Russa dei territori (parzialmente) occupati; il gravissimo sabotaggio (ancora privo di un ‘padre’) ai due gasdotti Nord Stream; e la minaccia, esplicitamente avanzata da Putin, di utilizzare armi nucleari tattiche.
Ma un osservatore il cui giudizio non sia offuscato da preconcetti e partigianerie, non può non sorprendersi del fatto che, dopo le invocazioni di Papa Francesco (inascoltate proprio perché non ‘a senso unico’), si sia levata in Occidente a favore della fine delle ostilità soltanto la voce di un uomo d’affari, sia pure molto influente: nell’assoluto silenzio dei decisori politici, soprattutto europei, che avrebbero l’obbligo morale e politico -oltre che ovviamente l’interesse- di tentare di risolvere una crisi suscettibile di scatenare nel nostro continente un conflitto di enormi proporzioni.
Invece l’autoinflitta impotenza dell’Europa è risultata evidente fin dal fatidico 24 febbraio: basti a dimostrarlo, al di là dell’irrilevanza negoziale e geopolitica costantemente evidenziata dall’UE, la tragicommedia delle forniture di gas, che ha (per ora) raggiunto il culmine con i 200 miliardi di euro gettati dal Cancelliere Scholz, in barba a ogni solidarietà continentale, nelle fauci delle imprese e degli elettori tedeschi.
Che il rebus ucraino riguardi essenzialmente Mosca e Washington è sembrato chiaro fin dall’inizio, nonostante i tentativi di smarcamento operati e presto abbandonati da Emmanuel Macron (molto meno dall’iperatlantista Mario Draghi, cui promette ora di accodarsi Giorgia Meloni). Eppure, fa una certa impressione constatare che l’unico ‘piano di pace‘, oltre a quello un po’ naïf di Musk, sia stato partorito dal nostro Ministero degli Esteri.
Anche la ‘road map‘ della Farnesina, mai divulgata nella sua interezza ma presumibilmente elaborata in maniera più professionale di quanto poteva fare il patron di Tesla, comprendeva quattro punti: cessate il fuoco; neutralità internazionalmente garantita dell’Ucraina; larga autonomia per i territori contesi nel quadro della sovranità di Kiev; negoziazione di un accordo multilaterale sulla pace e la sicurezza in Europa. Un piano di più ampio respiro che, nonostante i commenti non positivi ricevuti dalle parti in causa, comprendeva indicazioni potenzialmente utili, anche se mai adeguatamente promosse di fronte alla comunità internazionale e presto cadute nel dimenticatoio, a fronte della scelta di Roma di compiacere gli alleati euro-atlantici.
Cosa accomuna i due ‘piani di pace‘? pur ben differenti per concezione e contenuti e venuti alla luce in frangenti del tutto diversi. Proprio il fatto di essere stati finora gli unici nel panorama di una guerra disastrosa, ove fin dall’inizio le parti in causa hanno imboccato la peggior strada possibile, con scelte russe intonate a un oscuro ‘cupio dissolvi’ ovviamente assecondato da Washington, una dirigenza ucraina spinta ad essere sempre più massimalista e un’Europa divisa, impotente e autolesionista.
In definitiva due ‘libri dei sogni‘: quello italiano, perché impostato in maniera del tutto teorica, senza fare i conti con la realtà di un Paese, il nostro, che non possiede evidentemente i mezzi e la credibilità per proporlo da solo, né ha in alcun modo provato a ottenere in proposito l’appoggio, o almeno l’interesse, dei partner europei e degli alleati; quello di Musk, semplicemente perché velleitaria espressione di un magnate (se fosse russo o ucraino lo chiameremmo oligarca) che crede di poter cambiare il mondo a suo piacimento e in ogni possibile occasione.
Eppure, meglio il patron di Tesla e gli ottimi funzionari della Farnesina rispetto a chi, in tante capitali, continua a soffiare sul fuoco di una situazione che, ad ogni evidenza, è ormai sul punto di sfuggire di mano, con conseguenze che si annunciano catastrofiche per tutti.