A questo punto, l’unico modo per uscire da questo vicolo cieco è la neutralità dell’Ucraina. Le due parti dovrebbero trasformare questa trattativa da una che sembra un ricatto a una che sembra più un grattacapo reciproco
Mercoledì, in una conferenza stampa di due ore, il Presidente USA Joe Biden ha parlato diffusamente di Ucraina, e lo ha fatto in maniera molto schietta fino a smentire il mainstream dell’establishment e dei suoi collaboratori.
Biden ha detto che si aspetta che il Presidente russo Vladimir Putin ordini un’invasione del Paese, considerando anche che è improbabile che la diplomazia e la minaccia di sanzioni degli Stati Uniti e dai suoi alleati europei fermino il leader russo dall’invio di truppe oltre il confine. La mossa di Putin potrebbe non equivalere a un’invasione su vasta scala del Paese, potrebbe trattarsi di azioni paramilitari e attacchi informatici -e attacchi informatici russi potrebbero concentrarsi anche su obiettivi americani. Biden ha poi riconosciuto che se Putin conducesse solo un’invasione parziale, le Nazioni della NATO potrebbero essere divise su quanto fortemente reagire. «Ci sono differenze nella NATO su ciò che i Paesi sono disposti a fare, a seconda di ciò che sarà successo», ha detto il Presidente. Insomma, quella descritta da Biden è «una NATO che potrebbe essere facilmente divisa su come reagire, a seconda che la Russia conduca un’invasione su vasta scala o un indebolimento più soft del governo ucraino», precisa il ‘New York Times‘ . Un dato di fatto che, sull’altra sponda dell’Atlantico, appare abbastanza evidentemente, e non da oggi, e anche per questo ha suscitato timori e ire a Kiev il fatto che in sintesi Biden riconosca e dichiari che la risposta della NATO, e dunque degli USA, dipenderà da cosa farà la Russia.
Mezz’ora dopo che il Presidente aveva terminato la sua conferenza stampa, Jen Psaki, l’addetto stampa della Casa Bianca, ha chiarito le osservazioni del Presidente, dicendo che Biden «avrebbe considerato qualsiasi spostamento oltre il confine come un’invasione, ma si stava riservando un giudizio su come la NATO risponderebbe ad altri tipi di attacchi». «Se qualche forza militare russa si muove attraverso il confine ucraino, si tratta di una rinnovata invasione e sarà accolta con una risposta rapida, severa e unita da parte degli Stati Uniti e dei nostri alleati», ha affermato in una nota Psaki. «Ma ha aggiunto che gli attacchi informatici e le azioni paramilitari potrebbero essere trattati in modo diverso, con una risposta decisa, reciproca e unita».

Il quotidiano afferma poi: «Il Presidente è apparso a un certo punto per offrire una via di fuga al leader russo, dicendo ad alta voce ciò che i suoi negoziatori hanno detto in privato ai russi sulle richieste di Putin, che l’Ucraina non sia mai ammessa alla NATO e che gli Stati Uniti non collocheranno armi nucleari nel Paese. L’Ucraina non sarà accolta nell’alleanza della NATO per anni, ha affermato Biden. Aggiungendo che potrebbe assicurare al signor Putin -come ha fatto in una telefonata diverse settimane fa- che gli Stati Uniti non hanno intenzione di piazzare armi nucleari» nel Paese.
Riferendosi al Presidente Putin, Biden ha detto: «Penso ancora che non voglia una guerra in piena regola», e ha aggiunto che, comunque, se invade, «sarà la cosa più consequenziale che sia accaduta nel mondo in termini di guerra e pace dalla seconda guerra mondiale».
E’ la guerra verbale che prosegue. E la cuiassurdità si delinea sempre più chiaramente mentre i toni dello scontro stanno raggiungendo l’apice. Forse ci sarà il plateau, ma che ci sia o no, raggiunta la vetta, a quel punto per la discesa ci saranno solo due piste percorribili: la guerra (sul terreno o nel mondo cyber o nell’ombra affidata ai paramilitari dell’una e dell’altra parte) oppure una soluzione che emerga dalla consapevolezza di una narrativa fasulla alla base dello scontro.
