Tra gli effetti paradossali, ma forse più logici,  dell’invasione russa dell’Ucraina, la più grande crisi europea dal 1945 oggi, l’accelerazione di cambio di passo della Germania, rispetto alla tradizionale impostazione economicista-mercantilista della sua politica estera. Domenica scorsa, in un potente discorso al parlamento tedesco , il Cancelliere Olaf Scholz lo ha detto chiaramente: l’invasione russa dell’Ucraina e la guerra di Vladimir Putin “a sangue freddo” sono un momento “spartiacque” per l’Europa. Per questo,  “d’ora in poi – ha annunciato – la Germania investirà più del 2% del PIL nella nostra difesa”, come negli anni scorsi Donald Trump aveva chiesto di raggiungere alla Merkel nel rispetto degli impegni presi in sede NATO nel 2014, a fronte di un 1,4% violentemente criticato dal tycoon, ma visto con preoccupazione anche dagli altri alleati. Quello reso noto da Scholz sarebbe un immediato e massiccio impulso alla spesa per la difesa, pari a 100 miliardi di euro, per il rinnovo delle forze armate tedesche. Verranno acquistati droni armati ed è stato preso l’impegno di acquistare nuovi aerei per trasportare armi nucleari statunitensi come parte della “condivisione nucleare”.

Del resto – ha dichiarato Scholz – “Il mondo come lo conoscevamo non esiste più”. E la Germania non può far finta di niente: deve rafforzare la sua forza militare, sempre più fatiscente negli ultimi anni. ‘Germany’s military has become a complete joke’, titolò la testata britannica ‘The Spectator’ nel 2019, definendo l’esercito tedesco una baracconata. In quei mesi, l’allora leader della CDU, Annegret Kramp-Karrenbauer, era diventata Ministra della Difesa, prendendo il posto di Ursula von der Leyen, eletta Presidente della Commissione europea.

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Nel 2014, nel corso di un’esercitazione della NATO in Norvegia, un battaglione tedesco fu costretto ad usare un manico di scopa dipinto per simulare un’arma perché non ne aveva una vera, come la quasi metà dei soldati coinvolti nell’esercitazione. Cinque anni dopo, quando nel 2019 fu la Germania ad assumere la guida del Very High Readiness Joint Task Force della NATO, creata nel 2014 in risposta alle crisi in Medio Oriente e all’aggressione della Russia contro l’Ucraina, la situazione fu altrettanto imbarazzante: dei 44 carri armati Leopard 2 e 14 veicoli corazzati di fanteria Marder che Berlino aveva promesso di mettere a disposizione, solo 9 e 3 erano rispettivamente quelli di cui effettivamente disponeva. Un documento trapelato ha rivelato che i caccia Eurofighter e Tornado della Luftwaffe sono disponibili in media solo quattro mesi l’anno perché nel tempo rimanente sono fermi per manutenzione e riparazione.

Tutto sembra destinato a cambiare nella politica estera tedesca, suggerisce il ‘Financial Times’, ma il cambiamento era auspicato tanto dagli alleati NATO quanto da molta parte della classe politica, che hanno tributato standing ovation a Scholz. Tuttavia, le cause della precarietà dell’esercito tedesco affondano le loro radici nella fine della seconda guerra mondiale, quando, da potenza sconfitta, le fu imposta un’occupazione/spartizione che durò altri quarant’anni, durante i quali l’ipotesi di un riarmo tedesco venne sempre ostacolata, sulla base del pregiudizio di quanto avvenuto in passato.

Con la crisi ucraina alle porte, il paradigma è cambiato e, sebbene la Germania non possa detenere armi nucleari ed avendo la Bundeswehr  un tetto massimo di 370.000 uomini di cui non più di 345.000 appartenenti ad esercito e aviazione, il ‘riarmo’ vorrebbe dire una Germania più protagonista della contemporaneità oltre che pilastro NATO, considerata anche la sua collocazione geografica.

Singolare è che l’annuncio della ‘rivoluzione’ sia stato dato da un Cancelliere dell’SPD, un partito pacifista con storici importanti rapporti con Mosca, ma il cui governo sta sostenendo l’invio di armi alla resistenza ucraina. Decisione sostenuta dall’opinione pubblica tedesca, ma che, inizialmente, Scholz aveva rifiutato di condividere. Berlino si è poi allineata anche sull’esclusione delle banche russe dalla rete di pagamento Swift, ma, ancor più importante, ha bloccato il gasdotto  Nord Stream 2.

La cautela della politica estera tedesca, in particolare nei confronti della Russia, è ovviamente molto più profonda della sua dipendenza dall’approvvigionamento energetico russo. La Germania di oggi è profondamente consapevole della sua storia di aggressore in due guerre mondiali nel 20° secolo e di perpetratrice dell’Olocausto. La sua invasione di più paesi vicini ha portato alla totale distruzione, oltre a confini molto diversi e alla determinazione di evitare la guerra. Anche le sue relazioni con la Russia sono state modellate da quel pesante fardello della storia. Oltre 2 milioni di vite russe furono perse nella prima guerra mondiale e oltre 20 milioni dalla Russia e dal resto dell’ex Unione Sovietica (compresa l’Ucraina) nella seconda.

