L’ipotesi che dietro gli Stop and Go delle trattative sull’accordo sul nucleare iraniano, in corso a Vienna, ci possa essere un accordo strategico Mosca-Teheran-Pechino

Ieri, 7 settembre, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Aiea), ha reso noto che le scorte di uranio arricchito dell’Iran superano di 19 volte i limiti consentiti dall’accordo sul nucleare del 2015. Tali scorte raggiungono i circa 3.940 kg, la scorta di uranio arricchito al 60 percento -molto più vicino alla soglia del 90 percento richiesta per l’uso in un’arma- è ora di 55,6 kg. SecondoArab News‘: «Un diplomatico a Vienna ha affermato che, visti i progressi dell’Iran nell’arricchimento, ora sarebbero probabilmente necessarietre o quattro settimane per raggiungere la quantitànecessaria per un’arma nucleare».
L’Agenzia ha aggiunto di «non essere in grado di garantire» che il programma nucleare di Teheran sia esclusivamente a scopi pacifici.
Sempre ieri, attraverso l’agenzia stampa ‘Fars‘, il portavoce del governo iraniano, Ali Bahadori, ha dichiarato che l’Iran «non ha abbandonato e non abbandonerà i colloqui» in corso a Vienna per il rilancio dell’accordo. Bahadori ha chiesto agli USA di «abbandonare le loro richieste eccessive», ribadendo la condizione indispensabile che nell’accordo siano presenti «garanzie» per la rimozione delle sanzioni imposte da Washington su Teheran.
La precisazione di Ali Bahadori si è resa necessaria perchè, nelle ore precedenti, gli Stati Uniti avevano definito «poco costruttivo» il commento dell’Iran su una proposta di testo finale per l’accordo presentata dall’Unione europea. I funzionari statunitensi, scrive oggi ‘CNN‘, «sostengono che l’ultima risposta di Teheran faccia intendere che non è pronta a tornare a un accordo nell’immediato futuro, poiché non è riuscita a collaborare a un’indagine sulle tracce di materiale nucleare non dichiarato».
Probabilmente si tratta di tatticismi che rientrano in una trattativa complessa e gravata da una serie di problemi politici che risentono della cronaca politica a varie latitudini, o ne sono espressione, di fatto il risultato è che l’accordo, che si riteneva oramai imminente, è bloccato dall’ennesimo intoppo, reale o pretestuoso che sia. Le ultime tappe della trattativa che hanno portato agli sviluppi di ieri sono sintetizzati da ‘CNN‘.

Quel che è utile inquadrare è il contesto in cui si inseriscono questi ultimi fatti. Serve per provare a dare una spiegazione a quanto sta accadendo a Vienna.
Lunedì 5 settembre, il portavoce del Ministero degli Esteri iraniano, Nasser Kanaani, ha detto ai giornalisti in conferenza stampa: «Considerando la crisi in Ucraina e i problemi che l’Europa ha nell’approvvigionamento energetico, se i colloqui sul nucleare si concluderanno e le sanzioni unilaterali e illegali saranno revocate, la Repubblica islamica dell’Iran potrà soddisfare una parte più ampia dei bisogni dell’Europa», riferendosi anche al gas.

Poche ore prima, domenica 4 settembre, Mohammad Marandi, un consigliere della squadra di negoziazione nucleare di Teheran, ad ‘Al Jazeera‘, aveva dichiarato: «Sarà dura per gli europei più di chiunque altro» se l’accordo nucleare fallisce. «L’inverno si avvicina, il clima si farà freddo e hanno un’enorme crisi energetica e una crisi economica, e ciò potrebbe portare a grandi sconvolgimenti in tutto il continente». E ha aggiunto: «L’Iran vuole un accordo, ma gli europei hanno bisogno di un accordo». E in un tweet«L’inverno si avvicina e l’UE sta affrontando una paralizzante crisi energetica»
Gran parte dei media europei hanno interpretato queste dichiarazione e la tempistica delle stesse, nel quadro delle trattative di Vienna sul nucleare,come una sorta diricattodi Teheran a Bruxelles e Washington.

