Israele e Palestina sono nuovamente in una fase di alta tensione. Il governo Bennett ha fatto promesse e pochi fatti. Ora il rischio è nuovamente una primavera di sangue. Il quadro della situazione

 

Israele e Palestina sono nuovamente in una fase di alta tensione. Complice la sovrapposizione di tre principali festività religiose -Ramadan, Pasqua ebraica e Pasqua cattolica- potrebbe aumentare ulteriormente il clima di violenza.
La settimana in Israele si sta chiudendo, dopo un crescendo di tensione, con un bilancio che da anni non si vedeva: 11 persone uccise in tre attacchi terroristici in paesi e città israeliane -insolitamente due attacchi sono stati effettuati da arabi israeliani. E oggi l’ennesimo manifestante palestinese è stato ucciso dall’esercito israeliano durante scontri a margine di una manifestazione.

La tensione nel corso delle settimane è cresciuta. Lo scorso mese c’erano stati accoltellamenti contro israeliani e diversi palestinesi, compresi adolescenti, erano stati uccisi dalle forze israeliane in Cisgiordania durante gli scontri. Ora, la situazione della sicurezza sta peggiorando.
Sia palestinesi che israeliani hanno avvertito che la violenza contro i palestinesi perpetrata da alcuni settori israeliani ha raggiunto i livelli massimi. Il Ministro della Difesa israeliano, Benny Gantz, ha promesso di trattare la violenza dei coloni con ‘mano pesante’, ma i palestinesi diffidano.
Lo stato di allerta per la sicurezza di Israele è stato portato al livello più alto. La Polizia è molto più visibile per le strade, lavora su turni più lunghi e concentra la sua presenza nelle scuole e nei luoghi di ritrovo popolare. Anche la presenza delle truppe in Cisgiordania intorno alla striscia di Gaza è aumentata, con le forze di difesa israeliane (IDF) che hanno annunciato che stanno aggiungendo 14 battaglioni e soldati da combattimento delle unità delle forze speciali. Insomma, Israele si è blindata; e il Primo Ministro israeliano Naftali Bennett è arrivato a invitare i civili con licenza di portare un’arma da fuoco di tenere sempre le loro armi addosso: “Chiunque abbia la licenza per portare un’arma, questo è il momento di portarla”.
Sul fronte opposto, i gruppi militanti palestinesi, a partire da Hamas e dalle Brigate Al-Quds della Jihad islamica palestinese, hanno elogiato gli attacchi e chiesto ulteriori azioni, soprattutto in reazione ai raid in Cisgiordania e alle violenze dei coloni ebrei, aggiungendo che c’è «la piena disponibilità tra i nostri combattenti in tutte le formazioni militari».

La crisi potrebbe diventare presto una crisi anche politica. Gli osservatori locali, infatti, avvisano che la violenza potrebbe minacciare il sottile margine di Bennett in Parlamento. L’attuale coalizione di governo è composta da partiti di destra, sinistra e centro tra cui, per la prima volta in assoluto, un partito arabo.

Il leader dell’opposizione (ed ex Primo Ministro) Benjamin Netanyahu e i suoi sostenitori hanno attribuito la colpa dell’ondata di violenza al governo di coalizione. Il noto giornalista israeliano Barak Ravid, ha dichiarato: «Per anni, la sicurezza personale è stata una delle questioni principali su cui gli israeliani hanno votato. Un sentimento di insicurezza tra il pubblico potrebbe erodere la base molto ristretta di sostegno del governo».

Un recente rapporto dell’International Crisis Group, redatto in collaborazione con US/Middle East Project (USMEP), sulla crisi analizza quanto sta accadendo, il quadro politico, le responsabilità delle due parti, e degli attori internazionali, oltre a fotografare la drammaticità della situazione.

