Domenica 25 settembre l’Italia vota per il rinnovo del Parlamento. Se i sondaggi troveranno conferma ai seggi, il risultato finale sarà un governo di coalizione di destra-centro. A destra: Fratelli d’Italia con la maggioranza dei seggi in Parlamento, e Lega. Al centro: Forza Italia e i partiti minori della coalizione.
Se così sarà, a guidare il governo, in veste di Presidente del Consiglio, quasi certamente saràla Presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni. Sarà la prima donna premier d’Italia.
Fin dall’inizio di questa campagna elettorale, quasi unanimemente giudicata la più brutta della storia della Repubblica, certamente scarsa in termini qualitativi e però, insieme, cruciale per il futuro del Paese, al centro c’è stata Giorgia Meloni. Il suo partito, nell’arco di un tempo decisamente breve, era cresciuto vistosamente, e quando i sondaggi elettorali sono iniziati a fluire, ciò che subito si è visto imporsi, e velocemente consolidarsi, è stata, appunto, l’affermazione del partito e di Meloni.
Contestualmente è cresciuta l’attenzione internazionale, europea in primo luogo, nei confronti della campagna elettorale italiana, ma soprattutto di Giorgia Meloni, erede del partito fascista.
Alla vigilia del voto, Meloni è finita sulle pagine delle principali testate internazionali e al centro delle preoccupazioni delle cancellerie europee e non solo, Washington e Bruxelles in testa.

Due delle testate americane più autorevoli in fatto di relazioni internazionali, e più ‘ascoltate’ nei palazzi che contano, dal Campidoglio alla Casa Bianca, fino ai corridoi di Wall Street, ‘Foreign Policy‘, edita da ‘The Washington Post‘, e ‘Foreign Affairs‘, edita dal Council on Foreign Relations, esprimono tutta la preoccupazione che il mondo della politica e degli affari nutrono circa la possibilità che la destra guidi il governo italiano.

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A Bruxelles, dal Centre for European Reform a ‘Politico‘, la preoccupazione c’è, e soprattutto qui c’è ‘fastidio’, ma i toni sono meno espliciti, tentando di sminuire la portata di un Primo Ministro post-fascista ed euroscettico in uno dei Paesi più importanti dell’Unione Europea.

«L’esito delle elezioni parlamentari potrebbe avere effetti drammatici sul Paese, sull’Unione Europea e sulla Nato» esordiscono Elettra Ardissino, Europe Analyst presso Greenmantle, una società di consulenza macroeconomica e geopolitica, e Erik Jones, Direttore del Centro di Studi Avanzati Robert Schuman, presso l’Istituto Universitario Europeo, dalle colonne di ‘Foreign Affairs‘. «Se i dati elettorali sono corretti, una coalizione di destra otterrà una maggioranza convincente e il partito Fratelli d’Italia di estrema destra proporrà la sua leader, Giorgia Meloni, come primo Presidente del Consiglio di estrema destra del Paese da Benito Mussolini. Meloni rifiuta qualsiasi legame con il fascismo, ma il suo partito conserva molti dei simboli e dei valori del passato fascista italiano. Non c’è da stupirsi, quindi, che la prospettiva della sua conquista del potere abbia spaventato allo stesso modo i mercati e gli osservatori internazionali».

«Elezioni generali ad alto rischio» quelle di domenica, secondoForeign Policy‘, che con Michele Barbero, giornalista free lance di lungo corso, che guarda all’Italia da Parigi, punta i riflettori sull’azionista di maggioranza della coalizione di sinistra, il PD, e il suo front-runner, Enrico Letta. Un PD «secondo partito più popolare d’Italia, alle spalle dei postfascisti Fratelli d’Italia». Tanto secondo che, afferma Barbero, «un senso di rovina imminente ha oscurato la festa del partito di quest’anno». Una di quelle brutte sensazioni che possono far perdere ancora di più e più facilmente. Una sensazione che investe lo stesso Letta «“C’è un vento di destra che spazza l’Europa”», ha detto Letta a ‘Foreign Policy‘. «“Il sentimento prevalente tra le persone è la paura, e la destra è tradizionalmente molto abile nello sfruttare le paure. È una campagna dura, dura”».