Dopo la seconda guerra mondiale, la Germania fu divisa, con la Germania orientale inizialmente chiamata “Zona di occupazione sovietica”, prima di diventare la “Repubblica democratica tedesca”, uno stato comunista e parte del gruppo di paesi del Patto di Varsavia guidato dai sovietici. Le due metà della Germania erano separate da un confine interno simboleggiato in modo molto potente dal Muro di Berlino. In questo periodo il dialogo con la Russia sembra dare i suoi frutti: negli anni ’70, sotto il cancelliere Willy Brandt, le relazioni si scongelano e vengono consentiti maggiori contatti tra le due Germanie. Gli ampi negoziati con l’URSS consentirono di raggiungere un accordo sulla riunificazione tedesca nel 1990.

L’Ucraina è stata un esempio calzante per illustrare il modo in cui la Germania ha affrontato la politica estera, data la sua storia. Nel 2014, la Germania ha contribuito a far superare gli accordi (ormai obsoleti) di Minsk tra Russia e Ucraina e da allora ha pagato ingenti somme per lo sviluppo e altri aiuti. Pur essendo in qualche modo pronto a sfidare l’aggressione russa, si considerava un mediatore in una divisione del lavoro, lasciando compiti militari più importanti ad altri Paesi e cercando sempre di mantenere aperte le linee di dialogo con la Russia.

Anche i partner della coalizione liberale e dei Verdi in ogni caso hanno spinto per una linea più ferma sulla Russia, ma è sorprendente che il ministro delle finanze liberale finanziariamente aggressivo Christian Lindner abbia sostenuto l’aumento della spesa per la difesa pagata con il nuovo debito e che i Verdi non abbiano esitato alle esportazioni di armi. L’opposizione democristiana, invece, è stata sostanzialmente silente.

Anche l’opinione pubblica è cambiata: un sondaggio rapido mostra che il 78% dei tedeschi sostiene le esportazioni di armi e gli investimenti nelle forze armate. I tedeschi sono scioccati dal comportamento di Putin e ci si sente anche vicini a casa: il 69% teme che la Nato venga coinvolta nel conflitto. Tuttavia, le opinioni sono più divise sul fatto che l’Ucraina debba essere ammessa alla Nato o all’UE, e il rifiuto di ciò rimane particolarmente forte nella Germania orientale.

L’attacco di Putin all’Ucraina sembra aver unito la Nato e ha anche determinato un coordinamento molto più forte della politica estera dell’UE, sia in termini di invio di armi difensive in Ucraina che di decisione sulle sanzioni contro la Russia. Come ha riconosciuto Scholz, “raramente noi e i nostri partner siamo stati così risoluti e così uniti”.

Insieme, questi cambiamenti potrebbero portare a una maggiore assertività nei confronti di altri potenziali aggressori da parte della Germania, ma, in prospettiva, trasformerà il suo ruolo globale. In che modo? Lo abbiamo chiesto a Gian Enrico Rusconi, grande esperto di storia tedesca, già Docente di Scienza Politica all’Università di Torino,

 

Professor Rusconi, come vede il ‘riarmo’ tedesco annunciato dal Cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz?

