Il Regno Unito da ieri ha un nuovo Primo Ministro. Lunga vita a Liz Truss. Augurio per nulla banale, se si considera che il regno in sei anni ha visto passare quattro premier.
Se il passato ci dice qualcosa sul futuro, Liz Truss sarà un Primo Ministro imprevedibile.
La sua carriera è iniziata nel 2010, quando per la prima volta è stata eletta in Parlamento. Quattro anni dopo, è entrata a far parte del gabinetto di David Cameron come Segretaria per l’Ambiente. In seguito è stata Segretaria alla Giustizia e poi Segretaria capo al Tesoro sotto Theresa May, infine Segretaria al Commercio Internazionale e Ministro degli Esteri sotto Johnson.

Gli inglesi non hanno grandi aspettative su di lei.Secondo un sondaggio del 1° settembre di ‘YouGov‘, «solo il 12% dei britannici si aspetta che Truss sarà un grande o un buon Primo Ministro, con la metà (52%) che si aspetta che siapovera‘ o ‘terribile‘». E in quanto a Boris Johnson «lascia un’eredità che solo il 22% dei britannici considera buona o eccezionale, con il 55% che valuta il suo tempo in carica come scarso o terribile». Un confronto tra i due, rilascia un quarto di intervistati, il 24%, che si aspetta che sia migliore di Boris Johnson, «mentre una proporzione uguale si aspetta che sia peggiore. Un ulteriore 37% dei britannici crede che sarà più o meno uguale al suo predecessore». Aggiunge ‘YouGov‘: «Gli elettori conservatori considerano più chiaramente Truss un downgrade rispetto a Johnson: il 43% pensa che sarà peggiore, più del doppio del numero che pensa che sarà migliore (20%). Rispetto ad altri primi ministri recenti, Truss probabilmente farà peggio di tutti loro (un elenco che risale a Margaret Thatcher, che Truss ha cercato di imitare ma è vista come inferiore dal 45% dei britannici e dal 60% degli elettori conservatori)».
Secondo alcuni osservatori, nella conduzione del suo mandato, Truss potrebbe essere guidata dalla sua visione di lunga data della politica come ‘filosofia in azione’, come ha scritto l’anno scorso Amy Mackinnon, la cui prospettiva globale influenza le scelte politiche.

Il suo dichiarato liberismo economico ha riempito le pagine dei giornali in questi giorni, non fosse altro che perchè prende le redini del Paese in un periodo economicamente turbolento, con l’aumento vertiginoso dei prezzi dell’energia, l’inflazione record -già sopra il 10%, entro ottobre si prevede possa arrivare al 13%-, e crisi che sono sempre più frequenti. Entrando al 10 di Downing Street, lo ha ben ribadito nel breve discorso che ha tenuto. «Ho fatto una campagna da conservatrice e governerò da conservatrice», ha dichiarato. «Consegnerò un piano audace per tagliare le tasse e far crescere la nostra economia».
E però Liz non èda sempreliberista e conservatrice. Anzi, si fa notare: «Ex liberaldemocratica centrista mentre frequentava l’università», quando era antimonarchica e attivistaper la cannabis legalizzata, «ha chiesto la fine della monarchia britannica e si è opposta ardentemente alla Brexit» durante la campagna referendaria del 2016. Quando il referendum ha dato l’esito che sappiamo, si è «trasformata in una cheerleader della Brexit, un cambiamento drastico che l’ha aiutata a ottenere il sostegno nel Partito conservatore» e alla fine, ora, a sconfiggere il suo rivale, Rishi Sunak.
Liz, insomma, «ha un passato politico pieno di inversioni di marcia ideologiche». «Sarebbe facile commettere uno dei due errori su Truss: o non crede in niente o crede in tutto ciò che sta dicendo in qualsiasi momento», scrive Ben Judah, membro anziano dell’Atlantic Council. «È un mix complicato di politica camaleontica su una solida struttura di credenze, specialmente sulla geopolitica». Oppure: camaleontica e basta, camaleontica cercando sempre di compiacere il pubblico difronte al quale si trovava. Ora potrebbe essere arrivato il momento dello stop al cambio di ‘forma’.