Sottolineando che Meloni sta rivedendo la sua immagine pubblica «precedentemente populista, presentandosi invece come qualcosa di più simile a una tradizionale conservatrice», annotano Ardissino e Jones, che le «sue preferenze politiche si adattano ampiamente alle direttive dell’UE e della NATO».
«Nonostante i suoi recenti sforzi per ottenere un’immagine più moderata, il suo partito non ha mai perso completamente le sue radici fasciste», afferma Barbero. E un «governo guidato da Meloni sarebbe uno dei più di estrema destra visti in una democrazia occidentale dalla seconda guerra mondiale».
Per assurdo, però, il «rischio maggiore per la stabilità dell’Italia e il suo posto in Occidente», non sarebbe neanche una Meloni post-fascista alla guida del Paese, quanto piuttosto i suoi«alleati della coalizione, in particolare la Lega, favorevole alla Russia, e il suo leader, spesso dirompente, Matteo Salvini», dicono Elettra Ardissino e Erik Jones. Infatti, fa loro eco Barbero, «sia Fratelli d’Italia che la Lega hanno opinioni euroscettiche e anti-immigrazione», hanno accarezzato a lungo entrambi la possibilità di uscire dall’euro, se non addirittura dall’Unione, e in fatto di diritti riproduttivi si teme che Meloni prenderà provvedimenti per rendere più difficile l’aborto, non per nulla su queste materie «si sono regolarmente schierati con il Primo Ministro ungherese Viktor Orban nel suo scontro con le autorità dell’UE per la retrocessione democratica nel suo Paese». L’ultima volta pochi giorni or sono.

David Broder, storico e traduttore inglese, editore europeo di ‘Jacobin Usa’, esperto di comunismo, intervenendo su ‘Politicoguarda proprio in direzione degli alleati. Fratelli d’Italia «ha ancora bisogno dei suoi partner elettorali per fare bene». «Meloni deve molto alle forze più moderate in quella che gli italiani chiamano l’alleanza dicentrodestra‘. Le hanno concesso l’opportunità di presentarsi come parte del mainstream, non solo perché ha ammorbidito le sue politiche -almeno all’apparenza- ma anche perché i politici di centro-destra che sono saliti sul suo carrozzone le hanno dato una patina di rispettabilità e credibilità. E lei ha bisogno di loro». Il riferimento è chiaramente a Forza Italia e agli altri partiti centristi minori che fanno parte della coalizione.
«Meloni e i suoi Fratelli d’Italia ‘postfascisti’ sono la causa principale dell’indebolimento di Forza Italia di Silvio Berlusconi e della Lega di Matteo Salvini. Il partito ha intaccato il sostegno elettorale dei suoi alleati, passando dal 4% nei sondaggi nel 2018 a circa il 25% negli ultimi sondaggi prima delle elezioni. Attualmente, circa la metà dei probabili elettori di Fratelli d’Italia sono disertori della Lega».

Posto ciò, proseguono Ardissino e Jones, i danni da Meloni sono attesi, ma è al breve termine che intanto si deve guardare. «A lungo termine, Meloni potrebbe danneggiare la democrazia italiana. Ha chiare ambizioni di rafforzare il potere dell’esecutivo sul Parlamento e di consolidare la propria posizione. Il suo conservatorismo e il suo programma di riforma costituzionale susciteranno polemiche in Italia e in tutta Europa. Ma a breve e medio termine, una Meloni forte si rivelerà più stabilizzante che distruttiva, mentre una Meloni debole potrebbe dover scendere a compromessi con Salvini in modi che gli alleati dell’Italia troveranno sgradevoli».
Un governo guidato da Giorgia Meloni «porterebbe a qualche turbolenza tra Roma e Bruxelles, in particolare sulla migrazione e sulla politica economica. Ma la politica estera ed europea dell’Italia, anche nei confronti della Russia, difficilmente cambierà molto». Ne è convinto Luigi Scazzieri, ricercatore senior presso il Centre for European Reform.
Scazzieri richiama la preoccupazione dei partner europei e internazionali dell’Italia per un governo a guida Meloni, sia per cosa potrebbe significare per l’economia italiana, per la sostenibilità del suo debito (che supera il 150 per cento del PIL), sia per le relazioni dell’Italia con l’UE. Il «populismo di Salvini e il background di Meloni nel Movimento Sociale Italiano neofascista», fanno temere che l’Italia possa diventare un membro dirompente dell’UE come la Polonia o l’Ungheria», e questo ha messo in allarme Bruxelles, sia i politici che i tecnocrati.

