Il 23 e 24 giugno il Consiglio europeo chiamato a lavorare sulle decisioni di allargamento dalle quali prenderà forma il futuro dell’Europa per molto tempo a venire. Scontro aperto tra l’Occidente e l’Est, sempre più assertivo

 

Il 23 e 24 giugno il Consiglio europeo si riunirà per discutere una nutrita serie di temi. Tra tutti, quello che ha attirato l’attenzione internazionale, èconcessione dello status diPaese candidatoall’Ucraina. Ma altri punti sono particolarmente importanti.
Per la concessione dello status diPaese candidato‘, al terzo punto all’ordine del giorno, ci sono anche Moldavia e Georgia (che hanno avanzato richiesta quasi contestualmente all’Ucraina, quest’ultima il 28 febbraio, gli altri due Paesi il 3 marzo).
Primo punto all’ordine del giorno: ‘Grande Europa, con riferimento alla proposta di istituire una ‘Comunità politica europea”, ovvero il progetto avanzato dal Presidente francese Emmanuel Macron, lo scorso 9 maggio, nel suo discorso pronunciato al Parlamento europeo, a Strasburgo, per l’evento finale della Conferenza sul futuro dell’Europa.
Secondo punto all’ordine del giorno: ‘Ucraina, con riferimento alla guerra di aggressione russa contro l’Ucraina nelle sue diverse dimensioni’. Si discuterà della conferma a fornire ulteriore aumento del sostegno militare all’Ucraina. La discussione si concentrerà poi sulla proposta che la Commissione a breve dovrà presentare per concedere all’Ucraina una nuova assistenza macrofinanziaria eccezionale fino a 9 miliardi di euro nel 2022 e sul fatto che la Commissione dovrebbe presentare rapidamente le sue proposte sul sostegno dell’UE alla ricostruzione Ucraina.
Quarto punto: ‘Balcani occidentali, con riferimento alle prospettive di adesione all’UE ed al processo di integrazione’. La discussione dovrebbe sostanzialmente puntare all’accelerazione della progressiva integrazione tra l’Unione europea e la regione.
Il 23 giugno, prima dell’avvio dal Consiglio europeo, si svolgerà una riunione con i Paesi dei Balcani occidentali.

Un menu, quello che attende i capi di Stato e di Governo dell’Unione europea, «impostato sulle decisioni di allargamento più importanti dalla fine della guerra fredda. Le decisioni che prenderanno daranno forma al futuro dell’Europa per molto tempo a venire. Si tratta meno di tecnicismi legali e più di geopolitica e capacità di agire dell’Unione europea», affermaAlexander Stubb, direttore della School of Transnational Governance presso l’Istituto Universitario Europeo di Firenze, già Primo Ministro della Finlandia, membro del Consiglio dell’European Council on Foreign Relations (ECFR), il primo think tank pan-europeo. Dunque, due giornate dove in gioco c’è molto più dell’Ucraina Paese candidato.
Decisioni storiche, quelle da prendere, dove in gioco c’è il futuro dell’Europa, la nuova Europa, e ciò in un momento particolarmente difficile per l’Unione.

L’attacco del Presidente russo Vladimir Putin all’Ucraina «ha diviso in modo permanente l’Europa» geografica, afferma Stubb. «Da un lato del recinto ideologico c’è una Russia isolata,autoritaria e aggressiva che continua a pensare e ad agire in termini di sfere di interesse. Dall’altro lato ci sono 40 Stati europei, che vanno dalla Georgia, Ucraina e Moldova attraverso i Balcani occidentali fino all’Irlanda e al Regno Unito. La maggior parte di questi Paesi crede nella democrazia, nel diritto internazionale e nella cooperazione».
Secondo altri osservatori, c’è un’altra divisione, molto più insidiosa. «la guerra non ha unito il blocco in alcun modo senza precedenti o trasformativo. In effetti, sta avendo esattamente l’effetto opposto: sotto la vista impennata dell’Ucraina come catalizzatore per un’UE più vigorosa e geopoliticamente efficace, si trovano profonde divisioni, alleanze mutevoli e una realtà molto più complessa», afferma Eoin Drea, analista politico, scrittore e ricercatore senior presso il Wilfried Martens Center for European Studies, il think tank ufficiale del Partito popolare europeo. «La guerra -o, più precisamente, gli approcci completamente divergenti dei principali membri dell’UE nei confronti della Russia e come si aspettano una pace postbellica- sta alterando l’equilibrio di potere all’interno del blocco stesso. E questa è una cattiva notizia per la Germania, la Francia e il resto dei tradizionali powerbroker dell’UE». Insomma: ‘l’equilibrio di potere dell’UE si sta spostando verso Est‘.
E tutto questo accade nel mezzo di una crisi economica pesante, in parte conseguenza di quelle sanzioni alla Russia alle quali l’Unione ha aderito, più o meno convintamente, su pressione degli Stati Uniti.