Politicacamaleontica‘, ‘specialmente sulla geopolitica‘. Ribadito in tutti i modi che Liz in economia è una conservatrice liberista -almeno al momento-, in politica estera cosa è?
«Dalla guerra in Ucraina alla Cina, Truss ha adottato posizioni da falco mentre prestava servizio come Ministro degli Esteri», volto della politica estera post-Brexit che il governo chiama ‘Global Britain’ non è solo sostenuta dal ‘Daily Mail‘ di estrema destra, ma vista dai Leaver più radicali come un sostenitore della loro causa. Judah la descrive come un intransigente che è sempre alla ricerca di unasoluzione Thatcher-Reagan‘.
Truss «vede il mondo più in bianco e nero di Johnson e ha l’ambizione per un’azione ancora più grande sulla scena mondiale dopo essere stato Ministro degli Esteri durante una guerra europea», scrive.

Secondo Ben Judah, la sua visione del mondo è stata profondamente plasmata dalla guerra russa in Ucraina. Fuor di dubbio la continuità della politica estera promossa da Boris Johnson, della quale lei è stata interprete e convinta sostenitrice. «Era convintamente dietro Johnson mentre questi abbracciava una forma di atlantismo muscolare verso Russia e Cina: inviare armi pesanti in Ucraina all’inizio, posizionare Londra come il partner più stretto del Presidente ucraino Volodymyr Zelensky, aumentare la spesa per la difesa del Regno Unito, difendere Hong Kong con una generosa offerta di visti e cercando di rafforzare il ruolo della Gran Bretagna nell’Indo-Pacifico con il patto AUKUS, in collaborazione con Stati Uniti e Australia, iniziando a disaccoppiare il Regno Unito da Pechino su questioni delicate come la tecnologia 5G di Huawei». Secondo Judah, «Non solo condivide la propensione al rischio di Johnson, come dimostra il suo sostegno nell’invio anticipato di armi pesanti in Ucraina, ma la supera. Questo l’ha resa popolare presso il Governo di Zelensky, secondo i diplomatici britannici e ucraini con cui ho parlato, ed è spesso salutata su Twitterdal Ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba, che la chiama ‘amica‘. Truss ora vuole essere ancora più dura».

Una performance di intransigenza la si attende nella relazione con la Cina. Secondo Ben Judah, abbandonate da tempo le speranze di collaborazione economica con il Presidente cinese Xi Jinping, Truss, con l’avvio della campagna per la leadership del Partito conservatore, ha addirittura accusato il suo rivale, Rishi Sunak, di «cercare relazioni economiche più strette» con la Cina. C’è da attendersi dunque che la premier sarà ancora più intransigente di Johnson con Pechino, senza la possibilità di un dialogo economico che esuli dalla geopolitica, opzione che invece Johnson, così come Sunak, sostenevano, tanto da non danneggiare i legami economici con il più grande esportatore mondiale, terzo partner commerciale del Regno Unito, una delle principali fonti di importazioni a basso costo, proprio in un momento in cui il la crisi del costo della vita è quella più dura. Il commercio totale tra i due Paesi è balzato del 5,5% a 93,4 miliardi di sterline nell’anno fino a marzo. Decine di migliaia di studenti cinesi che studiano in Gran Bretagna contribuiscono con 2,5 miliardi di sterline all’anno all’economia. 880.000 visite turistiche cinesi hanno fruttato 1,7 miliardi di sterline l’anno prima della pandemia.
«Secondo le fonti con cui ho parlato, semplicementenon crede che sia possibile» salvare il rapporto economico a scapito della politica e dei principi. Questo perchè «Truss vede il mondo principalmente in termini di competizione geopolitica, non di commercio, ambiente o sviluppo».

