Vorrei ricordare a coloro che fanno tali affermazioni sulla Russia che anche il nostro paese ha diversi tipi di armi, e alcune di esse sono più moderne delle armi che hanno i paesi della NATO. In caso di minaccia all’integrità territoriale del nostro paese e per difendere la Russia e il nostro popolo, faremo sicuramente uso di tutti i sistemi d’arma a nostra disposizione. Questo non è un bluff.
I cittadini della Russia possono stare certi che l’integrità territoriale della nostra Patria, la nostra indipendenza e libertà saranno difese -lo ripeto- da tutti i sistemi a nostra disposizione. Coloro che stanno usando il ricatto nucleare contro di noi dovrebbero sapere che la rosa dei venti può tornare indietro».
Non è la prima volta che il Presidente russo mette in pista, senza nominarlo esplicitamente, il potenziale nucleare del suo Paese.
La dottrina nucleare russa afferma che la Russia userebbe per prima le armi nucleari solo se l’esistenza dello Stato, la sua ‘integrità territoriale‘ fosse minacciata. Se i referendum in corso nella Repubblica popolare di Donetsk (DPR), nella Repubblica popolare di Luhansk (LPR), nelle regioni di Kherson e Zaporizhzhia, sfociassero, come appare probabile, nella loro annessione alla Russia, un qualsiasi attacco da parte ucraina in questi territori volto a riprenderne il controllo, potrebbe correttamente essere considerato da Mosca una minaccia alla ‘integrità territoriale‘ del Paese, che si sentirebbe autorizzato all’uso dell’arma nucleare. Ecco perchè le parole di Putin -per altro dette pochi istanti dopo aver sostenuto tale referendum e assicurato la difesa -«faremo tutto il necessario per creare condizioni sicure per questi referendum», ha detto- hanno riacceso i fari sul rischio nucleare.
La domanda a questo punto è: quanto è probabile l’uso di armi nucleari da parte della Russia?
E’ evidente che se la Russia usasse armi nucleari, la risposta dell’Occidente non si farebbe attendere, il che significa che la guerra ucraina si trasformerebbe in una guerra nucleare totale.
Secondo la gran parte degli osservatori, però, «le minacce nucleari della Russia vengono avanzate con l’intento di instillare paura nei Paesi europei e impedire alla NATO di essere attivamente coinvolta nel conflitto», come sintetizza Chatham House. «È importante capire che le ripetute minacce nucleari di Putin sono sempre state dirette verso la NATO, e non contro l’Ucraina».
Marion Messmer e Julia Cournoyer dell’International Security Programme del Chatham House, affermano: «Queste ultime minacce hanno lo scopo di influenzare il sostegno pubblico all’Ucraina, incitando alla paura dell’uso delle armi nucleari russe in Europa». Le ricercatrici, poi, evidenziano quello che definiscono un «livello di ambiguità, nel tentativo di mantenere un attento equilibrio tra minaccia e rassicurazione», «progettato per creare incertezza su ciò che la Russia potrebbe essere disposta a fare. Sebbene questa incertezza sia destabilizzante, è anche un aspetto cruciale delle strategie di deterrenza nucleare ed è quindi difficile sfuggire. La minaccia di Putin era volutamente vaga, lasciando spazio a dubbi su dove potessero trovarsi le linee rosse. In questa ultima minaccia nucleare, Vladimir Putin ha anche avvertito che “questo non era un bluff”, suscitando dubbi se che il tintinnio della sciabola sia un segno di debolezza o di forza».
Putin è perfettamente consapevole che ci «sarebbero grossi rischi per la Russia se dovesse far esplodere anche solo un’arma nucleare ‘a basso rendimento‘ -un attacco dimostrativo-, ad esempio, nell’Ucraina rurale, perché l’impatto umanitario ed ecologico dell’uso delle armi nucleari è di vasta portata e devastante.
L’enorme esplosione, oltre alle radiazioni e al calore immediati, potrebbero essere abbastanza lontani dalle truppe russe per evitare la loro distruzione, ma i detriti radioattivi -la ricaduta- dell’esplosione soffierebbero facilmente nella loro direzione e nella direzione della Russia stessa. I sistemi meteorologici potrebbero anche finire per diffondere detriti radioattivi in tutta Europa, in Asia anche attraverso l’Atlantico e nell’emisfero meridionale», sostengono Messmer e Cournoyer.