L’eccezionalità di cui si parla appartiene al passato nel senso che questo atteggiamento della Germania è un po’ omogeneo a quella che è la visione di tutto quanto l’Occidente europeo. Ritengo che la Germania non è più un’eccezione. Sta avvenendo una ‘normalizzazione’.
E quella ‘colpa’ che ha sempre condizionato la sua politica, ma che ha anche generato pregiudizi negli altri Paesi, sopratutto europei?
Sì, è un ritorno ad una visione comune dove non c’è più l’eccezionalità data dal suo passato. Quel senso di colpa che, a partire dal Secondo Dopoguerra, ha sempre caratterizzato la politica estera tedesca si affievolisce, cioè non scompare, ma non è neanche più quell’elemento che condiziona il comportamento politico. D’ora in poi, il comportamento politico della Germania, che sicuramente ha il suo passato, ma si comporta sempre più come gli altri. Il che è legittimo. In questo modo, però, la Germania entra effettivamente nella contemporaneità, diventandone un ‘normale’ protagonista.
Perché si è dovuto arrivare ad una crisi come questa perché la Germania cambiasse passo? Va detto che, soprattutto negli ultimi decenni, in ambito NATO, si erano sprecate le critiche per il suo non spendere abbastanza per la difesa, rimprovero mosso a brutto muso soprattutto da Donald Trump che se la prendeva con il mercantilismo tedesco? 
C’era una certa resistenza che le proveniva dal passato. Ora, invece, sta relativizzando la sua eccezionalità, sentendosi un Paese europeo come tutti gli altri. È la normalizzazione’ della posizione della Germania: tutti gli elementi che, per ragioni storiche comprensibili, facevano di questo Paese un’eccezione, ora sembrano rarefarsi. Gli interessi economici li hanno tutti i Paesi.
A conferma, il Cancelliere Olaf Scholz ha dichiarato al Bundestag: “Il mondo come lo conoscevamo non esiste più”. Inoltre, secondo i sondaggi, i due terzi dei tedeschi approva sia l’aumento delle spese per la difesa sia l’invio di armi alla resistenza.
Esatto, il mondo che in qualche modo ha condizionato il modo di pensare tedesco per cui i tedeschi avevano questo passato ad ossessionarli, ora non c’è più. È il riconoscimento di una realtà di fatto. Il suo passato non è più un elemento che serve a spiegare il presente. È un atteggiamento legittimo, soprattutto per una nazione importante come la Germania. È la normalità.
L’ha stupita che sia stato un Cancelliere socialdemocratico ad annunciare questa svolta? Ci ricordiamo il braccio di ferro con gli Stati Uniti sull’Iraq all’epoca di Schröder, ma anche gli storici rapporti della SPD con Mosca. Si è chiusa un’era?
Sì, è parte della ‘normalizzazione’ della Germania che, però, non va intesa negativamente. E il fatto che l’abbia decisa un Cancelliere socialdemocratico conferma l’importanza di questo cambiamento.
Altrettanto eccezionale è il silenzio della CDU, no?
È paradossale che abbia lasciato fare ad un socialdemocratico queste cose, ma è un’altra conferma della normalizzazione. Non poteva opporsi.
Diventare un attore più protagonista della contemporaneità comporterà una ricalibratura dei suoi rapporti con l’Occidente, con la NATO, ma anche con la Russia?
Bisognerà ammettere che la Germania conta di più, ma è già molto importante, il Paese più importante dell’Europa. Casomai, il problema è perché i francesi stanno perdendo questo ruolo di attori internazionali. Tradizionalmente, avevano questo ruolo perché la Germania era prigioniera di questo ‘handicap’ del passato, ma ora, da Parigi, sono i primi a promuovere e a riconoscere il cambio di passo, riconoscendo la realtà.
Quindi, a livello europeo, la Germania non sarà più solo potenza economica nel cosiddetto ‘motore franco-tedesco’?
Era un modo di dire giusto, ma adatto ad un’altra epoca. Oggi questa distinzione non ha più senso.
Per comprendere la rivoluzione in corso nel modo di pensare tedesco, il Ministro delle Finanze, il falco Christian Lidner, ha addirittura dato luce verde al budget per la difesa, a debito. Un altro tabù che cade?
Un’altra conferma del cambiamento nella direzione della ‘normalizzazione’.
Da una Germania che si ‘riarma’, un esercito europeo ed una difesa comune europea sono più vicini?
Assolutamente sì, e non mi stupirei se la Germania avesse un ruolo significativo poiché è un Paese significativo per l’Europa, non per il suo passato.
Negli ultimi anni, gli scarsi investimenti avevano indebolito forze armate tedesche, preoccupando gli alleati. Un budget così importante come quello annunciato rafforza, dunque, la NATO e, quindi, la sicurezza alleata, in particolare dei Paesi europei?
Assolutamente sì, una Germania più forte non vuol dire più una Germania ‘pericolosa’.  Per questo, vedo positivamente il cambio di passo.
Negli ultimi anni, una serie di scandali hanno riguardato le forze armate tedesche, legati soprattutto alla presenza strisciante dell’estremismo di destra. Prima di spendere così tanti soldi, Berlino guarderà un po’ al loro interno, onde prevenire altri scandali?
Sì, ma senza drammatizzare. Una volta tanto, la Germania deve smetterla di considerarsi o di farsi considerare diversa dagli altri.
Più di un osservatore sostiene che la decisione di Scholz sia la pietra tombale su buona parte della politica estera e di difesa merkeliana. È d’accordo?
Sì, ma c’è un’evoluzione. Merkel è stata al governo 16 anni, ma è giusto che adesso si volti pagina, nel senso di una ritrovata normalità. La Germania era già assertiva, ma ora sarà in un senso diverso da prima.
Come si sta muovendo Scholz in questa crisi?
Mi sembra molto equilibrato nel suo agire. Anche la classe politica si sta ‘normalizzando’, ma riflettendo l’importanza del Paese che guida.

Come vedrebbe l’ex Cancelliera Angela Merkel – che ha una lunga consuetudine, data dal ruolo che ha ricoperto, con Vladimir Putin, ma che conosce molto bene anche la lingua russa – 
nel ruolo di mediatrice tra Russia e Ucraina?
Non si può non pensare a lei. Potrebbe essere una buona mediatrice, però non vorrei che la sopravvalutassimo noi. La situazione è cambiata, lei resta una personalità politica importante, ma ce ne sono anche delle altre.