Il ritorno della potenza degli Stati Uniti, la NATO, la Cina, l’Europa che stupisce ma senza esagerare. Questi i grandi capitoli di quantoappresodagli americani nei primi sei mesi della guerra russa in Ucraina, secondo un gruppo di eminenti pensatori interpellati dalla prestigiosa ‘Foreign Policy‘.
All’inizio della guerra, la testata aveva posto lo stesso interrogativo: in che modo la prima grande guerra europea dal 1945 avrebbe plasmato la grande strategia statunitense in futuro. «Sebbene le loro prospettive fossero diverse, la maggior parte era d’accordo su una cosa: la guerra segna la fine dell’era successiva alla Guerra Fredda e il ritorno di una accresciuta competizione tra superpotenze, sia in Europa che nel Pacifico». «Ora che la guerra ha superato la soglia del semestre, abbiamo posto di nuovo la domanda e abbiamo trovato diverse sorprese, insieme a temi già visibili la prima volta», afferma la Redazione.

Gli studiosi interpellati sono: Anders Fogh Rasmussen, amministratore delegato di Rasmussen Global, fondatore della Alliance of Democracies Foundation ed ex segretario generale della NATO; Angela Stent, senior fellow presso Brookings Institution; Stephen M. Walt, editorialista di ‘Foreign Policy‘ e professore di relazioni internazionali all’Università di Harvard; C. Raja Mohan, editorialista di ‘Foreign Policy‘, senior fellow presso Asia Society Policy Institute ed ex membro del National Security Advisory Board dell’India; Robin Niblett, ex direttore e amministratore delegato di Chatham House; Liana Fix, direttrice del programma per la sicurezza europea presso la Fondazione Körber ed ex borsista presso il Fondo Marshall; Edward Alden, editorialista di ‘Foreign Policy‘, docente presso la Western Washington University, ricercatore senior presso il Council on Foreign Relations.

Tutti e sette convengono sul fatto che le prestazioni militari della Russia non sono migliorate in modo significativo e le sue forze armate continuano a subire perdite sostanziali. In Ucraina potrebbe ottenere niente altro che una vittoria di Pirro. Ma la sua capacità di minacciare il resto dell’Europa in futuro sarà minima. La Russia ha perso una parte considerevole delle sue armi più sofisticate e della sua forza lavoro militare meglio addestrata.
Altresì c’è sostanziale unità nel ritenere che le sanzioni occidentali abbiano già danneggiato in modo significativo l’economia russa. Le restrizioni alle esportazioni renderanno molto più difficile l’acquisizione, da parte dell’industria della difesa russa, di semiconduttori avanzati e altre tecnologie che richiedono le armi all’avanguardia. Nel tempo, gli sforzi europei per ridurre la dipendenza dal petrolio e dal gas russi priveranno Mosca delle entrate e ostacoleranno ulteriormente la sua capacità di ricostruire le sue forze militari una volta che i combattimenti in Ucraina saranno finiti. Fatti questi essenziali se, come ampiamente dichiarato, l’obiettivo della Casa Bianca era di rendere innocua la Russia.

IL RITORNO DEGLI USA

«La guerra ha sottolineato l’indispensabile ruolo di leadership di Washington come garante della sicurezza dell’Europa» esordisce Angela Stent, come a precisare subito il tono dell’analisi. Alleati NATO europei «possono proteggersi solo sotto l’ombrello degli Stati Uniti». Così «gli Stati Uniti hanno fatto la parte del leone» nella fornitura«delle armi all’Ucraina, consentendole di respingere l’avanzata russa». A fronte di una UE, ma anche OSCE e ONU che «non hanno risposto adeguatamente all’invasione russa e alla minaccia alla sicurezza che Mosca rappresenta per l’Europa».
Stent riconosce che c’è una grande fetta di mondo, «quasi l’intero sud del mondo», sottolinea, a partire dall’India, che «si è rifiutato di scegliere da che parte stare», e che dunque non è alleato USA. Il che significa che «gli Stati Uniti dovranno confrontarsi con una nuova realtà», gli USA «dovranno navigare in questo grande gruppo di Paesi non allineati, proprio come hanno fatto durante la Guerra Fredda».
Questo porta alla questione di fondo rappresentata dall’ordine mondiale. «Russia e Cina hanno entrambe chiesto un nuovo ordine post-occidentale in cui gli Stati Uniti non possono più stabilire l’agenda. Pechino cerca un ordine globale in cui la Cina possa stabilire le regole con gli Stati Uniti, ma dove ci saranno ancora delle regole. La Russia, a giudicare dalle sue azioni in Ucraina e dai suoi bombardamenti notturni di propaganda televisiva, sta promuovendo qualcosa di completamente diverso: un disordine mondiale senza regole. La grande sfida strategica degli Stati Uniti è garantire che un mondo post-guerra fredda mantenga effettivamente le regole, comprese, soprattutto, quelle progettate per evitare conflitti armati su larga scala».