Nell’intervento di Biden sono le parole sulla NATO a centrare il problema di fondo, che è appunto la NATO. Anatol Lieven, ricercatore senior del Quincy Institute for Responsible Statecraft, traccia come NATO e UE in riferimento all’Ucraina siano un castello sulla sabbia.
L’Amministrazione Biden, afferma Lieven, «ha lasciato intendere che potrebbe essere finalmente disposta a dare un peso reale all’accordo di Minsk II del 2015». L’accordo stabilisce l’autonomia per un Donbas smilitarizzato all’interno dell’Ucraina.«Questa è davvero l’unica soluzione possibile per questo conflitto».
Dal 2015, i governi e i parlamenti ucraini «si sono ripetutamente rifiutati di stabilire le basi legali per questa autonomia e Washington non ha esercitato pressioni». «Il motivo di questo rifiuto ucraino è un’indicazione del perché una soluzione al conflitto del Donbas può portare a un accordo più ampio tra Russia e Occidente. Perché il governo ucraino teme che un Donbas autonomo agisca per impedire all’Ucraina di entrare a far parte della NATO. Allo stesso modo, quindi, l’autonomia per il Donbas calmerebbe indirettamente anche i timori russi sull’adesione dell’Ucraina alla NATO, senza la necessità (già categoricamente esclusa da Washington) di alcun accordo formale che l’Ucraina non possa farlo. L’Occidente e l’Ucraina non perderebbero nulla di significativo concedendo l’autonomia al Donbas; fintanto che il conflitto del Donbas rimane aperto, l’Ucraina non può in ogni caso aderire alla NATO. In altre parole, l’insistenza degli Stati Uniti nel mantenere aperta l’adesione alla NATO per l’Ucraina, e l’opposizione russa a questo, sarebbero entrambe in gran parte inutili».
Anatol Lieven sottolinea piuttosto che i timori russi vanno ben oltre la prospettiva dell’adesione dell’Ucraina alla NATO. «Nell’ultimo anno, le forniture di armi statunitensi all’Ucraina», che proseguono anche in questi giorni, «insieme a chiacchiere sul fatto che l’Ucraina diventasse un ‘importante alleato non NATO’ degli Stati Uniti, hanno fatto temere ai russi» quanto espressochiaramente in ottobre 2021 da Putin: «L’adesione formale» dell’Ucraina «alla NATO potrebbe non aver luogo, ma non è necessario essere un membro della NATO per dispiegare infrastrutture militari americane e britanniche sul territorio dell’Ucraina, e questo rappresenta davvero una minaccia per la Russia».
Per quanto riguarda l’Ucraina nella UE, anche questa i russi sanno che è una ‘favola’. «L’establishment russo rimane convinto che l’Ucraina non entrerà a far parte dell’Unione europea nel prossimo futuro, a causa della profonda corruzione dell’Ucraina, delle sue disfunzioni economiche e politiche e della riluttanza dei governi e dei cittadini dell’Europa occidentale ad assumersi la responsabilità e le spese di accettare un travagliato ex Stato comunista». E però il Cremlino è in allarme per le «iniziative intensificate del governo e del Parlamento ucraini per ridurre il ruolo della lingua e della cultura russa in Ucraina». «I russi temono che,se applicate in modo coerente per decenni, queste mosse distruggeranno le basi culturali del rapporto ucraino-russo e ridurranno la minoranza russa in Ucraina allo stato tollerato ma emarginato dei russi di Lettonia ed Estonia. Per ragioni storiche, culturali, etniche, economiche e strategiche, l’Ucraina è considerata dalle élite russe l’interesse russo più vitale oltre i propri confini. Rispetto agli interessi statunitensi, è come se Canada, Regno Unito e Australia non solo minacciassero di diventare alleati della Cina, ma adottassero la lingua cinese come lingua franca».