Una ricerca del centro studi, suggerisce «che la soglia russa per l’uso di armi nucleari è estremamente alta. I quadri militari russi professionisti hanno procedure e processi in atto», cioè «ci sono molti controlli e barriere prima che venga preso in considerazione l’uso di armi nucleari». Insomma: «Minacciare un attacco nucleare preventivo è una cosa, ma le persone serie in posizioni importanti in Russia sanno che le conseguenze sarebbero estreme, non ultimo che porterebbe in guerra molti più Paesi con armi sempre più grandi. Il dispiegamento di un’arma nucleare non è impossibile -questa è una situazione intrinsecamente pericolosa- ma rimane improbabile», afferma James Nixey, direttore del programma Russia-Eurasia dello Chatham House.
Resta il problema che in situazioni come quella ucraina, «l‘ambiguità porta spesso a malintesi, calcoli errati e passi falsi catastrofici», «messaggi misti con il potenziale di interpretazioni errate potrebbero portare a decisioni prese in base a false ipotesi», afferma Patricia Lewis, Direttore dell’International Security Programme di Chatham House, richiamando quella che definisce come «una storia ben documentata di richiami ravvicinati».
Posto ciò la questione deve essere inquadrata in riferimento alla «deterrenza contro le armi nucleari», «sviluppata durante la Guerra Fredda principalmente sulla base di quella che è stata definita ‘distruzione mutua assicurata’ (MAD). L’idea alla base di MAD è che l’orrore e la distruzione delle armi nucleari sono sufficienti per scoraggiare l’azione aggressiva e la guerra. Ma l’applicazione della teoria della deterrenza alle realtà del dopoguerra fredda è molto contestata e molto più complicata nell’era degli attacchi informatici che possono interferire con il comando e il controllo delle armi nucleari».
Cinque Stati, ai sensi del Trattato di non proliferazione nucleare (NPT) globale, detengono armi nucleari: Cina, Francia, Russia, Regno Unito e Stati Uniti. Al di fuori del Trattato, altri tre Paesi dichiarano apertamente il possesso di armi nucleari: India, Pakistan e Corea del Nord. Israele non ha dichiarato il possesso di armi nucleari ma si presume che le abbia.
«Le armi nucleari possono essere suddivise in diverse categorie a seconda dei loro veicoli di consegna e piattaforme di lancio: missili terrestri, marittimi o aerei e missili a corto, intermedio e lungo raggio. Gli Stati Uniti e la Russia, fino al 2019, si scambiavano informazioni sui loro missili nucleari strategici a lungo raggio nell’ambito dell’accordo New START, un trattato volto a ridurre e monitorare le armi nucleari tra i due Paesi. La decisione degli Stati Uniti di uscire dal Trattato sulle forze nucleari intermedie (INF), nel 2019, ha determinato il fatto che non ci sono più accordi tra Stati Uniti e Russia che regolano il numero o il dispiegamento di missili nucleari lanciati a terra con una gittata di 500-5.500 chilometri. Le armi nucleari a corto raggio sono state ritirate e messe in deposito a seguito del Presidential Nuclear Initiatives del 1991, ma non sono soggette ad alcun vincolo legale», spiega Patricia Lewis.
Fin dall’inizio della guerra, si è ritenuto che «se la Russia avesse usato armi nucleari lo avrebbe fatto nel suo attacco all’Ucraina, non per attaccare uno Stato della NATO, che potrebbe far scattare l’articolo 5» del Trattato della Nato, e dare «il via a una risposta NATO completa».
In un attacco contro l’Ucraina, «si ritiene che le armi nucleari da ‘campo di battaglia‘ a corto raggio e di rendimento inferiore», la Russia ne avrebbe in deposito oltre 1.000, «sarebbero le più probabilmente utilizzate. Questi dovrebbero essere presi dal deposito e collegati a missili, collocati nei bombardieri o come proiettili nell’artiglieria», spiega Lewis.