Stubb guarda alla due giorni di Bruxelles come ad una discussione su «come organizzare una nuova Europa», quella del domani, da una posizione che è esattamente quella che, secondo Drea, sarebbe la visione perdente, quella del «fallimento dell’approccio transazionale di Parigi e Berlino ai membri del blocco nell’Europa centrale e orientale e dei Paesi baltici».
La chiave, afferma Stubb, «è garantire che tutte le democrazie europee disponibili e capaci abbiano un percorso chiaro e realistico per l’adesione o,se non vogliono aderire, una forma alternativa di cooperazione. Ci sono molti modi per farlo. Il mio suggerimento è di creare un’Europa confederaleche abbia tre livelli, che sia flessibile e aperta a tutti gli Stati europei disponibili e capaci». Una proposta che guarda alla proposta di Macron dello scorso 9 maggio -al primo punto dell’ordine del giorno del Consiglio europeo-, e che tiene ben presente la necessità di dare risposte all’Europa dell’Est.
I tre livelli proposti da Stubb sono: l’Unione Europea; la Comunità Europea; e l’Area Europea.
«Secondo questo modello, l’UE continuerebbe così com’è. La sua struttura istituzionale rimarrebbe la stessa. Il processo decisionale diventerebbe più efficiente poiché non ci sarebbe più il requisito dell’unanimità su tutte le questioni. L’Unione diventerebbe più flessibile pur mantenendo il suo focus politico. L’UE è sia un regolatore che un attore. Non ha finalità; è un processo. Non vedo la necessità di convocare una conferenza intergovernativa su questo cambiamento di approccio. L’UE apporterebbe le necessarie modifiche istituzionali utilizzando la cosiddetta clausola passerella.
La Comunità Europea sarebbe essenzialmente composta da Paesi che stavano negoziando l’adesione, avevano lo status di candidati o avevano espresso il desiderio di aderire all’unione. L’obiettivo sarebbe avvicinarli tempestivamente alle strutture e alle istituzioni decisionali dell’UE. Ciò includerebbe il Consiglio europeo congiunto semestrale, le riunioni ministeriali e la partecipazione ai gruppi di lavoro del Consiglio senza diritto di voto. Questi Paesi avrebbero legami più formali con il Parlamento europeo e la Commissione europea. Dovrebbero inoltre adottare politiche chiave, come il Green Deal europeo e la politica estera e di sicurezza comune, in una fase iniziale.
L’Area Europea includerebbe Paesi che non hanno intenzione di entrare nell’UE nel prossimo futuro. Includono Regno Unito, Svizzera, Islanda, Norvegia e Lichtenstein. In questo caso, l’attenzione dovrebbe essere concentrata sulla cooperazione economica e di sicurezza, nonché su legami istituzionali più stretti. I leader di tutti i 40 Paesi dovrebbero incontrarsi almeno una volta all’anno».
Una struttura abbastanza semplice, nulla di particolarmente innovativo, considerando che proposte del genere sono già state avanzate in passato, e sul tappeto c’è la proposta similare di Macron, il cui obiettivo, ammette Stubb, «è accelerare l’allargamento e creare una struttura di impegno che attiri non solo i volenterosi e i capaci, ma anche i riluttanti e gli incapaci. Si tratta di unire i Paesi europei e lasciare la Russiafuori finché non si atterrà al diritto internazionale fondamentale».
«Nell’UE ci sono tradizionalmente Paesi che sostengono l’allargamento e quelli che sono riluttanti a farlo. Questa volta, non c’è scelta. L’indecisione porterebbe alla frustrazione e all’instabilità. Non c’è spazio per meschini, armeggi di basso livello o politica interna. Si tratta di alta politica, pace e futuro dell’Europa.
L’UE deve essere pronta ad accogliere più membri prima piuttosto che dopo. Sì, questo significherà decisioni difficili e compromessi. Ma la verità è che l’allargamento è il miglior strumento geopolitico in un nuovo ordine di sicurezza europeo. L’UE ha l’autonomia strategica e l’obbligo storico di impegnarsi in essa. Un’Europa confederale fornirebbe uno strumento per farlo gradualmente ma senza esitazione», conclude Alexander Stubb.