E qui si ritorna all’accordo Minsk II. «Mosca si è convinta che senza la minaccia di una guerra, i governi occidentali non faranno mai pressione sull’Ucraina affinché attui la sua parte dell’accordo di Minsk II sull’autonomia per il Donbas». «Oltre a bloccare l’adesione dell’Ucraina alla NATO, Mosca ritiene che un Donbas autonomo di lingua russa all’interno dell’Ucraina fungerebbe da garanzia più ampia dei diritti linguistici, culturali e civili della minoranza ucraino-russa. Questo è un obiettivo che anche l’Occidente dovrebbe sostenere, sia in nome dei valori che abbiamo sostenuto in altre parti del mondo, sia per contrastare la minaccia di futuri conflitti etnici all’interno dell’Ucraina».
Dal punto di vista diplomatico, «quello che sta succedendo nella crisi ucraina è pazzesco»,afferma, dalle colonne del ‘Washington Post‘, Katrina vanden Heuvel, editore della rivista ‘Nation‘. «l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è una guerra per procura o, Dio non voglia, direttamente contro i russi in Ucraina». «Biden ha dichiarato che questo è il momento della diplomazia», «il problema è che gli Stati Uniti non fanno bene la diplomazia». Si credono ancora l’unica superpotenza mondiale dopo il crollo dell’Unione Sovietica, «non scendiamo facilmente a compromessi; ci aspettiamo di fare a modo nostro». «Si parla di un ordinamento internazionale basato su regole, ma lo rispettiamo solo se le regole le facciamo, esonerandoci spesso dalla loro applicazione». Una posizione «sciocca», dice Katrina vanden Heuvel, quella degli USA sull’adesione dell’Ucraina nella NATO. «Tre presidenti degli Stati Uniti -Barack Obama, Donald Trump e Biden- hanno già chiarito che gli Stati Uniti non hanno un interesse nazionale sufficiente per impegnare le truppe statunitensi a difendere l’Ucraina o la Georgia dall’invasione. È improbabile che la NATO ne ammetta nessuno dei due (e poiché gli accordi della stessa NATO vietano l’ammissione di qualsiasi Paese con un confine conteso, la Russia può facilmente garantire che non saranno mai ammissibili). Eppure siamo pronti ad andare al tappeto per insistere sul fatto che l’Ucraina ha il diritto di aderire a un’alleanza militare difensiva che richiede agli Stati Uniti di difenderla militarmente».
L’Ucraina offre a Biden l’opportunità di impegnarsi nella diplomazia, afferma vanden Heuvel. «L’Austria offre un modello. A metà degli anni ’50, con l’intensificarsi della Guerra Fredda e l’inizio della corsa agli armamenti nucleari, sovietici e Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia si incontrarono per decidere cosa fare con l’Austria. I sovietici, devastati dalla perdita di ben 27 milioni di persone nella seconda guerra mondiale, avevano giurato di non concedere mai un centimetro del territorio occupato dalle loro truppe. Il bellicoso segretario di Stato americano John Foster Dulles inizialmente si oppose all’idea dei negoziati. Eppure, nonostante ciò, in 13 tortuosi giorni di colloqui, le due parti si accordarono per garantire un’Austria indipendente e neutrale, liberata da tutte le forze di occupazione. Ciò fornisce sicuramente un’alternativa migliore per l’Ucraina, per i nostri alleati europei e per noi stessi che combattere i russi fino all’ultimo ucraino. L’Ucraina è uno stato diviso. La corruzione pervasiva e l’aspra divisione sabotano la sua economia e la sua democrazia. L’ingerenza di Stati Uniti e Russia ha peggiorato le cose. L’indipendenza, con la neutralità garantita, gli darebbe la possibilità di guarire».
Il noto politologo americano Stephen M. Walt, dalle colonne di ‘Foreign Policy‘, è perentorio ‘Liberal illusions caused the Ukraine crisis‘. La situazione in Ucraina è pessima e sta peggiorando. «Una vera guerra è ora una possibilità concreta». «La grande tragedia è che l’intera faccenda era evitabile. Se gli Stati Uniti e i loro alleati europei non avessero ceduto all’arroganza, al pio desiderio e all’idealismo liberale e si fossero affidati invece alle intuizioni fondamentali del realismo, la crisi attuale non si sarebbe verificata».