«Quasi un anno dopo lo sconvolgimento di aprile-maggio 2021 -proteste palestinesi a Gerusalemme est, che sono state violentemente represse dalle forze di sicurezza israeliane ma poi si sono estese alla Cisgiordania occupata e alle città miste di Israele, e anche a Gaza, dove Israele e Hamas hanno combattuto una guerra di undici giorni-, né Israele, né alcuna potenza esterna ha modificato il suo approccio al conflitto israelo-palestinese. In effetti, gli sviluppi suggeriscono che il calcolo di tutti rimane più o meno lo stesso. Il governo israeliano ha alluso allariduzione del conflitto‘ -contemplando misure che mitighino leggermente la terribile situazione economica dei palestinesi in Cisgiordania e Gaza, invece di perseguire una soluzione politica- e attraverso il suo Ministro degli Esteri orientato all’Occidente ha cercato di rassicurare gli attori esterni. Ma la linea di Israele, se sembra nuova, è in realtà un riconfezionamento di uno status quo che è, come hanno mostrato gli eventi della primavera 2021, sempre più insostenibile.
L’ulteriore espansione degli insediamenti israeliani in Cisgiordania e la designazione di sei rispettati gruppi della società civile palestinese come terroristi, sottolineano come le prospettive di pace siano diventate disperate.
Gli attori esterni dovrebbero spingere per misure correttive provvisorie per ridurre i rischi di un’altra riacutizzazione. Dovrebbero anche iniziare a ripensare l’intero edificio di quello che è diventato un defunto processo di pace».

«Il governo di coalizione del Primo Ministro Naftali Bennett, entrato in carica nel giugno 2021, dopo le elezioni di tre mesi prima, sembrava lasciare il conflitto israelo-palestinese in secondo piano. Lo ha fatto nonostante gli eventi appena accaduti, comprese le proteste palestinesi in Cisgiordania, Gaza, Gerusalemme est e lo stesso Israele, e un bombardamento aereo di undici giorni su Gaza -in risposta alle raffiche di razzi di Hamas in Israele- che ha ulteriormente degradato vasti fasce della fascia costiera. Il governo ha adottato sia un nuovo tono che una nuova narrativa. Ma il cambiamento nella retorica maschera la continuità nella politica. Il Ministro degli Esteri Yair Lapid, centrista, ha cercato di ‘addolcire’ i governi occidentali che erano stati respinti dalla linea dura del Primo Ministro Benjamin Netanyahu contro i palestinesi.

Eppure questa virata più morbida equivale a poco.In sostanza, comporta una misura di cooperazione economica che incide a malapena sulla dinamica generale dell’occupazione, sulla discriminazione istituzionalizzata o sulla negazione dei diritti fondamentali, insieme a un maggiore sostegno diplomatico, finanziario e di sicurezza all’Autorità Palestinese (AP), con la quale Israele collabora e su cui fa affidamento per sopprimere la resistenza all’occupazione».

«Il rafforzamento dell’AP sembra mirare principalmente a prevenire il suo collasso politico e finanziario al fine di tenere a bada Hamas, la Cisgiordania dall’infiammarsi e i soldati e i civili israeliani al sicuro, pur mantenendo al potere una leadership dell’AP che acconsente allo status quo. Bennett ha escluso qualsiasi tipo di dialogo politico con i palestinesi e si oppone esplicitamente a un risultato a due Stati. Lapid, che assumerà la carica di premier nel 2023 come parte di un accordo di rotazione, ha affermato che Israele continuerà a porre il veto ai negoziati politici finché l’attuale coalizione sarà in carica, in altre parole, fino a novembre 2025. Il Ministro della Difesa Benny Gantz ha dichiarato alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco del febbraio 2022 che i palestinesi non dovrebbero aspettarsi uno Stato, ma piuttosto una entità‘. Il governo ha adottato alcune misure positive nel tentativo di mantenere la calma. Ma queste sono state piccole e oscurate da altre misure che hanno mantenuto alte le tensioni, eretto più ostacoli ai palestinesi che perseguivano l’autodeterminazione, e probabilmente hanno accelerato il conto alla rovescia per il prossimo ciclo di violenza» .
«La stessa AP ha perso la legittimità popolare a causa della corruzione, dell’incompetenza e della repressione del dissenso, nonché della sua disponibilità a lavorare con le autorità israeliane senza alcun ritorno sotto forma di un orizzonte politico per i diritti e le libertà dei palestinesi. AP è rifiutato di organizzare elezioni che potrebbero rinfrescare la politica palestinese e migliorare il governo. La vecchia nuova strategia del governo Bennett-Lapid, che nelle sue precedenti iterazioni ha ripetutamente fallito nel contribuire al progresso verso la pace, è un prodotto dell’allontanamento gravitazionale del sistema israeliano da qualsiasi forma di processo di pace. Senza una chiara determinazione da parte della leadership israeliana di invertire le tendenze esistenti, l’annessione de facto della Cisgiordania da parte di Israele continuerà».