Una proposta, quella dell’ex Primo Ministro finlandese, che potrebbe rispondere ai ‘disagi’ evidenziati da Eoin Drea.
«Per decenni, l’Europa occidentale ha perseguito un modello guidato dall’economia». «Peggio ancora dal punto di vista dei membri dell’Europa orientale, queste priorità strettamente economiche sono state accompagnate da un crescente sforzo dell’Europa occidentale per spingere i loro valori sociali e politici sui membri dell’Europa orientale, come Polonia e Ungheria, e collegare questi valori ai finanziamenti dell’UE. Nel frattempo, gli innumerevoli avvertimenti delle capitali orientali sulla Russia non solo sono stati ignorati, ma spesso ridicolizzati come paranoici».
«L’invasione russa ha allontanato ulteriormente le priorità di questi membri dell’Europa occidentale dalla maggior parte dei membri dell’UE nell’Est. La mancanza di consegne di armi significative e rapide da parte di Germania e Francia all’Ucraina, le loro inutili aperture al Presidente russo Vladimir Putin e la loro lunga copertura sul fatto che vogliono che l’Ucraina vinca questa guerra suggeriscono che tutti non desiderano altro che tornare agli affari come al solito con la Russia. Questo ha creato un abisso strategico che si allarga ad ogni affermazione che arriva da Parigi e Berlino. La guerra ha dimostrato, se fosse necessaria una prova, che il potere duro ha la meglio su tattiche di persuasione più morbide, una lezione che molti leader dell’Europa occidentale hanno ignorato da tempo. Il cambiamento più immediato è già evidente. I Paesi dell’Europa centrale e orientale sanno che per la loro sicurezza, forse anche per la loro esistenza come Paesi indipendenti, dipendono interamente dalla NATO, non dall’UE. L’incapacità di quest’ultima di contrastare in modo significativo il revanscismo russo ha messo in luce le delusioni francesi di ‘autonomia strategica’ europea e ha distrutto la credibilità dell’UE in materia di sicurezza e difesa». Non solo: «gli attori chiave nella difesa dell’Europa per i prossimi decenni non saranno i powerbroker dell’UE tradizionalmente favorevoli alla Russia -Germania e Francia- ma i Paesi dell’Europa centrale e orientale, il Baltico e Stati nordici, Stati Uniti e Gran Bretagna».

Drea non lo cita, ma l’affermazione sembrerebbe dare consistenza all’ipotesi di Boris Johnson di un nuovo sistema di alleanze politiche, economiche e militari, alternativo all’Unione europea, che metterebbe insieme i Paesi insofferenti e diffidenti verso Bruxelles e la guida occidentale dell’Unione, una sorta diCommonwealth europeo. Una rete che includerebbe proprio Ucraina, Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania, i Paesi più critici che provano a impadronirsi della guida della UE secondo l’analista del Wilfried Martens Center for European Studies

La politica di sicurezza e di difesa, tuttavia, secondo Drea, «è solo il catalizzatore di un riordino degli equilibri politici dell’UE», il che sta «già portando a una maggiore assertività tra i vicini orientali». Estonia, Lettonia e altri tra Baltico ed Est Europa hanno apertamente criticato la politica di apertura di Parigi.