Se, invece, si prende in considerazione la retorica delle minacce nucleari rivolte direttamente alla NATO, non solo per l’Ucraina, allora in campo potrebbero essere messe «armi nucleari a più lungo raggio e a maggiore resa», il così detto arsenale nucleare strategico.
Lewis precisa che non ci sono state minacce di uso di armi nucleari espresse dai tre Stati della NATO che le possiedono -Francia, Regno Unito, Stati Uniti. «La NATO fa affidamento sulle armi nucleari come forma di deterrenza» e di recente ha rafforzato in modo «significativo la propria posizione di deterrenza e difesa a lungo termine in risposta all’invasione russa dell’Ucraina».
«Qualsiasi movimento per preparare e schierare armi nucleari russe sarebbe visto e monitorato dai satelliti statunitensi e di altri» Stati, che possono vedere anche attraverso la copertura nuvolosa e di notte. A seconda anche «di altre informazioni e analisi -e del fallimento di tutti i tentativi diplomatici di dissuadere la Russia- i Paesi della NATO potrebbero decidere di intervenire per impedire il lancio» di armi nucleari da parte della Russia, «bombardando in anticipo i siti di stoccaggio e i siti di dispiegamento di missili. Ma ci sono enormi rischi associati a questa decisione, poiché attaccare potrebbe causare un attacco molto peggiore dalla Russia e potrebbe essere caratterizzato come un atto di aggressione da parte della NATO, piuttosto che di difesa preventiva». Certamente, il fatto di non prevenire «lascia l’Ucraina o altri Paesi -inclusi Regno Unito, Stati Uniti e altri Stati della NATO- esposti alle esplosioni di armi nucleari, con la possibilità di centinaia di migliaia di morti, a seconda dell’obiettivo».
Circa l’intervento a posteriori, prosegue Patricia Lewis, «se la Russia dovesse attaccare l’Ucraina con armi nucleari, i Paesi della NATO risponderebbero molto probabilmente sulla base del fatto che l’impatto delle armi nucleari attraversa i confini e colpisce i Paesi che circondano l’Ucraina. La NATO potrebbe rispondere utilizzando le forze convenzionali sulle risorse strategiche russe, o rispondere in natura usando armi nucleari, poiché ha diverse opzioni disponibili. Gli Stati Uniti hanno circa 150 bombe a gravità nucleare B-61 di stanza in cinque Paesi della NATO -Belgio, Germania, Paesi Bassi, Italia e Turchia- e Stati Uniti, Regno Unito e Francia hanno capacità a lungo raggio per attacchi nucleari sotto gli auspici della NATO».
In entrambi gli scenari, la NATO sarebbe coinvolta in «una grande guerra con la Russia».
Quindi il vantaggio di decidere di non procedere con una «rappresaglia nucleare -e di comunicare quella risposta come la NATO ha ripetutamente fatto durante il conflitto- è che Putin non potrebbe ritrarre in modo credibile la NATO come una minaccia alla Russia con armi nucleari».
«È sempre possibile che Putin decida di lanciare un attacco missilistico balistico a lungo raggio contro gli Stati Uniti o il Regno Unito, ma sa -come tutti i suoi funzionari- che questa sarebbe la fine della Russia».
Se una tale decisione fosse presa, Lewis auspica «che il personale militare di alto livello ne riconosca tutte le implicazioni e scelga di propendere per altre azioni. La storia è piena di casi di richiami ravvicinati in cui gli individui hanno agito per impedire che una situazione pericolosa degenerasse fino all’uso effettivo delle armi nucleari».
In effetti, professionalità e responsabilità del personale militare a parte, è la stessa dottrina nucleare russa che dovrebbe mettere al riparo da attacchi nucleari ‘facili‘. Lo spiega bene sempre lo Chatham House attraverso il rapporto di Kristin Ven Bruusgaard, borsista post-dottorato, Assistente di Scienze Politiche all’Università di Oslo, dove fa parte dell’Oslo Nuclear Project, consulente del governo norvegese sulle future priorità della politica di difesa norvegese, in particolare per quanto attiene la sua specializzazione in strategia nucleare sovietica e russa.