Il nuovo corso di Liz coinvolgerà anche le società sostenute dalla Cina nelle infrastrutture critiche del Regno Unito, il nuovo leader chiuderà i rubinetti degli investimenti che i governi precedenti hanno cercato di aprire, a partire da sette anni fa, dichiarando «non possiamo essere strategicamente dipendenti dalla Cina».
«Ci sarà un costo in termini di relazioni diplomatiche e probabilmente nella volontà cinese di investire in progetti di capitale qui», ha affermato a ‘Bloomberg‘ il Presidente del Royal United Services Institute, David Lidington, de facto vice di Theresa May quando era Primo Ministro. Pechino, da mesi sta valutando l’impatto di un premier Truss sulle relazioni politiche, ma soprattutto economiche, e il governo, secondo fonti della testata americana tenute riservate, si diceva preoccupato. Preoccupazione che era sostenuta dal discorso di apertura di Truss come Ministro degli Esteri, nel 2021, nel corso del quale aveva definito la Cina come unaminaccia strategicain contrasto con larete della libertàche desiderava rafforzare con alleati come Stati Uniti e Australia.
La sua retorica, avvisano gli analisti, potrebbe rivelarsi insostenibile e costosa perché pare improbabile che il Regno Unito, specialmente nella fase attuale economicamente critica, interrompa tutti i legami commerciali ed educativi, e i governi precedenti conoscevano benissimo questa impossibilità.

Sempre ‘Bloomberg‘, già lo scorso mese affermava che le società britanniche «stanno già ripensando alle loro operazioni in attesa che il Regno Unito lavori per disaccoppiarsi dalla Cina, ha detto al ‘Financial Times‘ Tony Danker, direttore generale della Confederation of British Industry. La rimozione della Cina dalle catene di approvvigionamento aziendali farà aumentare i prezzi, ha affermato Danker. Anche la Cina è destinata a perdere: le sue esportazioni verso la Gran Bretagna sono più del doppio rispetto al flusso opposto. Inoltre, la Cina ha visto il coinvolgimento nelle industrie britanniche come il nucleare come una vetrina per ampliare il fascino della tecnologia cinese». Truss «è disposta a mettere la politica davanti all’economia», si ripeteva già nei mesi scorsi a Pechino. Non ci vorrà molto tempo per scoprire se davvero è così o se il pragmatismo avrà la meglio.
Un punto chiave a cui prestare attenzione, afferma Ben Judah, è fino a che punto Truss si spinge nell’etichettare come genocidio il trattamento riservato dalla Cina agli uiguri nella regione dello Xinjiang, dopo aver bollato i giganti della tecnologia cinese come un rischio per la sicurezza, e sostenuto la necessità di armare Taiwan. Da lì si potrà capire quale direzione intraprenderà la sua politica in rapporto alla Cina.

Ci sarà un cambiamento notevole anche per quanto riguarda gli alleati della Gran Bretagna, dice Judah. Truss, secondo gli addetti ai lavori del governo, «è più americana degli americani, in attesa di una guida più solida da Washington praticamente in ogni dipartimento». Avere Truss come Primo Ministro è insolito per Washington,perché significa finalmente ottenere l’alleato che ha sempre affermato di volere -duro con la Cina, capace di aumentare le spese per la difesa e chiedere maggiore azione pur essendo disposto a giocare in prima persona- e però, contestualmente,questadurezza‘, in questo momento, potrebbe essere una complicazione con alla Casa Bianca Joe Biden, «le cui inclinazioni sono più evidenti nel ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan che nella necessaria risposta alla guerra della Russia in Ucraina».
La sua istintiva simpatia per gli Stati Uniti l’aiuterà Truss nelle relazioni con Washington in un momento difficile.
Altresì i nuovi disordini in Iraq e le crescenti tensioni in Pakistan e India offrono spazio per un ruolo del Regno Unito, se il nuovo governo lo volesse. Le relazioni commerciali che Truss ha perseguito con Australia, Canada e altri trarrebbero vantaggio e profondità. E Washington non potrebbe che essere favorevole a uno scatto di attivismo del regno sullo scenario internazionale nel campo occidentale.
In materia di immigrazione, Truss ha assunto una posizione intransigente, giurando di aumentare le forze di frontiera del 20 per cento e appoggiando il piano del governo di inviare richiedenti asilo in Rwanda.