Nel frattempo, gli attori esterni sono quasi muti, tranne in alcuni casi isolati che comprendono alcuni, ma non la maggior parte, nuovi insediamenti e sgomberi di case. In parte c’è la paura di sconvolgere il fragile governo di coalizione. Gli Stati Uniti sotto il Presidente Joe Biden sarebbero stati probabilmente più lungimiranti nella critica alla designazione terroristica da parte di Israele di sei organizzazioni della società civile palestinese, per esempio, o di aspetti della sua impresa di costruzione di insediamenti, se il governo in carica fosse stato guidato da Netanyahu.
Ma indipendentemente da chi è al potere in Israele, gli Stati Uniti hanno scarso interesse nell’affrontare Israele, soprattutto mentre sono coinvolti in delicati negoziati con l’Iran per rilanciare l’accordo nucleare, un obiettivo a cui la leadership israeliana si oppone. Quanto agli Stati europei, sembrano essersi ampiamente lavati le mani dal conflitto israelo-palestinese.

«L’UE e i governi europei si sono per lo più limitati alla diplomazia dichiarativa di fronte alle misure israeliane contro i palestinesi». «Nessuno dei principali Stati membri dell’UE sembra essere disposto a investire capitale politico in questa fase. Un alto diplomatico europeo ha detto: “La diagnosi è chiara. Sappiamo che lo status quo non è soddisfacente e che può solo peggiorare. Ma la situazione qui non è più tra le massime priorità europee. Perché un ministro degli Esteri europeo dovrebbe esporsi attraverso una politica audace che non ha quasi nessuna possibilità di successo?” C’è una mancanza di leadership negli Stati Uniti e in Europa per quanto riguarda il conflitto».
«L’inerzia delle potenze esterne aiuta il governo della coalizione israeliana a evitare alcune potenziali fonti di tensione interna, ma danneggia piuttosto che aiutare le prospettive dei due Stati-soluzione che affermano di volere».
Il risultato è che, invece di adottare misure per ridurre i conflitti e spingere per seri colloqui di pace, gli attori internazionali stanno consentendo la repressione di Israele e, attraverso un silenzio quasi, lasciano che Israele continui ad agire nell’impunità. In assenza di un’azione più decisa e di un ripensamento completo dell’approccio internazionale al conflitto, questo percorso non può che allontanarsi ulteriormente dalla soluzione dei due Stati che dichiarano di sostenere, erodendo ulteriormente i diritti dei palestinesi e incoraggiando una rinnovata violenza».

«I combattimenti della primavera 2021 e la successiva continuazione da parte di Israele delle politiche dell’era Netanyahu nei confronti dei palestinesi offrono un’ulteriore prova che l’attuale manifestazione del conflitto è insostenibile. Un ripensamento dell’approccio generale alla pace è atteso da tempo.Fino a quando ciò non accadrà, tuttavia, le potenze straniere dovrebbero almeno spingere per ridurre le tensioni e mitigare i rischi di un’altra escalation. Dovrebbero esortare Israele a perseguire una tregua a lungo termine con Hamas a Gaza, che consentirebbe l’inizio della ricostruzione nella striscia e proteggerebbe i civili da entrambe le parti; congelare l’espansione degli insediamenti, le demolizioni di case, gli sfratti e gli espropri in Cisgiordania; revocare i divieti nei confronti di sei organizzazioni della società civile palestinese; abrogare gli ordini di sfrattare i residenti palestinesi di Sheikh Jarrah e di altre parti della Gerusalemme est occupata; tornare alla struttura nota come Status Quo, che aveva in gran parte mantenuto la pace alla Santa Esplanade (il complesso di Gerusalemme che comprende l’Haram al-Sharif e il Monte del Tempio); e affrontare la discriminazione istituzionalizzata contro i cittadini palestinesi dello stesso Israele.
La maggior parte di questi passi avrebbe dovuto essere intrapresa dieci o tre anni fa -Crisis Group ha sollecitato a lungo molti di questi- ma la loro apparentemente perpetua ricorrenza non li rende meno necessari oggi, se si vuole evitare un ulteriore spargimento di sangue. Gli attori esterni devono fare di più, in altre parole, per ritenere Israele responsabile delle sue politiche di discriminazione sistematica, violenza, espropriazione e annessione de facto.
Tali passi non arriverebbero un momento troppo presto, poiché «le tensioni sembrano aumentare ancora una volta in vista delle festività religiose musulmane ed ebraiche di aprile».

