Lo scorso 18 maggio, il quotidiano ‘La Repubblica’ ha diffuso la notizia dell’avvenuta presentazione al Segretario Generale dell’ONU António Guterres, da parte del nostro Ministro degli Esteri Luigi Di Maio, di un ‘piano di paceper la guerra russo-ucraina, articolato in quattro punti: cessate il fuoco; neutralità internazionalmente garantita dell’Ucraina; larga autonomia per i territori contesi, nel quadro della sovranità di Kiev; negoziazione di un accordo multilaterale sulla pace e la sicurezza in Europa. Dovrebbe anche essere costituito un ‘gruppo internazionale di facilitazione’ per il monitoraggio del rispetto degli accordi e, in prospettiva, per la ricostruzione dell’Ucraina.

Il testo del ‘piano’ non risulta essere mai stato diffuso nella sua interezza, neppure ai due contendenti; lo stesso Di Maio ne ha poi parlato come di un documento ‘allo stato embrionale’.

In assenza di un testo, i commentatori italiani – ben più di quelli internazionali che l’hanno quasi ignorato – hanno svolto vari tentativi di esegesi delle poche informazioni disponibili, rilevando fra l’altro come alcune delle proposte (fra le quali soprattutto quella che prevede la conservazione della sovranità ucraina sui territori occupati da Mosca) appaiano lontane dalla realtà del terreno.

In realtà, un primo accenno, peraltro abbastanza approfondito, al ‘piano di pace’ appariva in un’intervista rilasciata lo scorso 7 maggio (quindi dieci giorni prima della sua presentazione a Guterres) alla giornalista Mariagiovanna Capone de ‘Il Mattino’ da Pasquale Ferrara, Direttore Generale per gli affari politici e di sicurezza della Farnesina. Nell’intervista, intitolata ‘Le quattro condizioni per trattare con Putin’ l’Ambasciatore Ferrara affermava fra l’altro:

«Una prospettiva propriamente diplomatica dovrebbe articolarsi in almeno quattro componenti. In primo luogo, il raggiungimento di un vero e proprio cessate il fuoco a carattere duraturo, che però non finisca per congelare la situazione sul terreno a vantaggio dei russi. In secondo luogo, qualora l’Ucraina decidesse di assumere uno status di neutralità internazionale, sarà necessario stabilire in quali forme e con quali implicazioni alcuni Paesi possano farne da garanti, e l’Italia si è detta pienamente disponibile a concorrere a questa soluzione. In terzo luogo, dovrà probabilmente esserci un negoziato sugli aspetti territoriali, in particolare per la Crimea e per il Donbass, ovviamente in connessione con il ritiro graduale e progressivo delle forze di occupazione russa dall’Ucraina. Infine, dopo l’aggressione russa, si renderà necessario rivisitare l’equazione della sicurezza paneuropea, sia per proteggere il fianco orientale dell’Europa sia per tener conto della possibile adesione di Svezia e Finlandia alla Nato, che rimane un’alleanza difensiva. In questo esercizio dovranno necessariamente essere coinvolte entrambe le parti».

Come si vede, in queste frasi sono già presenti i quattro elementi del ‘piano di pace’, che è stato evidentemente messo in seguito su carta alla Farnesina, per poi essere presentato a Guterres.

Come noto, il ‘piano’ ha ricevuto commenti abbastanza sprezzanti da parte russa (Medvedeve Lavrov) e comunque non positivi da parte ucraina (il Ministro degli Esteri Kuleba). Eppure, sembra trattarsi di una ‘road map’ comprendente indicazioni molto utili, seppur non ancora adeguatamente promosse di fronte alla comunità internazionale. La ragione di questa scelta di basso profilo (il nostro Presidente del Consiglio, fra l’altro, non ha mai fatto menzione del piano) è forse dovuta all’oggettiva difficoltà, per l’Italia, di soddisfare le pretese delle parti in causa, soprattutto partendo da una posizione di non reale neutralità, configurata dal nostro coinvolgimento nelle operazioni di fornitura di armi a Kiev.

Al di là della difficile sistemazione territoriale, appare oltremodo importante l’ultimo punto del ‘piano’, che potrebbe – non immediatamente, ma in frangenti forse non così lontani – avvicinare la Federazione Russa ad un obiettivo strategico a lungo da essa dichiarato: appunto, un accordo multilaterale sulla sicurezza europea. Ove tale principio passasse, Putin potrebbe probabilmente ammorbidire le sue posizioni sulla questione territoriale.

Tale obiettivo, d’altra parte, era stato riaffermato da parte russa ancora a fine 2021: il 15 dicembre dello scorso anno, infatti, il Ministero degli Esteri russo aveva presentato alla controparte statunitense due bozze di accordo, una fra Federazione Russa e Stati Uniti sulle garanzie di sicurezza ed uno fra la stessa Russia e gli Stati membri della NATO inteso a garantirne la mutua sicurezza. E’ ovvio che, dati i tempi in cui era stata lanciata, tale iniziativa aveva una valenza soprattutto propagandistica, contenendo fra l’altro clausole impossibili da accettare (come ad esempio, la proibizione di ogni ulteriore allargamento della NATO, compreso quello eventuale all’Ucraina, unico Paese espressamente citato): il suo rifiuto da parte occidentale potrebbe, con il senno di poi, essere considerato come una sorta di ‘giustificazione preventiva’ dell’aggressione contro Kiev.

Eppure, considerando che, almeno durante i suoi due primi mandati, Vladimir Putin aveva dato mostra di apprezzare e perseguire l’obiettivo, a suo tempo enunciato da Mikhail Gorbaciov, di una ‘casa comune europea’, il fatto che il quarto punto del piano italiano riguardi proprio la negoziazione di un accordo multilaterale sulla pace e la sicurezza in Europa potrebbe, in prosieguo di tempo, essere considerato accettabile da Mosca, sempre che venga affrontato congiuntamente con gli altri tre. Da questo punto di vista, le attuali gravi incomprensioni fra Roma e Mosca potrebbero in qualche modo essere lasciate da parte e sarebbe forse possibile iniziare – con l’accordo dei partner europei e occidentali, nonché ovviamente di Zelensky, per il quale sarebbe comunque difficile evitare perdite territoriali – un cammino verso la pace, seppur sempre irto di difficoltà. A tal fine, risulta ovviamente imprescindibile mantenere aperti i canali di collegamento con Mosca: cosa che il premier Draghi, con le recenti telefonate a Putin, ha sicuramente dimostrato di voler fare.

Di Massimo Lavezzo Cassinelli

Massimo Lavezzo Cassinelli ha fatto parte del servizio diplomatico italiano dal 1982 al 2016. Dopo un primo periodo alla Farnesina presso la Direzione Generale Affari Economici, ha iniziato nel 1985 la sua prima missione all’estero, all’Ambasciata d’Italia in Ecuador. Successivamente ha prestato servizio presso le Ambasciate in Giordania, in Perù e in Egitto, oltre che come capo del Consolato italiano a Berna. E’ stato poi Rappresentante Permanente Aggiunto presso la FAO, il PAM e l’IFAD. Ha infine ricoperto le cariche di Ambasciatore d’Italia in Armenia e nel Principato di Monaco. Ha concluso la carriera al Cerimoniale Diplomatico della Repubblica.