Ven Bruusgaard spiega che i «funzionari occidentali continuano a descrivere la dottrina nucleare russa come quella dell’‘escalation per de-escalation‘ (E2DE). La proposizione chiave qui è che la soglia della Russia per l’uso di armi nucleari è molto bassa e che la Russia utilizzerà armi nucleari all’inizio di un conflitto perché i suoi leader ritengono che ciò porterà a una ‘de-escalation’, inducendo l’avversario a capitolare e cessare le ostilità». Non così, è falso ed è pericoloso sostenerlo, perchè «descrivere la strategia nucleare russa come ‘escalation to de-escalation‘ è una semplificazione improduttiva. Produce pericolosi malintesi che a loro volta sottovalutano ciò che servirà per scoraggiare l’uso del nucleare russo». «Almeno dal 2010, la dottrina nucleare russa si è evoluta per tenere conto dei miglioramenti nelle sue capacità militari convenzionali».
I «funzionari russi continuano a insistere che la Russia prenderebbe in considerazione l’utilizzo di armi nucleari solo quando l’esistenza dello Stato fosse minacciata, cioè quando il territorio russo venisse attaccato. L’enfasi occidentale sul rischio dell’uso coercitivo del nucleare confonde i cambiamenti nelle ambizioni di politica estera russa con un cambiamento nella strategia nucleare». Kristin Ven Bruusgaard sottolinea che è «solo dopo il 2014 che molti analisti occidentali hanno iniziato a sostenere che la Russia era diventata una potenza revisionista con obiettivi espansionistici e che poteva benissimo prendere in considerazione l’utilizzo di armi nucleari per promuovere tali obiettivi. Ciò ha cambiato l’analisi di ciò che la Russia avrebbe potuto fare con l’arsenale di armi nucleari substrategiche che già possedeva da anni». Queste armi nucleari substrategiche «svolgono anche un compito chiave di deterrenza per la Russia: prevenire lo scoppio di guerre regionali».
Il compito chiave della strategia nucleare russa, afferma Ven Bruusgaard, «è quello di minacciare il primo utilizzo per la deterrenza. Questo compito primario delle armi nucleari russe è chiaramente espresso in tutti i documenti strategici russi dell’era post-Guerra Fredda. Gli sviluppi delle capacità russe -nei regni strategico e non strategico- sono in linea con questi compiti chiave di deterrenza di guerre su larga scala e guerre regionali che minacciano l’esistenza stessa dello Stato. Questa è la sfida essenziale che la strategia nucleare russa pone: come scoraggiare l’uso del nucleare in queste circostanze. Pochi Stati dotati di armi nucleari formulano un obiettivo diverso. Questo obiettivo di ridurre l’escalation del conflitto è anche esplicitamente affermato nella politica delle operazioni nucleari degli Stati Uniti».
Insomma, «il mito del fascino russo per la coercizione nucleare esagera la fiducia della Russia nella sua capacità di controllare l’escalation. La soglia dottrinale russa per l’uso nucleare non è cambiata nonostante i cambiamenti significativi nell’ambiente di sicurezza dal 2014. Ciò indica che i leader russi rimangono preoccupati per la prospettiva di una guerra nucleare». La guerra in Ucraina non ha cambiato nulla di tutto ciò. La «soglia nucleare della Russia è più alta di quanto sostengono i sostenitori della tesi dell’‘escalation per de-escalation‘», ed è «improbabile che la Russia cerchi uno scenario che difficilmente vincerà». E Ven Bruusgaard precisa ancora: «La politica russa del primo utilizzo non significa che qualsiasi attacco convenzionale contro la Russia scatenerebbe immediatamente una rappresaglia nucleare. Ma gli attacchi contro i sistemi strategici russi genererebbero sicuramente un rischio significativo di escalation nucleare».
Due conclusioni si possono trarre dal rapporto di Kristin Ven Bruusgaard. Il rischio più alto sta nella errata comprensione da parte dell’Occidente di quella che è la dottrina nucleare russa e nelle azioni che ne conseguono. La retorica della politica è una cosa, e si deve saperla considerare come tale, ovvero tutt’altro rispetto la realtà che deriva dalla dottrina nucleare, la quale è in mano a professionisti che sono che per nulla inclini all’avventurismo dei politici.