Allo stesso tempo, le potenze straniere «dovrebbero premere per il rinnovamento politico palestinese attraverso elezioni nazionali, che consentirebbero il ritorno alle istituzioni rappresentative e migliorerebbero le prospettive di riconciliazione nazionale tra Fatah (e per estensione l’AP) e Hamas. Dovrebbero chiedere che l’AP smetta di intimidire e reprimere l’opposizione pacifica. Hamas non dovrebbe lanciare razzi indiscriminatamente su Israele, anche se ci sono poche probabilità che il movimento si astenga dal farlo in assenza di una tregua a lungo termine. Gli attori esterni dovrebbero continuare a ritenere Hamas responsabile di tali attacchi».
C’è da tenere presente che «Israele si oppone alla riconciliazione tra l’AP e Hamas; si oppone anche alle elezioni perchè potrebbero portare Hamas al governo. Invece, dicono i funzionari israeliani, vogliono costruire l’Autorità Palestinese per proteggerla da Hamas. Vorrebbero vedere l’Autorità Palestinese sostituire il governo di Hamas a Gaza, per quanto questa prospettiva possa sembrare irrealistica nel breve termine».

«Nel complesso, le manifestazioni e le rivolte palestinesi sono state motivate principalmente dalla persistenza dell’occupazione israeliana, manifestata, ad esempio, in restrizioni ai movimenti e azioni militari punitive, piuttosto che in problemi economici. Il perseguimento da parte di Israele di gesti di buona volontà economica, offre probabilmente copertura alla sua espansione degli insediamenti, ai cambiamenti nello status quo storico a Gerusalemme est e alla repressione congiunta di Israele e AP».

«Il 22 ottobre 2021, il Ministro della Difesa Gantz ha designato sei organizzazioni veterane della società civile palestinese che operano nei territori occupati, come gruppi ‘terroristici‘ (sulla base del fatto che “appartengono e costituiscono un braccio dell’organizzazione Fronte popolare per la Liberazione della Palestina, FPLP). Il 16 dicembre, i sei gruppi hanno presentato una richiesta ufficiale al comandante delle Forze di difesa israeliane (IDF) in Cisgiordania di rivelare le prove contro di loro; poi, il 3 febbraio 2022, a seguito dei ripetuti rifiuti di Israele di fornire tali prove, cinque di loro hanno presentato un’eccezione procedurale per annullare la decisione in quanto priva di giusto processo.
La mossa di Gantz potrebbe fare seri danni. Certamente ostacola la capacità di questi gruppi di documentare e puntare i riflettori sulla condotta di Israele in materia di diritti umani per renderne conto (ad esempio, presso la Corte penale internazionale), nonché per fornire servizi sociali. Manda anche un brivido nella società civile palestinese, minacciando tutte le sue attività e intimidendo i donatori esterni (principalmente l’UE e gli Stati membri)».

«Nel frattempo, l’espansione degli insediamenti continua a ritmo sostenuto. Il 27 ottobre 2021, l’amministrazione civile in Cisgiordania ha autorizzato la costruzione di oltre 3.000 unità abitative in 25 insediamenti israeliani, la maggior parte dei quali isolati e nelle profondità del territorio. Allo stesso tempo, Gantz non ha evacuato gli avamposti dei coloni considerati illegali dalla legge israeliana, in particolare Evyatar, con il procuratore generale uscente di Israele nel febbraio 2022 che ha rimosso qualsiasi restrizione legale sui piani per l’autorizzazione di un nuovo insediamento nel luogo.L’istituzione di questo insediamento nel maggio 2021 ha provocato proteste ricorrenti di palestinesi a Beita, un villaggio vicino, in cui l’esercito israeliano ha ucciso almeno sette manifestanti.