Dettagliando il percorso fatto dai sostenitori di Fratelli d’Italia -dal Movimento Sociale passando per Alleanza Nazionale- e Giorgia Meloni, Ardissino e Jones sottolineano come, la futura probabile premier, ora che «ha consolidato la sua leadership tra gli ‘elettori in protesta’, ha tutti gli incentivi per presentarsi come un affidabile futuro Primo Ministro e per rafforzare la sua credibilità internazionale. Sa che la sostenibilità a lungo termine del suo governo dipenderà dal fatto che i mercati accettino la sua leadership. Si sta quindi impegnando per apparire mainstream», con una serie di revisioni di posizioni precedenti, a partire proprio dalla politica estera. Ora, «contrariamente alle sue precedenti dichiarazioni, sostiene inequivocabilmente l’adesione dell’Italia all’eurozona», e attraverso il manifesto elettorale sottoscritto con Silvio Berlusconi e Matteo Renzi «promette “rispetto degli impegni [dell’Italia] nell’ambito dell’Alleanza Atlantica” e “piena adesione all’integrazione europea”».

Non altrettanto mainstream il suo alleato-sfidante Matteo Salvini, che punta a rosicchiare punti a Meloni recuperando un po’ dei voti di protesta, attraverso proposte come la flat taxche punta a tagli pesanti delle tasse, aumenti della spesa pubblica e una riforma delle pensioni lassista. Il che produrrebbe, affermano Elettra Ardissino e Erik Jones, «piani di indebitamento pesanti», i quali «scatenerebbero probabilmente un’altra resa dei conti con Bruxelles, simile a quella progettata da Salvini nel 2018. A sua volta,ciò potrebbe creare un’altra crisi di fiducia del mercato nell’Italia, un’economia fortemente indebitata che deve affrontare prospettive demografiche sfavorevoli e una cupa previsione per crescita economica. Sarebbe aggravato dal fatto che la Banca centrale europea ha chiarito che non interverrà per prevenire le turbolenze del mercato negli Stati membri che non rispettano le regole fiscali di Bruxelles. Una crisi di fiducia nella capacità dell’Italia di onorare il proprio debito potrebbe mettere in discussione la tenuta a lungo termine della moneta comune, come ha fatto nel 2011-12». A ciò si aggiunga il fatto che i tre partner della coalizione affermano di voler rivedere il piano di ripresa dell’Italia, il che rende diffidente e indispettisce Bruxelles.
Su questo tema, Scazzieri richiama i dubbi sulla capacità (e volontà) di questo possibile governo di destra di realizzare le riforme istituzionali che l’Italia ha sottoscritto nell’ambito del Recovery Fund, compresa la riforma del sistema giudiziario e della funzione pubblica per renderle più efficaci. Il governo Draghi ha iniziato a riformare entrambi, ma resta ancora molto lavoro da fare per attuarli pienamente. Potrebbe essere difficile raggiungere tutti gli obiettivi, così che «potrebbero esserci sostanziali disaccordi tra il governo italiano e la Commissione europea sul raggiungimento delle pietre miliari».
In fatto di politica economica dell’UE, «i partiti di destra chiedono una revisione del patto di crescita e stabilità dell’UE e una riforma della governance economica europea per garantire “una crescita stabile e duratura e la piena occupazione”. In politica energetica, il programma individua nella transizione ecologica uno degli ambiti chiave in cui devono essere difesi gli interessi nazionali dell’Italia, ma su questo non offre molti dettagli, afferma Scazzieri, ed è possibile che gli scontri tra il governo e la Commissione si avrebbero proprio su questidettagli’, anche solo considerando come in fatto di ambiente, cambiamento climatico e transizione ecologica non si può certo dire che la destra sia allineata con Bruxelles.
Insomma, il cammino di un governo Meloni in Europa sarebbe tempestato di ostacoli economici.

Non bastasse il pericolo sul fronte economico, motivi di scontro, e da subito, ci sono anche dal punto di vista geopolitico, qui, infatti, «la posizione di Salvini è inaffidabile», a partire dal fronte russo, affermano Elettra Ardissino e Erik Jones. «Poche settimane fa, ha pubblicamente chiesto una riconsiderazione delle sanzioni dell’UE nei confronti della Russia, anche se in seguito ha fatto marcia indietro» -da annotare che nelle ultime ore la richiesta è riapparsa-, e comunque in generale un ammorbidimento della risposta dell’UE alla guerra della Russia contro l’Ucraina.

