Il rischio di una collisione involontaria tra navi o aerei statunitensi e cinesi è cresciuto man mano che le due parti espandono le attività militari nel Mar Cinese Meridionale e nello Stretto di Taiwan
Ieri, 24 maggio, a meno di 24 ore dalla dichiarazione, lunedì, del Presidente USA Joe Biden, che, nel corso di una conferenza stampa, rispondendo a una domanda, aveva confermato che gli Stati Uniti avrebbero difeso militarmente Taiwan, in caso di attacco da parte di Pechino, l’esercito cinese ha annunciato di aver condotto un’esercitazione militare intorno a Taiwan. I media locali hanno definito le manovre un ‘serio avvertimento’ per i rapporti tra gli Stati Uniti e l’isola che Pechino considera come suo territorio. La Cina ha condotto «esercitazioni di combattimento reale» in mare e nello spazio aereo attorno a Taiwan in risposta alle «recenti attività di collusione tra Stati Uniti e Taiwan», ha reso noto il portavoce del Comando orientale dell’Esercito Popolare di Liberazione (EPL), Shi Yi, citato in una nota diffusa ai media locali.
«E’ ipocrita e futile che gli Stati Uniti dicano una cosa e ne facciano un’altra sulla questione di Taiwan, e spesso incoraggino le forze dell’indipendenza» dell’isola, ha sottolineato il colonnello dell’EPL. I soldati «sono determinati e in grado di contrastare qualsiasi interferenza esterna e tentativi di forze separatiste dell’indipendenza di Taiwan e salvaguardare risolutamente la sovranità e la sicurezza nazionale e la pace e la stabilità regionale», ha aggiunto.
Il Giappone ha espresso «profonda preoccupazione» a Cina e Russia per i sei bombardieri cinesi e russi che hanno sorvolato in un’esercitazione militare congiunta il Mar del Giappone e il Mar cineseorientale durante il summit dei leader del Quad (Usa, Giappone, Australia e India) a Tokyo. Di una «dimostrazione di forza contro il Giappone» avvenuta durante il vertice, che «aumenta il livello di provocazione», ha parlato Tokyo. Stessa lettura data da Taiwan.
Il pattugliamento aereo «non prendeva di mira terze parti e non era correlato alle attuali situazioni globale o regionale», ha immediatamente risposto Pechino attraverso il portavoce del Ministero della Difesa cinese, Wu Qian. Si tratta della quarta operazione congiunta di questo tipo organizzata da Cina e Russia dal 2019, ha precisato il portavoce, e lo scopo del pattugliamento congiunto sopra il Mare CineseOrientale e l’oceano Pacifico occidentale è stato quello di «testare e migliorare il livello di cooperazione tra le forze aeree dei due Paesi e promuovere la fiducia reciproca e la cooperazione concreta tra i due eserciti».
Messinscena, ‘giuoco delle parti’, con Tokyo che certamente –come Washington– aveva ben previsto la possibilità che durante il vertice Quad qualche provocazione avrebbe potuto essere messa in campo da Pechino. Così come Washington aveva previsto la possibilità di azioni provocatorie da parte del regime nordcoreano di Kim Jong-un, come puntualmente è accaduto. Nelle scorse ore, infatti, la Corea del Nord ha sparato tre missili balistici verso il Mar del Giappone, tra questi tre probabilmente anche un missile balistico intercontinentale (Icbm). E nel frattempo, Pyongyang si starebbe preparando per il suo settimo test nucleare, secondo quanto riferito dell’Ufficio presidenziale sudcoreano, citato dall’agenzia ‘Yonhap‘.
Il ‘segnalamento‘ militare sta giocando un ruolo sempre più importante nelle relazioni bilaterali. Le dimostrazioni di determinazione militare sono particolarmente importanti per le due parti, ammette Crisis Group. Dunque: provocazioni attese, tutto previsto, tutto normale, anzi, se nulla fosse accaduto sarebbe stata la notizia, non è notizia che questi fatti siano accaduti. C’è un ‘ma’: «Il rischio di una collisione involontaria tra navi o aerei statunitensi e cinesi è cresciuto man mano che le due parti espandono le attività militari nel Mar Cinese Meridionale e nello Stretto di Taiwan. L’intensificarsi delle tensioni politiche», l’ultima fiammata botta-risposta di questi giorni, «aumenta il potenziale di escalation di un simile incidente, e rende più difficile la gestione della crisi». L’allerta è stata lanciata da International Crisis Group.