La questione ucraina, ha fatto saltare il tacito accordo tra i membri occidentali e orientali dell’UE: «i primi, in quanto contributori netti al bilancio dell’UE, inviano ogni anno decine di miliardi di euro in finanziamenti a est, mentre i secondi hanno deferito alle maggiori potenze occidentali la leadership politica». Non sarà più così, «si sta plasmando un nuovo equilibrio di potere, i cui contorni stanno lentamente emergendo.La Polonia, la più grande economia dell’Europa orientale e la sesta economia più grande dell’UE, è fondamentale per la crescente emancipazione dell’Europa centrale e orientale. Poiché la guerra ha accelerato le tensioni esistenti con Bruxelles, Varsavia è stata pronta a sfruttare la sua leadership nel difendere l’Ucraina per ampliare il dibattito sulla futura direzione strategica dell’UE. La visione dell’attuale governo polacco di una futura UE -definita dal Primo Ministro polacco Mateusz Morawieckichiama ‘un’unione di Nazioni forti, uguali e libere’- rimane una sfida diretta alle visioni di integrazione di Parigi, Berlino e Bruxelles, ma solo nelle aree politiche che contano per loro e ignorando le minacce alla sicurezza vitali.La visione polacca dell’UE è condivisa in gran parte dell’Europa centrale e orientale».

«Se i membri orientali, baltici e nordici non riusciranno a definire la strategia dell’UE per la Russia in modo da superare l’inerzia francese e tedesca, cercheranno la loro sicurezza altrove, specialmente cooperando più strettamente con i membri della NATO non UE, come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna. Quando Macron parla di ‘autonomia strategica’ dell’UE indipendente dagli Stati Uniti, si accendono luminose spie nelle capitali dell’Europa orientale, dove la tolleranza per questo tipo di discorso si sta rapidamente riducendo.»

Questo spostamento del potere politico avrà un impatto ridurrà radicalmente la capacità dell’UE di raggiungere i suoi obiettivi in altri settori politici. «Molti Paesi dell’Europa orientale condividono un conservatorismo istintivo e una visione della sovranità nazionale che rimane scettico sui tentativi dei membri occidentali dell’UE di inserire la propria politica nella politica a livello dell’UE sul clima, sulla migrazione o sui valori sociali e democratici. Polonia e Ungheriastanno usando la loro leva politica per opporsi a una tassa minima a livello dell’UE sui profitti delle società, che il resto dell’UE sostiene. La Repubblica ceca, insieme ad altri membri dell’UE orientale, considera parti della politica climatica dell’UE, in particolare il principale Green Deal dell’UE promosso dalla Germania e altri, come un ‘minaccia esistenziale‘ alla sua economia».

«Le crepe nell’UE esposte dalla guerra in Ucraina non potranno che allargarsi in futuro. I Paesi baltici hanno già chiaramente inquadrato l’aggressione russa come una minaccia esistenziale all’unità del blocco. Questo mese, i primi ministri di Lettonia e Lituania, rispettivamente Krisjanis Karins e Ingrida Simonyte, hanno chiesto congiuntamente al resto dell’UE di ignorare l’aumento dei prezzi dell’energia e concentrarsi invece sull’aiutare l’Ucraina a sconfiggere la Russia. Il primo ministro estone Kaja Kallas è stato ancora più esplicito nell’ammonire l’Europa occidentale dal forzare concessioni territoriali all’Ucraina a causa della crescente stanchezza del conflitto e del deterioramento delle prospettive economiche».

Il rischio, in questa situazione, è che vada in frantumi il modello decisionale dell’UE basato sul consenso. «Se Parigi e Berlino continueranno a concentrarsi sulla fine della guerra a tutti i costi, rafforzeranno solo la narrativa secondo cui l’interesse dell’Europa occidentale per gli affari orientali è principalmente economico. Questo, a sua volta,costringerà più capitali orientali a seguire il playbook ungherese di bloccare deliberatamente le decisioni chiave dell’UE, semplicemente perché questa è la loro migliore leva contro un’Europa occidentale che è già desiderosa di consegnare la guerra della Russia alla storia»

Eoin Drea ammette che «l’ascesa dell’Europa centrale e orientale negli affari europei non è affatto garantita. Francia e Germania, insieme all’Italia, restano i pesi massimi politici ed economici dell’UE» e tuttavia, «qualcosa sta chiaramente cambiando all’interno dell’UE».
Cosa riusciranno fare i leader europei nella due giorni che li attende in una situazione così complessa per costruire il futuro dell’Europa è difficile immaginarlo.