Anche Stephen M. Walt considera scontato ilritornoUSA, rilevando però un errore che ritiene di fondo, quello che attiene allo«svezzamento dell’Europa da Washington». Fare in modo «che l’Europa si assuma maggiori responsabilità per la propria difesa consentirebbe agli Stati Uniti di spostare maggiori sforzi e attenzione sull’Asia per affrontare le numerose sfide poste da una Cina più potente e assertiva». Qui invece gli USA sbagliano e questi sei mesi di guerra lo avrebbero dimostrato. «Sfortunatamente, l’Amministrazione Biden sta ignorando queste implicazioni e sta rafforzando la dipendenza europea dallo Zio Sam. Se questo corso continua, gli Stati Uniti rimarranno sovraccarichi e la loro capacità di bilanciare efficacemente la Cina ne risentirà». Il rischio, dunque, è che Biden ripeta «gli stessi errori che in passato hanno incoraggiato i partner europei di Washington a trascurare le proprie capacità di difesa. Gli Stati Uniti si sono assunti la responsabilità primaria di armare, addestrare, sovvenzionare e consigliare l’Ucraina. A febbraio, l’Amministrazione ha annunciato il dispiegamento a tempo indeterminato di 20.000 truppe americane aggiuntive in Europa, con l’aggiunta di altre nuove forze a giugno. Non sorprende che la determinazione europea a fare di più stia svanendo e le abitudini radicate nel free-riding stiano riemergendo. L’imminente recessione europea non farà che esacerbare queste tendenze, mettendo in dubbio le audaci promesse che la Germania e altri Stati europei hanno fatto alcuni mesi fa. Se questa tendenza non viene invertita, Washington si ritroverà a fare più del necessario in Europa ma non abbastanza in Asia. Per la grande strategia statunitense, sarebbe un errore fondamentale».

Raja Mohan, puntando l’attenzione sull’Asia, condivide che gli «Stati Uniti restano indispensabili per bilanciare la Russia in Europa e la Cina in Asia. Ma la stabilità a lungo termine in Europa e in Asia dipenderà dalla capacità di Washington di costruire equilibri di potere locali e promuovere ordini regionali». In linea con Walt afferma la necessità che «amici e alleati in Europa e in Asia» si assumano «maggiori responsabilità per la sicurezza delle proprie regioni», e Biden, dice, ha lavorato in questa direzione. «In Europa, resta da vedere se tutti gli alleati degli Stati Uniti, in particolare Germania e Francia, sono davvero impegnati a tradurre i loro impegni in azioni. In Asia, gli alleati e i partner dell’America come Giappone, Corea del Sud, Australia e India sembrano molto più disposti ad assumere un ruolo più importante nella propria sicurezza e nell’equilibrio di potere nell’Indo-Pacifico».

«L’Amministrazione Biden ha colto questa opportunità», l’invasione russa dell’Ucraina, per riconquistare la posizione strategica degli Stati Uniti come fulcro delle democrazie liberali mondiali». afferma Robin Niblett. E tuttavia, «gli Stati Uniti devono fare in modo che questo momento non faccia presagire un ritorno al mondo diviso del XX secolo. Sebbene la priorità sia coltivare una nuova partnership Atlantico-Pacifico, l’altro elemento della grande strategia degli Stati Uniti dovrebbe essere quella di attirare Paesi in Africa, America Latina, Sud-est asiatico e altrove in un livello successivo di relazioni economiche e strategiche che controbilanciano gli sforzi cinesi e russi fare lo stesso».

Per Anders Fogh Rasmussen, «la guerra ha dimostrato che Washington rimane l’ultimo garante della sicurezza in Europa». Gli Stati Uniti «hanno risposto con forza e guidato una risposta potente e unitaria da parte del mondo occidentale», devono consolidare e mettere in sicurezza questo risultato.