E poi il capitolo Europa. Qui il camaleonte che è in Liz potrebbe complicare ulteriormente la situazione.
Serve ricordare e appuntarsi il suo percorso del 2016, da ‘Remain’, prima e durante la campagna referendaria, a ‘Leave’ a referendum concluso.
«I funzionari della Commissione europea sono pessimisti sul futuro», sostiene Judah, indicando la sua posizione controversa sul Protocollo dell’Irlanda del Nord (NIP). «Ma il suo record è misto. Ha iniziato a cercare di affascinare l’Unione europea con un invito di alto profilo al vicepresidente della Commissione europea Maros Sefcovic, gestendo il dossier come Ministro degli Esteri, solo per abbandonare sostanzialmente i negoziati con il blocco sull’Irlanda del Nord, quando ha visto che non stavano andando da nessuna parte o quando si è resa conto che il suo percorso per Downing Street le avrebbe richiesto una linea dura. Ciò ha bruciato molti funzionari a Bruxelles e danneggiato gravemente la loro fiducia».
Altresì vero, prosegue Ben Judah, che «non ci sono prove che sia d’accordo con gli irriducibili Brexiteers, che vogliono vedere il crollo del blocco. Non solo Truss, un tempo sostenitrice di ‘Remain’, comprende che l’UE è importante in geopolitica; lo considera importante per riunire i vari Stati europei in un blocco democratico. Come Primo Ministro, probabilmente parteciperebbe a vertici o eventi con la leadership dell’UE, come ha fatto da Segretaria degli Esteri, se pensasse di poterne ricavare qualcosa. Ma per ora il suo entusiasmo si ferma qui».
Neanche l’idea del Presidente francese Emmanuel Macron di una Comunità politica europea attrae Truss, l’ha respinta, secondo funzionari francesi e britannici sentiti da Judah. «La Gran Bretagna,secondo Truss, non vuole avere più discussioni in un formato incentrato sull’UE senza gli Stati Uniti e afferma che sia il G-7 che la NATO soddisfano già questa esigenza. La sua opinione, sempre più condivisa al Foreign Office, è che ciò che la Gran Bretagna è mancata negli ultimi anni quando si tratta di sicurezza europea non sono le strutture consultive con l’UE sugli affari esteri, ma il denaro e la forza sulle crisi reali. L’Ucraina, pensa, lo conferma. L’attivismo di Johnson e il suo dimostrano che non esiste un ordine di sicurezza europeo senza che la Gran Bretagna sia la chiave».

Truss non intende essere aggressivamente ostile all’UE, ma non ha nemmeno intenzione di ricostruire il rapporto. Truss è stata sia conflittuale che collaborativa con l’Europa. Ora, da Primo Ministro, si ritrova di nuovo a un bivio con l’Europa.
Quel che la unisce a Bruxelles è la discordia sull’applicazione del NIP, che vede l’Irlanda del Nord rimanere soggetta a determinate regole dell’UE per garantire un confine aperto tra il nord (parte del Regno Unito) e la Repubblica d’Irlanda. «Ci sono tre fazioni nel partito conservatore quando si tratta del NIP: un accordo a qualsiasi prezzo, nessun accordo mai, o un accordo con l’UE da una posizione di forza. Truss è saldamente nel terzo campo», dice Judah.