«Sebbene un conflitto militare in piena regola rimanga improbabile, una collisione involontaria o un segnale male interpretato di un’azione imminente, potrebbe far precipitare una crisi che acuisce le tensioni USA-Cina e crea maggiore incertezza e instabilità a livello bilaterale, regionale e globale».
Posto che la guerra tra le principali potenze mondiali, entrambe armate di armi nucleari, avrebbe un costo economico e politico devastante, mettendo potenzialmente in pericolo gran parte del commercio marittimo mondiale, questa è una prospettiva remota. «Un pericolo più immediato è una crisi politica prolungata derivante da una collisione militare accidentale. Una tale situazione di stallopotrebbe infiammare ulteriormente le tensioni nelle relazioni, generare una maggiore instabilità economica globale e rendere più difficile per i Paesi terzi bilanciare le loro relazioni sia con Pechino che con Washington».
«Gli Stati Uniti e la Cina hanno prospettive diverse sull’opportunità di ridurre il rischio, ma c’è spazio per progressi incrementali nella gestione delle crisi. Washington e Pechino dovrebbero implementare meglio le ‘regole stradali’ marittime e le hotline esistenti, rinvigorire i dialoghi sulla difesa, e sviluppare una migliore comprensione dei possibili percorsi di escalation attraverso simulazioni di crisi».
«La competizione strategica tra Stati Uniti e Cina è sempre più inquadrata da entrambe le parti come una rivalità tra i rispettivi sistemi politici interni. Da un lato, Washington si presenta come una battaglia per la democrazia e contro l’autocrazia, stimolata, tra l’altro, dal desiderio del Presidente Joe Biden di difendere valori che il suo predecessore, Donald Trump, ha trattato con visibile disprezzo. D’altra parte, Pechino si definisce il difensore del sistema guidato dal Partito ComunistaCinese, che, a suo parere, rappresenta una diversa forma di democrazia che ha portato enormi benefici al popolo cinese. La competizione si è intensificata durante il conflitto in Ucraina, dove il sostegno di Pechino a Mosca e il sostegno di Washington a Kiev hanno rafforzato il senso reciproco che i due Paesi sono impegnati in una lotta globale», afferma il report di Crisis Group.
Secondo Michael Hirsh, corrispondente senior di ‘Foreign Policy‘, qualcosa su questa posizione starebbe cambiando, o almeno, ci sono i presupposti perchè possa cambiare.
In «modo discreto, il governo di Xi si sta allontanando dal Cremlino, rifiutando gli aiuti militari e sospendendo alcune collaborazioni economiche e scientifiche», riferisce Hirsh. Il quale ritiene che Presidente cinese Xi Jinping, dovrebbe essere «costernato» «dall’incompetenza del Presidente russo Vladimir Putin» nella gestione della guerra ucraina.
«Xi sta ora affrontando gravi pressioni che mettono in evidenza quanto sia essenziale per la Cina rimanere parte del sistema internazionale da cui Putin sta sanguinosamente divorziando, un sistema che ha reso la Cina enormemente ricca negli ultimi decenni. L’economia cinese sta soffrendo a causa del draconiano blocco del COVID-19, che stimola le proteste di piazza, la carenza di forniture dal ‘disaccoppiamento‘ con l’Occidente e problemi strutturali chepotrebbero ridurre la sua crescita economica un tempo stellare a un rovinoso (per gli standard cinesi) 2 a 3 per cento all’anno in media da ora fino al 2050, secondo il Lowy Institute. L’economia statunitense potrebbe crescere più velocemente di quella cinesequest’anno per la prima volta dal 1976, secondo una nuova analisi di Bloomberg».
«Ciò significa che se Xi “non cambia radicalmente rotta”, ha scritto di recente l’ex Primo Ministro australiano Kevin Rudd sul ‘Wall Street Journal‘, “la Cina cesserà di essere il motore della crescita mondiale”. Ciò a sua volta potrebbe essere politicamente disastroso per Xi; lui e il Partito ComunistaCinese sono riusciti a mantenere il controllo offrendo una crescita rapida e promettendo di superare gli Stati Uniti».
Michael Hirsh sembra dare per scontato che Biden sia ben consapevole di questo e della altrettanta consapevolezza di Xi, per questo il viaggio che il Presidente USA ha compiuto in Asia, sarebbe stato finalizzato a «inviare a Pechino un messaggio sulla leadership degli Stati Uniti e sul rinnovato impegno nella regione». In questa direzione andrebbe il lancio del nuovo Indo-Pacific Economic Framework, volto a rinfrancare le relazioni commerciali nell’Asia orientale promettendo cooperazione su catene di approvvigionamento, riforma fiscale, clima e tecnologia digitale.