Ma non è solo Salvini il problema: «sulla politica estera, gli alleati difficilmente sono d’accordo su qualcosa», secondo Barbero. E’ la coalizione ad avere problemi. Non sono allineati, dai provvedimenti da adottare sulla crisi energetica fino alla posizione da tenere in sede di Europarlamento. I «legami dei due partiti con Orban scompigliano le piume di Forza Italia di Berlusconi. Dopo che Fratelli d’Italia e Lega hanno votato contro una mozione del Parlamento Ue che bolla l’Ungheria come “non più una democrazia”, Berlusconi ha minacciato di non prendere parte a nessun governo futuro se non sarà allineato ai principi dell’europeismo».
E poi c’è il non detto. Il programma della destra, afferma Scazzieri, «non menziona le politiche che porterebbero rapidamente a uno scontro con l’UE, e che alcuni partiti di destra hanno adottato in passato, come affermare la supremazia del diritto italiano su quello dell’UE», punto in questi ultimi giorni rivendicato da Meloni in alcuni interventi televisivi, «o concedere ai cittadini italiani un accesso privilegiato ai servizi sociali e benefici. Tuttavia, il programma ha chiaramente una sfumatura sovranista: richiede una difesa più decisa degli interessi dell’Italia nell’UE e un’UE che sia “più politica e meno burocratica”».

A questo punto la domanda è: posto che Meloni per prima eviti i temi divisivi, come Meloni potrà contenere Salvini? «La difficoltà per Meloni è trovare un modo per moderare Salvini senza ridurre la sua credibilità presso i partner Ue e gli investitori internazionali. Compromettendosi con lui su questi temi, Meloni rischierebbe di fratturare il fronte unito dell’Occidente sull’Ucraina, avviando una lotta con l’UE per i budget, o entrambi: uno scenario da incubo». E, aggiungono Ardissino e Jones, «Anche se la Meloni resistesse, la stessa presenza di un Salvini forte all’interno del suo governo solleverebbe dubbi su quanto tempo riuscirebbe a sostenere le sue pressioni»
Così il male minore è che domenica 25 settembre,Meloni riesca fare una prestazione ottima, e al contrario una pessima Salvini, in modo che lei sia«più libera di moderare le sue politiche e rafforzare la credibilità del suo governo all’interno dell’Europa, della NATO e dei mercati obbligazionari, senza interferenze da parte del suo inaffidabile alleato». Almeno a «breve termine, per l’Italia -e per l’UE, gli Stati Uniti e l’Ucraina- una Meloni forte sarebbe meglio di una debole». Per il dopo si vedrà.

La destra, dunque, sembra decisamente in procinto di raggiungere la vittoria, ma «tenere le redini potrebbe rivelarsi molto più difficile». Non ultimo anche a causa della fragilità che si direbbe crescente del PD.
«Gran parte dei guai del PD derivano dalla sua incapacità di costruire un fronte più ampio e popolare», afferma Barbero, che ricorda che Letta si è rifiutato di cercare un accordo di coalizione con il Movimento Cinque Stelle, stimato a oltre il 10%, causa il suo ruolo da protagonista nel crollo del governo di unità nazionale di Mario Draghi, e con altri partiti minori dell’area di sinistra, quelli guidati dagli ex membri del PD Matteo Renzi e Carlo Calenda. Altresì il partito ha un problema di leadership. Letta ha pochissimo carisma, a partire dal «suo stile comunicativo misurato», che si scontra con i toni arrabbiati dei populisti Meloni e Salvini, toni che in questo momento storico spadroneggiano in Italia. «“Ha sicuramente un problema di carisma”, ha detto Marco Tarchi, professore di scienze politiche all’Università di Firenze. “Quando cerca di sembrare un duro, è difficile prenderlo sul serio”». «Letta ha lo stile di un intellettuale, di uno a cui piace ragionare, convincere, che usa toni moderati e si astiene dalle liti», ha detto Piero Ignazi, politologo dell’Università di Bologna. “È fantastico per i dibattiti nelle aule universitarie, ma potrebbe essere poco efficace in una campagna elettorale”».
A ciò si aggiunga il fatto che il PD «è stato anche logorato dalla sua presenza quasi ininterrotta al governo nell’ultimo decennio, durante il quale ha partecipato a sei diverse coalizioni di governo». E spesso, in questi anni, ha rinunciato a sostenere posizioni spiccatamente di sinistra in nome della mediazione, per il bene della stabilità e governabilità, e questo l’elettore di sinistra se lo ricorda quando va a votare. Il PD ha perso per strada in questi anni gli elettori di sinistra, «un enorme 49% dei quali fa parte di partiti di estrema destra come Fratelli d’Italia o della Lega», afferma Barbero citando un recente sondaggio.
«Marc Lazar, esperto francese di politica italiana ed ex collega di Letta durante il recente periodo del leader di sinistra a Sciences Po a Parigi “il Pd appare come il partito dell’establishment, il partito che è sempre stato al potere. Data la diffusione dei sentimenti antipolitici in Italia, questo ha un impatto sulla sua credibilità”».