Bronwen Maddox, direttore e amministratore delegato di Chatham House, è scetticaTruss «ha mostrato coerenza sul protocollo dell’Irlanda del Nord con scarsi segni di compromesso e questo da solo potrebbe causare molti danni inutili agli interessi del Regno Unito».Il che la posiziona in rotta di collisione con l’UE, ma anche con «la Camera dei Lord del Regno Unito, a causa dell’esame di una legislazione controversa all’inizio di ottobre, dopo la conferenza del partito conservatore.

C’è un’enorme opposizione nei Lord a due aspetti della legislazione. Il primo obiettivo è l’intenzione del governo Johnson, che potrebbe essere ripetuta da un governo Truss, di utilizzare il disegno di legge per eliminare aspetti del protocollo che secondo molti violano il diritto internazionale. Il secondo, è il potere delegato che il disegno di legge darebbe ai ministri».
Il costo di un nuovo, serio scontro -o peggio, di una guerra commerciale completa- con l’UE è alto. C’è la perdita di scambi, l’aumento degli attriti per le imprese, che è costantemente sottovalutato dal governo del Regno Unito, e la perdita di partenariati scientifici e di ricerca.

Il costo di questo ennesimo scontro con l’Unione europea va oltre l’economia, indebolisce i legami«con un insieme di alleati con valori comuni che condividono un vicinato sempre più travagliato». E questo è probabilmente il danno più grave che Liz potrebbe arrecare al regno.
NIP a parte, secondo Maddox, «l’Europa dovrebbe essere il suo punto di partenza», e l’opportunità qui per il Regno Unito è chiara. «La guerra in Ucraina e la crisi del costo dell’energia le danno un ruolo -nonostante abbia lasciato l’Unione Europea (UE)- nel parlare ai governi dell’UE del futuro del continente su più fronti».
L’eredità di Johnson costituita dal suo enfatico sostegno al Presidente Zelensky, «ha conferito al Regno Unito una posizione di chiarezza morale e strategica su cui Truss può costruire durante quello che sarà un inverno eccezionalmente difficile per i governi europei». Truss dovrebbe lavorare per essere in grado «di persuadere i leader europei a rimanere uniti nel sostegno dell’Ucrainamentre pianificano meglio come reperire energia. Potrebbe approfondire questo aspetto per aiutare l’UE a trovare una strada attraverso i suoi numerosi altri problemi, come difendere i valori democratici in tutto il blocco o trovare una risposta alla migrazione. C’è anche la possibilità per il Regno Unito di plasmare il pensiero dell’Europa sullo sviluppo ela regolamentazione della tecnologia digitale e della medicina, dell’energia e dell’ambiente». L’opportunità c’è, ed è chiara secondo Bronwen Maddox.
La dichiarazione di Truss secondo cui il Regno Unito «dovrebbe ora spendere il tre per cento del suo PIL per la difesa potrebbe aiutarla ad assumere quel tipo di ruolo. Tuttavia questa dichiarazione elettorale non è credibile, viste le pressioni sulle finanze nazionali».

Sono opportunità in campo teorico, invece «i segni sono che questo non è il suo approccio all’Europa. Il suo commento provocatorio e opportunistico secondo cui la ‘giuria è fuori’ sul fatto che il Presidente Macron (e la Francia) fosse un amico o un nemico ha scioccato sia gli alleati che gli oppositori della Gran Bretagna.

A coloro che sono desiderosi di vedere le divisioni tra le democrazie, ha dato un incoraggiamento inaspettato e inebriante, e a coloro che si trovano all’interno di quei Paesi, ha iniettato un dubbio sui valori condivisi che è stato profondamente dannoso. L’equilibrio gelido della risposta di Macron – che il Regno Unito e la Francia sarebbero sempre stati alleati – ha mostrato quanto si fosse allontanata dal normale protocollo.

L’episodio racchiudeva una delle fonti di disagio per lo stile Truss: l’improvvisazione sotto la bandieradisruptionsenza pensare alle conseguenze».
«Se il prossimo governo del Regno Unito sbaglia il rapporto con l’Europa», conclude Bronwen Maddox, «non troverà il mondo ricco di buoni sostituti. Un certo grado di improvvisazione in una campagna di leadership è inevitabile, ma la priorità dovrebbe essere relazioni serie e rafforzate con l’UE».