L’Independent‘, precisa alcuni punti. E’ vero che la riattivazione del JCPOA eliminerebbe le restrizioni sugli affari dell’Iran con gli altri Paesi, e dunque e consentirebbe all’Europa, come a qualsiasi Paese,di acquistare il suo gas. Ed è vero che «l’Iran ha le seconde riserve di gas naturale al mondo dopo la Russia», per esempio, «condivide un enorme giacimento di gas naturale con il Qatar».
Altresì vero, prosegue il quotidiano inglese, che «alcuni esperti hanno avvertito che l’Iran non può soddisfare i bisogni dell’Europa. Ci vorrebbero anni di costruzione di oleodotti per collegare l’Iran e l’Europa. “L’Iran non può esportare gas in Europa”, ha scritto su Twitter Esfandyar Batmanghelidj, fondatore e CEO del sito web di notizie economiche Bourse and Bazaar».
E su questo punto interviene anche ‘Iran International‘ che afferma: ci sono «due ragioni principali per cui un accordo nucleare ora non può influire sulla capacità dell’Iran di esportare gas naturale nel prossimo futuro. Il primo è l’enorme fabbisogno interno dell’Iran che supera la sua attuale capacità di produzione, e il secondo è l‘assenza delle infrastrutture per esportare il gas come GNL». E precisa: «Essendo rimasto indietro nella produzione di gas, l’Iran non ha mai costruito terminali GNL per servire i mercati globali, come ha fatto il suo vicino Qatar. La costruzione di tali terminali può richiedere 3-5 anni, anche se oggi venisse firmato un accordo nucleare e le sanzioni statunitensi venissero revocate. Considerando la necessità di costruire piattaforme di gas più grandi per aumentare la produzione, il tempo necessario all’Iran per spedire GNL in Europa è di almeno 7-8 anni».
Da precisare poi che il problema delfreddo inverno dell’Europaattiene al gas, e non al petrolio, «non ha quasi nulla a che fare con le esportazioni di petrolio greggio di Teheran, tranne che in generale aiutare a far scendere i prezzi del petrolio. La necessità dell’Europa di sostituire il gas russo è di per sé una questione specifica per la quale l’Iran non può essere di aiuto», per le motivazioni dette sopra. Per quanto riguarda il petrolio, certo, in questo caso l’Iran sarebbe pronto all’esportazione praticamente in tempo reale.

C’è poi un altro motivo per cui le dichiarazioni iraniane del fine settimana hanno dato adito al sospetto che Russia e Iran si stiano di fatto coordinando sulla strategia energetica sfruttando le trattative di Vienna.
L’alleanza Russia e Iran, sia in termini commerciali, che sul fronte della sicurezza, si è rafforzata anche negli ultimi mesi, il tutto, per altro, in triangolazione con la Cina. Di recente il Ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian è andato frettolosamente a Mosca per incontrare il suo omologo russo, Sergei Lavrov.
La Russia, questa è l’ipotesi di Iran International, «non vorrebbe che l’Iran prendesse una grossa fetta del suo mercato europeo. Il governo iraniano sta parlando di unoscambio di gascon Mosca, il che significa che la Russia vuole che l’Iran venda il suo gas naturale. Se l’attuale strategia europea di sostituzione del gas russo rimane in vigore in assenza di una soluzione alla crisi ucraina, qualsiasi accordo sul gas con l’Iran significherebbe acquistare energia da Mosca», presupponendo che a Vienna l’accordo vada in porto.
Naturalmente non possono esistere conferme a questa ipotesi, per il momento. E’ ipotesi, e tale per ora rimane.

A questo punto bisogna volgere lo sguardo verso Pechino.
Craig Singleton, ricercatore senior presso la Foundation for Defense of Democracies ed ex diplomatico statunitense, esperto di Cina, ha esaminato l’eventualità di una positiva conclusione delle trattative di Vienna, prevedendo la sottoscrizione di quello che lui definisce «un accordo più breve e più debole» che rafforzerebbe, però, l’Iran in modo significativo,intanto sollevandolo da quelle sanzioni che lo hanno isolato sia commercialmente che diplomaticamente.
Un simile accordo, secondo, l’ex diplomatico, «porterà a una maggiore instabilità sia in Medio Oriente che in Indo-Pacifico, consentendo alla Cina di approfondire la sua influenza in tutto il Golfo». E ciò partendo dalla posizione di forza che Pechino ha ottenuto in Iran.
Si ricordi l”accordo di 25 anni‘ di cooperazione militare e commerciale da 400 miliardi di dollari sottoscritto nel 2021 tra Iran e Cina. La Cina è diventata «il principale partner commerciale dell’Iran, una destinazione leader per le esportazioni di energia e un importante investitore nell’industria iraniana». Una posizione che ha dovuto comunque tener conto delle «forti relazioni della Cina con l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, i principali avversari regionali dell’Iran», un fatto che dunque ha «costretto a perseguire una strategia di impegno equilibrato nel Golfo».
L’economia è la forza trainante dietro l’odierna partnership sino-iraniana, afferma Singleton, «in cui la Cina esercita una notevole influenza sull’Iran.
La generosità di Pechino, resa possibile in parte dall’acquisto di petrolio iraniano da parte di compagnie cinesi in violazione delle sanzioni, ha fornito a Teheran un’ancora di salvezza economica vitale, oltre a finanziamenti per le sue attività destabilizzanti. Nel corso degli anni, la Cina ha anche effettuato investimenti strategicamente programmati in industrie iraniane critiche, come l’estrazione mineraria e i trasporti. Queste mosse mirano ad aiutare Pechino a garantire l’accesso illimitato alle riserve di gas naturale e petrolio dell’Iran, rispettivamente la seconda e la quarta più grande al mondo, per soddisfare l’aumento vertiginoso della richiesta cinese di energia. La Cina riconosce anche il valore della vicinanza geografica dell’Iran alle principali rotte commerciali di navigazione, che Pechino spera possa un giorno essere sfruttata perresuscitare la sua in crisi Belt and Road Initiative».
Queste mosse economiche sono state condotte dalla Cina, però, sempre con il freno a mano tirato. Il motivo è che «la Cina vede l’Iran come una scommessa rischiosa e continuerà a farlo finché le sanzioni rimarranno in vigore». Teheran lo sa molto bene, e, secondo Craig Singleton, sta aspettando il momento in cui entrerà in vigore un nuovo accordo nucleare, con il relativo venir meno delle sanzioni. A quel punto, infatti,l’influenza della Cina sull’Iran probabilmente si indebolirà con il tramonto delle sanzioni e Teheran diversificherà le sue relazioni esterne. A quel punto i ruoli si potrebbero invertire.