«Letta rappresenta l’anima più conservatrice del PD. Cattolico, si è fatto le ossa nella Democrazia Cristiana, il vecchio partito che ha dominato per mezzo secolo la politica italiana». Eppure, afferma Barbero «sotto Letta, il PD sta conducendo una campagna su una piattaforma fortemente progressista, nel tentativo di invertire la tendenza che vede gli elettori della classe operaia fuoriuscire dalla sinistra in tutta Europa». Il PD di Letta è convinto eurofilo, pur essendo perfettamente consapevole dei limiti e dei problemi dell’Unione e del suo funzionamento, primo tra tutti quello delle rigide regole fiscali da riformare, parla ai lavoratori e ai giovani. «Su molte questioni, il PD potrebbe essere più in linea con l’opinione pubblica di quanto suggeriscano i grossi numeri attribuiti dai sondaggi a Fratelli d’Italia. Secondo un sondaggio pubblicato questo mese, la stragrande maggioranza degli italiani è a favore della tassazione progressiva, di un’imposta di successione più alta per i ricchi e del diritto all’aborto. Mentre la maggior parte degli intervistati desidera una minore immigrazione, la maggioranza desidera anche che ci sia un percorso più facile per ottenere la cittadinanza italiana per i figli degli immigrati». Insomma, nel Paese c’è un substrato di sinistra importante, che però il partito non riesce intercettare. «Molti sinistri italiani rimangono diffidenti», rileva Barbero,da qui il «senso di rovina imminente» che si respira tra i sostenitori del partito.

Sarà la relazione dell’Italia con Bruxelles a cambiare in maniera molto accentuata.
I partiti di destra, secondo Scazzieri, «non cercheranno il confronto con l’UE». Così probabilmente ci saranno delle turbolenze nelle relazioni, data la necessità dei partiti che comporranno il governo di dimostrare che stanno difendendo gli interessi nazionali dell’Italia. E Bruxelles non sarà certo molto ben disposta nei confronti dei desiderata della destra. «In politica economica, è improbabile che l’ambizione dell’Italia per un quadro fiscale più flessibile si concretizzi rapidamente, soprattutto se un governo di destra è considerato fiscalmente irresponsabile».
«Sarà difficile completare i piani dell’UE per un’unione bancaria, perché la prossima recessione europea porterà a più prestiti deteriorati in Italia, riducendo ulteriormente la volontà dei Paesi aggressivi di condividere i rischi con l’Italia. Quando si tratta del green deal dell’UE, sembra probabile che un governo di destra in Italia si unisca ai ranghi di quei governi dell’UE che sono meno disposti a impegnarsi per una rapida riduzione delle emissioni».

E poi il fronte migrazione. Qui «potrebbero esserci sostanziali disaccordi tra l’Italia e i suoi partner dell’UE. Salvini potrebbe benissimo tornare ad essere Ministro degli Interni e utilizzare quella piattaforma per migliorare il suo profilo politico, anche se ciò significa combattere con i partner dell’UE. Se il governo deve abbandonare molte delle sue politiche economiche, potrebbe essere ancora più tentato di avviare lotte sulla politica migratoria per dimostrare che difende gli interessi dell’Italia».
Stato di diritto e riforma istituzionale dell’UE, altro fronte di scontro possibile secondo Scazzieri «un governo di destra in Italia potrebbe porre degli ostacoli. Una coalizione di destra sarebbe morbida sul dibattito sullo stato di diritto dell’UEe si unirebbe ai ranghi di quegli Stati membri che non sono disposti a spingere duro su Polonia e Ungheria. E un governo di destra non sarebbe entusiasta delle riforme istituzionali dell’UE che sembrano diluire la sovranità nazionale, come l’estensione del voto a maggioranza qualificata in più aree politiche, come proposto da Macron e dal cancelliere tedesco Olaf Scholz».