Israele sta anche portando avanti la costruzione di insediamenti. All’inizio di gennaio, le autorità locali hanno approvato 3.557 unità abitative nella Gerusalemme est occupata, compreso un nuovo quartiere che completerà un anello meridionale che “bloccherà il potenziale continuum palestinese tra i quartieri palestinesi di Gerusalemme est e Betlemme [in Cisgiordania]”.Inoltre, il governo ha minacciato di far rivivere i piani dormienti per costruire nella E1, un’area in Cisgiordania adiacente al grande insediamento di Ma’ale Adumim a est di Gerusalemme, che dividerebbe a metà la Cisgiordania, separando nord da sud (piano che è stato accantonato per ora, anche grazie alle pressioni statunitensi). Nei nove mesi da quando la coalizione Bennett-Lapid ha assunto il potere, oltre a portare avanti nuovi piani di insediamento, Israele ha iniziato la costruzione di un nuovo insediamento a Hebron, ha stanziato nuovi fondi significativi per gli insediamenti e ha iniziato a lavorare su un nuovo sottopassaggio progettato per consentire la crescita degli insediamenti semplificando i viaggi tra loro e Israele»

«Il governo ha costruito sull’eredità dei suoi predecessori degli insediamenti in Cisgiordania, spinto da un potente movimento di coloni che è stato in grado di espandere gli insediamenti israeliani, grazie al sostegno ufficiale, ma anche alla mancanza di un’opposizione effettiva, e anche senza il consenso del governo dietro uno specifico piano di insediamento».

«Allo stesso tempo, la Cisgiordania ha assistito a un aumento dell’aggressione dei coloni contro i palestinesi e le loro proprietà, anche durante la raccolta delle olive di ottobre-novembre. I coloni hanno agito con apparente impunità mentre l’esercito israeliano resta in gran parte in attesa. Tra il 3 e il 16 ottobre 2021, il gruppo israeliano per i diritti umani Yesh Din ha registrato almeno diciotto episodi di violenza o vandalismo dei coloni, mentre B’tselem ha documentato la distruzione di almeno 1.500 alberi, per lo più ulivi. L’esercito ha inoltre periodicamente impedito ai palestinesi l’accesso alla loro terradichiarando che alcune aree sono chiuse come zone militari. Il 21 gennaio 2022, un gruppo di coloni armati di mazze ha attaccato gli abitanti dei villaggi palestinesi e gli attivisti per i diritti israeliani che stavano piantando alberi nel villaggio di Burin in Cisgiordania, lasciando almeno sette persone ferite. Il Ministro della Pubblica Sicurezza israeliano Omer Bar Lev, deviando dal sostegno indiviso dei coloni da parte del Primo Ministro Bennett, ha definito l’incidente ‘attività organizzata da un gruppo terroristico’ (e per averlo fatto è stato castigato dalla maggior parte dei membri della coalizione al governo)».
«Anche nel deserto israeliano del Negev/Naqab meridionale gli attriti sono cresciuti. A metà gennaio 2022, il Fondo nazionale ebraico, protetto dalle forze israeliane, ha piantato alberi su terreni appartenenti alla tribù beduina al-Atrash nel villaggio di Sawa, impedendo agli abitanti del villaggio, che hanno vissuto sulla terra da prima della fondazione di Israele nel 1948, di coltivare il grano che vi avevano piantato un mese prima. I beduini locali hanno visto la piantagione di alberi come un’appropriazione de facto della terra, parte di uno sforzo di lunga data del governo per espellerli dall’area. La tribù al-Atrash pianta grano e altri raccolti ogni anno. Ha un diritto di proprietà permanente su 25 acri di terreno, depositato negli anni ’70, che lo Stato non ha mai discusso o riconosciuto. Le forze di sicurezza israeliane hanno utilizzato mezzi antisommossa, compresi proiettili ricoperti di gomma, per disperdere le proteste, ferendone dozzine e arrestando almeno 100 persone, compresi minori, nel corso di diversi giorni».