Spiega così la sua tesi Craig Singleton. «Libera dalla minaccia di sanzioni, la Cina quasi certamente aumenterà i suoi investimenti e scambi con l’Iran, rafforzando non solo la sua influenza nel Paese,ma anche nella regione.
Il maggiore accesso della Cina sarà avvertito in modo più acuto in una manciata di industrie strategicamente significative, molte delle quali comportano gravi ramificazioni per la sicurezza nazionale. Ad esempio, mentre le sanzioni statunitensi hanno portato la China National Petroleum Company, di proprietà statale, a ritirarsi da un accordo multimiliardario per lo sviluppo di gas naturale nel giacimento di South Pars, di gran lunga il più grande giacimento di gas del mondo, le aziende cinesi probabilmente riesamineranno la fattibilità di questa e di altre iniziative energetiche redditizie, alcune delle quali sono supervisionate dall’esercito iraniano. La Cina amplierà anche la sua portata in tutti i settori dell’acciaio, dell’oro e dell’alluminio iraniani, avendo precedentemente investito in altri progetti di lavorazione dei materiali che hanno consentito all’Iran di produrre input per il suo programma missilistico».

«Lo stesso vale per i progetti relativi alle infrastrutture e ai trasporti volti a collegare l’Iran alle reti regionali cinesi nell’Asia meridionale e centrale. Ciò include un percorso ferroviario pianificato tra l’Iran e la provincia cinese dello Xinjiang».
Quasi certamente Teheran si affiderà a Pechino per modernizzare la sua architettura di telecomunicazioni, «inclusa la richiesta di assistenza per l’installazione della stessa tecnologia di sorveglianza dell’intelligenza artificiale che la Cina ha esportato in altri regimi autocratici».
Intanto, l’Iran avrà avuto l’accesso, grazie al nuovo accordo, a circa 275 miliardi di dollari di riserve ora congelate durante il primo anno dell’accordo e ad almeno 1 trilione di dollari di nuove entrate petrolifere entro il 2030. Altresì, avrà diversificato le sue relazioni con la comunità internazionale, non ultimi i Paesi europei.
A quel punto l’influenza della Cina sull’Iran«probabilmente si indebolirà». E «allo stesso tempo, la dipendenza della Cina dall’Iran potrebbe benissimo aumentare man mano che Pechino diventa gradualmente più dipendente dai fornitori di energia iraniani per soddisfare i suoi insaziabili bisogni interni».
Secondo l’ex diplomatico, Teheran, con il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (IRGC), piuttosto che con i gruppi e le milizie affiliate, potràtenere occupatigli Stati Uniti in Medio Oriente,impedendo agli USA di spostare alcune risorse regionali nell’Indo-Pacifico, area essenziale per gli interessi egemonici della Cina. «L’instabilità in Medio Oriente riducela capacità di Washington di porre attenzione e pressione concentrata sulla Cina”», lasciando mano libera a Pechino sull’Indo-Pacifico.
Ciò detto, fa concludere a Craig Singleton che l’Iran, o meglio una eventuale riattivazione dell’accordo sul nucleare iraniano, «potrebbe portare contemporaneamente a una maggiore instabilità in due teatri contesi -il Medio Orientee l’Indo-Pacificocon la guerra in Ucraina», ovvero in Europa, che prosegue.
Ipotesi, come la precedente di ‘Iran International‘.

Ipotesi. Ma se le due ipotesi fossero qualcosa di più di uno scenario suggestivo, il coordinando Mosca-Teheran della strategia energetica sfruttando le trattative di Vienna sarebbe un tassello di un piano in fase di attuazione, e avrebbe senso ilgiocotattico definito in Occidentericattodell’Iran.
Nell’Europa in guerra, a caccia di petrolio e soprattutto gas per la sua economia, inevitabilmente in crisi, il Medio Oriente e l’Indo-Pacifico instabili e gli Stati Uniti impegnati su molteplici di scenari di crisi, il mercato energetico, a quel punto, sarebbe in mano al trio, Russia, Iran -produttori e decisori- e Cina -partner politicamente influenzatore.
E la Russia, fatta uscire dalla porta, sarebbe rientrata dalla finestra.
Con una conseguenza ulteriore, la più importante: che Mosca, Teheran, Pechino saranno sulla buona strada per affermare il raggiungimento del loro obiettivo principe di lunga data: l’affermazione di un nuovo ordine mondiale, quello auspicato da Mosca e Pachino lo scorso 4 febbraio.