NATO

Tutti i sette pensatori sembrano concordare nel mettere in relazione il ‘ritorno’ degli USA con la NATO, sia sul fronte europeo che quello asiatico, che i sette sottolineano essere intimamente collegati.
In questi sei mesi, la NATO «ha ritrovato la sua missione originaria: contenere una Russia espansionista», afferma Angela Stent. E sempre ilcontenimentoè il lavoro che attende in Asia l’alleanza. La NATO «si coordinerà più strettamente con i partner asiatici in seguito alla designazione della Cina come avversario da parte del blocco. Gli Stati Uniti, attraverso il dialogo quadrilaterale sulla sicurezza, la partnership AUKUS e le alleanze bilaterali in Asia, guideranno un Occidente collettivo -Nord America, Europa, Australia, Nuova Zelanda, Giappone, Corea del Sud e Singapore- nel tentativo di contenere Russia e Cina contemporaneamente».
L’ingresso di Svezia e Finlandia nella NATO, secondo Stephen M. Walt, «complica enormemente la pianificazione della difesa russa», perchè «entrambi i Paesi hanno potenti forze militari, e il loro ingresso» trasforma «il Mar Baltico in un lago virtuale della NATO. Questo inclina gli equilibri di potere in Europa in modo ancora più decisivo a favore della NATO».
Secondo Raja Mohan «l’attenzione prebellica del Presidente degli Stati Uniti Joe Biden sulla sfida cinese si è rivelata la scommessa giusta. Nonostante la crisi militare senza precedenti in Europa, l’Amministrazione Biden si è rifiutata di distogliere lo sguardo dall’Asia. Sebbene l’invasione russa dell’Ucraina abbia messo in luce i pericoli delle ambizioni russe in Europa, Biden non ha mai scartato la sua convinzione che l’espansionismo cinese in Asia rappresenti la maggiore minaccia per gli Stati Uniti». «»

Liana Fix parla di un «ritorno della NATO da quella che il Presidente francese Emmanuel Macron aveva definito ‘morte cerebrale’ alla più importante organizzazione del continente europeo. La guerra ha riaffermato la centralità del blocco -così come il primato degli Stati Uniti- per la sicurezza europea». L’aggressione della Russia ha offerto all’alleanza «tutte le ragioni per riaffermare la sua ragion d’essere. Ciò che è statosorprendente è stata la portata del risveglio della NATO, inclusi due nuovi membri invitati entro pochi mesi dall’inizio della guerra russa. Il sostegno alla NATO è cresciuto tra i cittadini europei, così come gli atteggiamenti positivi nei confronti del ruolo degli Stati Uniti in Europa».

«La presenza di Australia, Giappone, Nuova Zelanda e Corea del Sud al vertice NATO di Madrid di giugno ha mostrato che questi Paesi comprendono che l’impegno degli Stati Uniti per la loro sicurezza richiede anche il loro sostegno per gli interessi degli Stati Uniti in Europa», afferma Robin Niblett. E prosegue: «il primo riferimento in assoluto alla Cina come un’esplicita sfida alla sicurezza nel comunicato del vertice dell’alleanza, nonostante la guerra in corso in Europa, è stato un segnale che gli europei sanno che devono prendere sul serio le future minacce dalla Cina se vogliono che gli Stati Uniti rimangano un Paese affidabile alleato in Europa».