Capitolo Russia. Secondo Luigi Scazzieri, «I timori che l’Italia possa fungere da cavallo di Troia per la Russia sono fuori luogo». Malgrado la vicinanza, nel passato, sia di Salvini che di Meloni a Vladimir Putin, nulla fa pensare «che la posizione dell’Italia sulla Russia cambierà molto». «Uno dei motivi è che sia Forza Italia che Fratelli d’Italia hanno una visione fortemente pro-NATO e atlantista. Meloni ha condiviso il sostegno di Draghi all’Ucraina, inclusa l’assistenza militare, anche se era all’opposizione. Per quanto riguarda Salvini, la sua opposizione alle sanzioni alla Russia e alle consegne di armi all’Ucraina è meglio vista come mossa opportunistiche per ottenere sostegno in un Paese in cui molti elettori temono che il conflitto danneggerà l’economia italiana. Vale la pena ricordare che Salvini era contrario alle sanzioni anche alla Russia quando la Lega era al governo tra il 2018 e il 2019, ma ciò non ha comportato il veto dell’Italia sul rinnovo delle sanzioni Ue. Con la posta in gioco ancora più alta ora, è ancora meno probabile che l’Italia rompa con il consenso occidentale, poiché le sanzioni del veto distruggerebbero le relazioni con la maggior parte dei partner italiani dell’UE e con gli Stati Uniti.
Tuttavia, mentre è improbabile che un governo di destra alteri radicalmente la posizione dell’Italia nei confronti della Russia, la presenza della Lega renderebbe probabilmente il nuovo governo più accomodante nei confronti della Russia rispetto al suo predecessore. Un governo di destra chiederebbe cautela nell’imporre sanzioni aggiuntive. Quando si tratta di supporto militare all’Ucraina, la Lega è scettica sulle consegne di armi e c’è la possibilità che le consegne di armi all’Ucraina vengano ridotte. Ciò danneggerebbe la reputazione dell’Italia tra i suoi alleati, anche se è improbabile che abbia un impatto tangibile sul conflitto data l’importanza limitata dei trasferimenti di armi italiane».

Il programma della coalizione non menziona la Cina o l’allargamento dell’UE, afferma Scazzieri. «Una coalizione di destra non favorirebbe il confronto aperto con la Cina, piuttosto sosterrebbe politiche relativamente dure per contrastare le pratiche commerciali cinesi che sono considerate ingiuste. Sull’allargamento, un governo di destra non sarebbe entusiasta. Ma ciò non farebbe una vera differenza per la politica dell’UE, dato che i candidati devono ancora intraprendere importanti riforme interne prima che l’UE accetti la loro adesione.«»

Considerato l’insieme, «un governo di destra, con al centro Fratelli d’Italia, ridurrebbe l’influenza dell’Italia nell’UE e renderebbe le relazioni Italia-UE più turbolente. Ma l’Italia non diventerebbe una nuova Polonia o Ungheria. Il programma della coalizione indica che un governo di destra sarebbe molto meno conflittuale con i suoi partner dell’UE e della NATO di quanto Marine Le Pen avesse segnalato nel suo stesso manifesto elettorale francese».
Scazzieri si sbilancia su di una previsione: «un governo di destra potrebbe non mantenere il potere a lungo. Il governo dovrà governare l’Italia durante un inverno difficile e fare scelte politiche difficili. La lotta interna all’interno della coalizione è quasi inevitabile: potrebbe facilmente crollare ed essere sostituita da una diversa combinazione di partiti».

Il rischio di vita breve lo ipotizza anche David Broder, il quale afferma che Meloni ha lavorato molto e riuscendo nell’operazione di lifting, «ha anche portato il suo profilo a diventare più autonomo dall’eredità del suo partito. Ma resta molto meno chiaro se questo possa durare, o se un suo governo di fronte a crisi immediate darà sfogo ai suoi istinti più velenosi», che a quel punto potrebbero farlo precipitare nel burrone.