Secondo Livia Godaert, borsista non residente presso l’Europa Center, vedremo una svolta verso la diplomazia economica come priorità attraverso il Gruppo dei Sette (G7) e negoziati aggressivi di partenariato commerciale, nonché una ri-pensamento ai tradizionali partner del Regno Unito sulla scena mondiale, proseguendo un percorso iniziato con la Brexit. Sebbene sia impegnata nella NATO, «Truss è molto poco entusiasta di prendere parte a più ampi processi politici europei, esemplificato dal suo desiderio di eliminare pezzi del protocollo dell’Irlanda del Nord e dalla sua apparente frustrazione nei confronti del Presidente francese Emmanuel Macron», scettica sulla ‘relazione speciale’ tra gli Stati Uniti e il Regno Unito.
In definitiva, Truss vede il Regno Unito come il primo tra i partner, piuttosto che uno del brancoe sta cercando sostegno sullo scenario internazionale. «L’esercizio ‘Global Britain’ doveva essere un esame onesto del posto del Regno Unito nel mondo, dove può essere un leader efficace, dove può essere un facilitatore di successo e un moltiplicatore di forza e dove dovrebbe agire a sostegno di altri attori chiave», sostiene Godaert. «Truss sembra invece impegnata con la Gran Bretagna come leader in una miriade di aree, che siano o meno quelle dove il Paese è più efficace: sostegno all’Ucraina ora e in futuro, contrastando Russia e Cina, ecc…». Ma con le crescenti sfide interne che vengono dalla Scozia, i nuovi venti politici nell’Irlanda del Nord e i legami logoranti nel Commonwealth, la sua attenzione sarà portata in molte direzioni. Il Regno Unito ha il potenziale per facilitare il cambiamento politico di trasformazione attraverso la collaborazione, con la regolamentazione tecnologica che rappresenta un’area sottovalutata, ma i suoi alleati e amici dovranno impegnarsi per mantenere l’attenzione del nuovo Primo Ministro».

Alla fine, «il più grande nemico di Truss potrebbe essere se stessa», afferma Ben Judah. «Proprio come Johnson, può essere una politica disorganizzata che ha bisogno di un capo di gabinetto molto forte per salvarla da errori imbarazzanti e frasi mal scelte. Johnson non è mai stato in grado di trovarne uno. Truss semplicemente non può permettersi una squadra debole». Truss è accusata di una scarsa riorganizzazione del Foreign Office; «ha spesso parlato con noncuranza, ad esempio confondendo le regioni russe e ucraine quando ha parlato con il Ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov». Incidenti che non potrà più permettere da qui in avanti.
DiKojo Koram, docente di giurisprudenza presso la Birkbeck School of Law, Università di Londra, oggi sul ‘New York Times‘ ha pubblicato un articolo dal titolo ‘Britain’s New Prime Minister Is Still in Thrall to the Empire‘. Truss viene messa in relazione a Enoch Powell, noto del partito conservatore dal 1950 a fine anni ’80. «In gran parte noto per la sua denuncia amaramente razzista dell’immigrazione», scrive Koram, «il signor Powell ha la pretesa di essere il politico britannico più influente del dopoguerra. Questo principalmente perché, in un’era di decolonizzazione, ha tracciato un percorso per la Gran Bretagna per mantenere il suo dominio globale. Modellato alla fine della luce imperiale, quell’elenco di sue politiche -condizioni preferenziali del commercio globale ottenute attraverso politiche intransigenti contro i migranti, restringimento dello Stato, indebolimento del lavoro organizzato e promozione della finanza- costituisce la base della politica della signora Truss oggi. L’impero britannico potrebbe essere quasi finito 60 anni fa, ma il Primo Ministro del Paese è ancora schiavo della sua eredità».