«Il viaggio vuole segnalare che Washington possiede tanti alleati in Asia quanti ne ha in Europa e che Pechino non può fare a Taiwan ciò che Putin ha tentato in Ucraina. Rispondendo alle domande a Tokyo, lunedì, Biden ha intensificato il suo approccio conflittuale, dicendo che il suo impegno a proteggere Taiwan è “ancora più forte” dall’invasione della Russia e che sarebbe disposto a usare la forza per respingere un assalto militare cinese all’isola».
A questo punto, e non certo da ieri, «alcuni strateghi si chiedono se stia nascendo un’opportunità per un nuovo approccio alla Cina, che dia a una Pechino, che si trova ‘spalle al muro’, un’opportunità per prendere le distanze ulteriormente, in un modo che salvi la faccia rispetto all’orribile caos della Russia in Ucraina. Nessuno crede che un drastico cambiamento di rotta sia probabile o fattibile nell’immediato futuro, specialmente con Biden e Xi così politicamente investiti di ‘vendere’ il confronto USA-Cina in casa».
I Presidenti sono attesi a due appuntamenti molto importanti. Biden si trova a dover affrontare le elezioni di medio termine da una posizione non certo di forza. Xi si prepara per assicurarsi uno storico terzo mandato come Presidente cinese al 20° Congresso nazionale del Partito del Partito Comunista. Nessuno dei due ora si può permettere voli pindarici. Dopo, però, le cose potrebbero cambiare. «Tuttavia, “questo è un momento in cui ciascuna parte dovrebbe essere interessata a esplorare se c’è una direzione diversa da prendere”, ha affermato un ex alto diplomatico statunitense esperto di politica cinese, parlando in condizione di anonimato. “I costi della politica interna per entrambe le parti sono alti, ma i potenziali guadagni sono storici”».
«Winston Lord, un collaboratore cinese di lunga data che ha servito come primo aiutante dell’allora Segretario di Stato americano Henry Kissinger durante la storica apertura di Washington alla Cina 50 anni fa, ha detto che mentre Xi senza dubbio “sente ancora un legame con il suo compagno semi-tiranno”, le circostanze sono cambiate radicalmente da quando Putin e Xi hanno dichiarato congiuntamente una partnership strategica‘senza limiti‘ al vertice di Pechino a febbraio, poche settimane prima dell’invasione dell’Ucraina».
«L’Amministrazione Biden dovrebbe “sottolineare il pesante prezzo di essere al passo con un partner così debole e incompetente, che sta violando le norme cinesi di sovranità e integrità territoriale”, ha affermato Lord. “A lungo termine, credo che questa partnership [Cina-Russia] svanirà, perché è così diseguale al potere; è irta di tensioni storiche, razziali e di confine; è complicata da una concorrenza regionale contrastante; ed è sminuita dalla posta in gioco economica con gli Stati Uniti, l’Europa e l’Asia democratica”».
I funzionari cinesi anche di alto rango sarebbero i primi a dubitare e mettere in dubbio la partnership. Riferisce Hirsh: «Le battute d’arresto militari di Putin in Ucraina hanno dimostrato che “il cosiddetto risveglio o rivitalizzazione della Russia sotto la guida di Putin è falso; semplicemente non esiste“, ha affermato Gao Yusheng , ex ambasciatore cinese in Ucraina, questo mese in un evento a porte chiuse ospitato dal think tank dell’Accademia cinese delle scienze sociali, secondo un rapporto del cinese ‘Phoenix News‘. “La forza economica e finanziaria dell’esercito russo, che non è commisurata al suo status di cosiddetta superpotenza militare, non potrebbe sostenere una guerra ad alta tecnologia. … La sconfitta dell’esercito russo causata dalla povertà era evidente”, ha detto Gao. Le sue osservazioni, tuttavia, sono state rimosse dal sito solo poche ore dopo».
Malgrado ciò, spiega Michael Hirsh, è improbabile una spaccatura tra i due partner,almeno a breve termine. «Kissinger, il decano di 98 anni della politica estera statunitense che ha orchestrato, insieme all’allora Presidente degli Stati Uniti Richard Nixon, l’apertura nel 1972 che ha diviso Mosca da Pechino, ha detto in un forum del ‘Financial Times‘ a Washington, all’inizio di maggio: “non pensiamo che possiamo generare possibili disaccordi” tra i due Paesi». E ha «aggiunto: “Non è saggio assumere una posizione contraddittoria nei confronti di due avversari in un modo che li unisca”».