CINA

La Cina è il grande protagonista che monopolizza i pensieri degli analisti che guardano a questa guerra e a quanto successo nei primi sei mesi.
Afferma Niblett: «Il team di Biden ora deve rendere reale e non un fugace miraggio la nuova partnership transemisferica. Dovrebbe sfidare gli alleati europei, alcuni dei quali hanno emesso ambiziose strategie indopacifiche, a partecipare a regolari operazioni di libertà di navigazione ed esercitazioni militari nel Mar Cinese Meridionale e nelle sue vicinanze. Gli alleati ora devono anche collaborare per preservare la libertà di navigazione nello Stretto di Taiwan, in seguito all’uso opportunistico da parte di Pechino della visita a Taiwan della presidente della Camera degli Stati Uniti Nancy Pelosi all’inizio di agosto per cambiare lo status quo militare intorno all’isola.
Inoltre, il G-7 dovrebbe invitare i suoi stretti partner del Pacifico al di fuori del Giappone a partecipare regolarmente ai dialoghi strategici del gruppo, sia sulla politica delle sanzioni, sugli investimenti tecnologici o sulle catene di approvvigionamento critiche. Insieme, avrebbero la massa critica economica per concordare standard commerciali e di investimento in linea con i loro valori. In caso di successo, altre democrazie potrebbero essere invitate a unirsi a questa comunità».
«Nella competizione tra Russia e Cina da un lato e nella partnership Atlantico-Pacifico, dall’altro, i circa 140 Paesi che ora compongono una ripresa della comunità non allineata dell’era della Guerra Fredda hanno un’agenzia che non hanno mai posseduto durante la Guerra Fredda. Questa volta, un approccio ‘con noi o contro di noi’ da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati sarebbe controproducente. Invece, i benefici materiali che altri Paesi ottengono dall’interazione con i membri della nuova partnership Atlantico-Pacifico dovrebbero essere calibrati sul loro impegno nel perseguire interessi condivisi e sugli sforzi che intraprendono per migliorare la governance interna e la protezione dei diritti dei loro cittadini.
Questa strategia richiederà all’Amministrazione Biden di sviluppare un approccio più inclusivo alla leadership globale rispetto ai suoi predecessori. Da parte loro, gli alleati degli Stati Uniti devono incrociare le dita e sperare che le prossime elezioni presidenziali americane non annullino i risultati degli ultimi sei mesi».

I recenti eventi in Asia, come le vaste esercitazioni militari cinesi seguite alla recente visita della presidente della Camera degli Stati Uniti Nancy Pelosi a Taiwan, afferma Stephen M. Walt, «hanno sottolineato il ruolo centrale del potere statunitense nel preservare un favorevole equilibrio di potere in Asia. Se impedire l’emergere di un egemone rivale in una regione strategica vitale rimane un principio cardine della grande strategia statunitense, allora è essenziale orientarsi verso l’Asia, indipendentemente da ciò che accade in Ucraina».

Per Anders Fogh Rasmussen, gli Stati Uniti si devono liberare al più presto del ‘problema’ Ucraina. «Il principale fulcro strategico degli Stati Uniti rimane il perno verso l’Asia e l’accresciuta concorrenza con la Cina. Tuttavia, sarà molto più difficile se Washington sarà coinvolta in un conflitto di lunga data in Europa. Il modo migliore per evitare questa trappola è dare agli ucraini tutto ciò di cui hanno bisogno per vincere questa guerra».

Edward Alden, contestualizza la questione cinese in un quadro geopolitico molto più ampio. «Per molti decenni, l’influenza economica è stata al centro della grande strategia degli Stati Uniti, ma solo come margine morbido del potere statunitense. Le amministrazioni che si sono succedute hanno seguito in gran parte l’ortodossia economica del libero scambio, degli investimenti esteri e dei mercati aperti, credendo che un sistema globale governato da tali regole avrebbe servito gli interessi nazionali degli Stati Uniti arricchendo gran parte del mondo. Ma con l’invasione russa dell’Ucraina, gli Stati Uniti hanno buttato fuori dalla finestra questo regolamento. Guidato dall’Amministrazione Biden, l’Occidente ha imposto dure sanzioni economiche contro la Russia che probabilmente rimarranno in vigore per anni. Con un occhio alla sicurezza nazionale, il Congresso ha abbracciato una politica industriale in piena regola, approvando il CHIPS and Science Act per rafforzare le capacità manifatturiere del Paese nei semiconduttori e in altri settori critici. L’obiettivo esplicito della politica è ridurre la dipendenza dalle importazioni dalla Cina e da altre potenze potenzialmente ostili. Pechino, a sua volta, ha raddoppiato i propri sforzi per raggiungere una maggiore autosufficienza, non ultimo per scongiurare eventuali future sanzioni in caso, ad esempio, di una guerra su Taiwan. Anche la Russia si è unita alla lotta economica»