Hirsh, ricorda che pochi mesi fa svariati esperti avevano avvertito «che gli Stati Uniti potrebbero trovarsi in uno scontro a lungo termine con Cina e Russia allo stesso tempo, provocando “non una ma due guerre fredde”», come concluso dallo studiopubblicato dalla Rand Corporation lo scorso anno. «Una valutazione del 2019 dell’Ufficio statunitense del Direttore dell’intelligence nazionale ha riferito che Pechino e Mosca “sono più allineate che in qualsiasi momento dalla metà degli anni ’50”, e ha affermato che “è probabile che la relazione si rafforzerà … man mano che alcuni dei loro interessi e percezioni delle minacce convergono, in particolare per quanto riguarda l’unilateralismo e l’interventismo percepiti dagli Stati Uniti e la promozione occidentale dei valori democratici e dei diritti umani”». Da allora, la situazione non è cambiata molto. «Molti di quegli interessi allineati non sono cambiati, in particolare la percezione comune che il potere e l’influenza degli Stati Uniti debbano essere smussati».
Sono queste evidenze che fanno ritenere, sostiene Hirsh, che questo non sia –e forse non lo sarà per molto ancora- il tempo della messa in crisi definitiva della relazione Pechino-Mosca, per quanto, comunque, valga la pena sfruttare quello che un ex alto diplomatico statunitense ha valutato in «25 per cento di possibilità che un nuovo sforzo statunitense di riimpegno con la Cina possa funzionare», ma, per quanto basse siano le probabilità di riuscita, «“rispetto alle alternative, sarebbe un errore non sfruttare la nuova situazione strategica”».
E’ in questo ‘spiraglio‘, critico e molto nervoso, che si inserisce e rende le cose ancora più complicate, il crescere della contesa bilaterale, che diventata sempre più militarizzata nel Mar Cinese Meridionale e nello Stretto di Taiwan, e che allarma Crisis Group.
«Sotto l’Amministrazione Trump, gli Stati Uniti hanno iniziato ad aumentare il ritmo delle loro attività militari per sfidare e scoraggiare ciò che Washington vede come i tentativi della Cina di minare quello che gli Stati Uniti chiamano ‘ordine internazionale basato su regole’, che hanno guidato per decenni. Da parte sua, la Cina ha fatto, sia avanzare rapidamente le sue capacità militari, sia aumentare e regolarizzare la sua presenza militare e paramilitare lungo la sua periferia. Ha, ad esempio, ampliato la sua presenza nelle aree contese e nei principali chokepoint marittimi. Pechino sostiene che queste misure sono necessarie per proteggere la sua sicurezza e sovranità nazionale, che afferma essere minacciate.
Con il dialogo ad alto livello intermittente negli ultimi anni -non ci sono stati contatti a livello di leader tra i Ministeri della Difesa dei due Paesi dall’agosto 2020 all’aprile 2022- l’ambiente è maturo perché i due governi giudichino male le reciproche intenzioni, in particolare su questioni delicate riguardanti il Mar Cinese Meridionale e Taiwan. In effetti, nell’autunno del 2020, Pechino ha interpretato erroneamente una serie di azioni statunitensi come indicanti un possibile piano statunitense per attaccare gli avamposti cinesi nel Mar Cinese Meridionale. Sebbene i funzionari statunitensi abbiano contribuito a disinnescare le tensioni comunicando alla Cina attraverso i canali di comunicazione della difesa che nessun attacco era pianificato o in corso, l’episodio illustra l’intensificarsi dei rischi.
Con gli aerei e le navi dei due eserciti che operano in stretta vicinanza l’uno all’altro, la possibilità di una collisione è sempre presente. Se si verificasse un grave incidente in mare o in aria in aree contese in cui i due governi hanno opinioni opposte sui loro diritti e obblighi ai sensi del diritto internazionale, le tensioni potrebbero aumentare rapidamente. L’accresciuta concorrenza spingerà i decisori a percepire motivazioni ostili dietro le azioni dell’altra parte. Una volta che un incidente sarà reso pubblico, i funzionari di entrambe le parti subiranno pressioni interne affinché prendano posizioni pubbliche dure e crescenti». E in questo scenario, c’è una sfida nella sfida: le parti hanno interessi asimmetrici nella riduzione del rischio