«Queste azioni suggerirebbero un futuro di conflitto economico tra le grandi potenze, con gli Stati Uniti e i loro alleati che sperano che la loro leadership tecnologica fornisca il vantaggio decisivo. Ma c’è un problema con questa strategia: il resto del mondo non vuole prendere parte alla guerra economica. La maggior parte dei Paesi al di fuori del blocco occidentale ha già rifiutato di schierarsi rispetto all’Ucraina o di aderire al regime delle sanzioni. L’India potrebbe avvicinarsi all’allineamento con l’Occidente nell’Indo-Pacifico, ma si è rimpinzata di petrolio russo scontato. L’Arabia Saudita ha continuato ad abbracciare la Russia come parte del cartello dei produttori di petrolio OPEC+, rifiutando le richieste degli Stati Uniti di espellere Mosca dal club. Il sud-est asiatico, l’Africa e l’America Latina sono in gran parte concentrati sulle proprie aspirazioni economiche e sulla gestione della carenza di cibo e dell’inflazione esacerbata dalla guerra. L’Indonesia ha rifiutato le richieste occidentali di espellere la Russia dal vertice del G-20 che ospiterà a novembre, e sia il presidente russo Vladimir Putin che il Presidente cinese Xi Jinping affermano che parteciperanno. “La rivalità dei grandi paesi è davvero preoccupante”, ha detto il Presidente indonesiano Joko Widodoha detto a ‘Bloomberg News‘. “Quello che vogliamo… che questa regione sia stabile, pacifica, in modo da poter costruire una crescita economica”.

Affinché la strategia statunitense abbia successo, quindi, Washington dovrà moderare le sue azioni economiche contro le grandi potenze rivali per ingraziarsi i meno impegnati. La visita personale del Presidente degli Stati Uniti Joe Biden in luglio in Arabia Saudita per invocare una maggiore produzione di petrolio e la riluttanza della sua Amministrazione a criticare l’India per i suoi acquisti di petrolio dalla Russia, sono solo due esempi di questo delicato equilibrio. Biden, inoltre, non ha mostrato segni di voler boicottare il vertice del G-20 per protestare contro la presenza di Putin, anche se i funzionari del Tesoro degli Stati Uniti hanno abbandonato una riunione preparatoria all’inizio di quest’anno.

A differenza della Guerra Fredda, quando solo l’Occidente aveva la ricchezza e le istituzioni per offrire importanti carote economiche, gli Stati Uniti ora devono affrontare una forte concorrenza. La Cina e persino la Russia hanno molto da offrire. La Cina ha l’intera suite di un grande mercato affamato di materie prime e altri input, ampia liquidità per investimenti e prestiti esteri ed esportazioni di manufatti a basso costo. La Russia dispone principalmente di risorse a basso costo, ma alcune, come petrolio e fertilizzanti, sono vitali per molti Paesi in via di sviluppo. Gli Stati Uniti e i loro alleati dovranno dimostrare di poter applicare la loro nuova attenzione alla politica economica alle sfide immediate che questi Paesi devono affrontare, ad esempio offrendo aiuti alimentari e remissione del debito secondo necessità e mantenendo i mercati occidentali aperti al commercio».

Raja Mohan è perentoria: «le prospettive di un confronto USA-Cina stanno crescendo in Asia. A differenza dell’Ucraina, dove l’Occidente si è astenuto da qualsiasi intervento diretto, gli Stati Uniti saranno probabilmente coinvolti in un conflitto diretto con la Cina per Taiwan». E aggiunge: che a «resistere all’egemonia cinese» saranno «più Paesi della regione». «Fortunatamente, l’Amministrazione Biden continua ad alzare il tiro in Asia». La convinzione di Mohan, per altro non esplicitamente condivisa da nessuno degli altri esperti coinvolti in questa riflessione, è contestualizzata. Mohan sottolinea il «collegamento tra i teatri europei e asiatici», la «’partnership senza limiti’ tra Mosca e Pechino, annunciata dalle due potenze revisioniste all’inizio di febbraio. La Cina non è stata di grande aiuto alla Russia nel contrastare l’Occidente. Ma una Russia che inevitabilmente esce più debole dalla guerra in Ucraina potrebbe essere ancora più dipendente dalla Cina. La Russia sarà anche più spinta a sostenere l’avventurismo cinese in Asia. Questo, a sua volta, renderà più difficile contrastare il potere della Cina in Asia».

Proprio il ‘teatro europeo’ è oggetto di riflessione da parte di Liana Fix. Considerando come la Cina dal punto di vista economico sia in una posizione molto più importante rispetto la Russia nell’Unione europea, «gli europei avranno bisogno di ragioni convincenti per mettere a repentaglio i loro legami economici con la Cina». Dunque, non sarà facile per gli Stati Uniti ottenere il coinvolgimento dei Paesi UE in un eventuale scontro con la Cina, fosse pure non militare, ma in forma di guerra economica. Nessuno, annota Fix, «si sarebbe aspettato una risposta europea così forte alla Russia, e questa risposta è stata molto probabilmente notata dalla leadership cinese».

EUROPA

L’unico motivo per cui apprezzare l’Europa nella vicenda ucraina pare proprio la guerra economica. L’Unione europea ha stupito per la sua capacità di condurre la guerra economica contro la Russia. Ha stupito la tenuta malgrado le difficoltà che hanno causato le sanzioni ai cittadini europei.
Liana Fix si dimostra entusiasta del fatto che l’Unione Europea sia stata all’altezza in questa occasione. «Invece di essere emarginata in tempo di guerra, l’UE è diventata la potente cugina della NATO nel regno economico. Pochi giorni dopo l’invasione, l’UE si è trasformata da un’organizzazione dedita alla cooperazione economica in tempo di pace a un’organizzazione disposta e in grado di condurre una guerra economica». La guerra economica dell’Occidente è stata ed è «importante quasi quanto le sue consegne di armi e il supporto dell’intelligence. E le misure economiche sono saldamente il terreno dell’UE». «Detto questo, la guerra economica è una nuova attività per l’UE, che ha più esperienza nella negoziazione di accordi di libero scambio che nell’organizzazione del disaccoppiamento dell’intero blocco da un importante partner commerciale. Invece di avvicinare le economie, il suo ruolo abituale, Bruxelles ha dovuto invertire il processo e tagliare i legami tra la Russia e l’UE in molte aree».
Fix non risparmia di chiedere comunque di più alla UE. «L’Europa dovrebbe, ovviamente, fare di più. Il suo embargo sul petrolio russo, molto più facile da fare che sostituire il gas del Cremlino, entrerà in vigore solo a dicembre. Nel frattempo, i Paesi dell’UE continuano a trasferire enormi quantità di denaro per l’energia russa. Ma a medio termine, il regime delle sanzioni occidentali renderà impossibile per la Russia sostenere un’economia moderna e probabilmente limiterà la sua capacità di condurre la guerra».
Continua Fix: «Fino a quando gli europei non potranno assumersi maggiori responsabilità per la propria sicurezza, cosa che è ancora un po’ lontana, ammesso che accada, il regno economico è dove possono essere molto potenti. Washington avrà bisogno di partner nei conflitti incombenti del futuro, dove la Cina rappresenterà una sfida tanto economica quanto per la sicurezza. Da febbraio, l’UE ha dimostrato di poter essere un partner affidabile anche a caro prezzo per la propria economia. Questo indica un grande affare strategico che unisce la potenza economica dell’UE con la potenza militare degli Stati Uniti e richiederà a Washington di rimanere più impegnato in Europa di quanto avesse pianificato».

Angela Stent, invece, sottolineando come «l’Unione europea, nonostante tutti i suoi piani e le sue ambizioni, non sia riuscita a raggiungere la propria autonomia strategica», mette in guardia sul fronte della tenuta sul medio-lungo periodo. Bisogna avere chiaro che «diventerà sempre più difficile mantenere l’unità occidentale di fronte alle crescenti difficoltà causate dalle ricadute economiche della guerra», comprese le sanzioni occidentali e l’energia energia. «Washington dovrà guidare nell’aiutare i suoi alleati a trovare alternative al petrolio e al gas russi, mentre persegue un’agenda interna di eliminazione graduale dei combustibili fossili». Il tutto nel quadro delle «profonde divisioni sia in Europa che in Asia su come trattare con Russia e Cina», sottolinea Raja Mohan.
Sul fronte militare, invece, secondo Stephen M. Walt, «La guerra ha dimostrato che l’hard power conta ancora nel 21° secolo, ha messo in luce le carenze militari dell’Europa, ha sottolineato sottilmente i limiti dell’impegno degli Stati Uniti e ha rivelato i limiti militari duraturi della Russia. Ricostruire le difese dell’Europa richiederà tempo e denaro».

«La guerra della Russia in Ucraina ha riportato la difesa territoriale in Europa in cima all’agenda».Ciò ha importanti ramificazioni «per le ambizioni strategiche degli Stati Uniti», secondo Anders Fogh Rasmussen, ma anche per l’Europa. Convinto come Rasmussen è che l’Europa, per la sua sicurezza, non può fare a meno degli Stati Uniti. «Mentre il divario tra le democrazie e le autocrazie del mondo si inasprisce, il mondo sta entrando in un nuovo periodo di competizione e confronto». E in questo quadro che si inserisce il problema Cina, ma anche il rapporto, tutto da riorganizzare, tra USA e Unione europea.