Walt si trattiene a spiegare le differenze tra il realismo e il liberalismo in politica estera e poi dettaglia come si è sviluppato il pasticcio Ucraina.
Il realismo, dice Walt, «inizia con il riconoscimento che le guerre si verificano perché non esiste un’agenzia o un’autorità centrale in grado di proteggere gli Stati gli uni dagli altri e impedire loro di combattere se scelgono di farlo». «Non c’è modo in cui gli Stati possano sapere con certezza cosa potrebbero fare gli altri in futuro, il che li rende riluttanti a fidarsi l’uno dell’altro e li incoraggia a proteggersi dalla possibilità che un altro Stato potente possa tentare di danneggiarli a un certo punto lungo la strada». Ogni Stato ha necessità di essere al sicuro in un mondo in cui la guerra è sempre possibile. «Il liberalismo vede la politica mondiale in modo diverso». Esso «sostiene che ciò che fanno gli Stati è guidato principalmente dalle loro caratteristiche interne e dalla natura delle connessioni tra di loro. Divide il mondo in ‘Stati buoni’ (quelli che incarnano i valori liberali) e ‘Stati cattivi’ (praticamente tutti gli altri) e sostiene che i conflitti derivano principalmente dagli impulsi aggressivi di autocrati, dittatori e altri leader illiberali. Per i liberali, la soluzione è rovesciare i tiranni e diffondere democrazia, mercati e istituzioni sulla base della convinzione che le democrazie non si combattano tra loro, soprattutto quando sono legate tra loro da scambi, investimenti e da un insieme di regole concordate».
Chiarito i parametri delle due visioni, Walt si concentra sulla storia. La seconda visione, quella del liberismo, ha prevalso. «Dopo la Guerra Fredda, le élite occidentali hanno concluso che il realismo non era più rilevante e che gli ideali liberali avrebbero dovuto guidare la condotta di politica estera. Assumevano, come disse l’allora candidato alla presidenza, Bill Clinton, nel 1992, che “il calcolo cinico della politica di pura potenza” non aveva posto nel mondo moderno e un ordine liberale emergente avrebbe prodotto molti decenni di pace democratica. Invece di competere per il potere e la sicurezza, le Nazioni del mondo si sarebbero concentrate sull’arricchirsi in un ordine liberale sempre più aperto, armonioso e basato su regole, plasmato e custodito dal potere benevolo degli Stati Uniti».
Questa regola non funzionò, e non funzionò in particolare dalle parti della Russia. Stephen M. Walt compie una ricostruzione che è necessario seguire passo passo perchè dimostra chiaramente come la crisi ucraina sarebbe stata evitabile usando anche solo un minimo di saggezza al posto dell’arroganza, in particolare in rapporto alla NATO.
Gli oppositori dell’allargamento della NATO si affrettarono «ad avvertire che la Russia avrebbe inevitabilmente considerato l’allargamento della NATO come una minaccia e che portarlo avanti avrebbe avvelenato le relazioni con Mosca». I fautori dell’espansione ebbero la meglio, affermando che l’allargamento «avrebbe contribuito a consolidare le nuove democrazie nell’Europa centrale e orientale e a creare una ‘vasta zona di pace‘ in tutta Europa», insistendo sul fatto che «le intenzioni benevole della NATO erano evidenti e sarebbe stato facile persuadere Mosca a non preoccuparsi mentre la NATO si avvicinava di soppiatto al confine russo. Questo punto di vista era estremamente ingenuo, poiché la questione chiave non era quali fossero le intenzioni della NATO nella realtà. Ciò che contava davvero, ovviamente, era ciò che i leader russi pensavano». «Anche se i leader russi fossero stati convinti che la NATO non avesse intenzioni maligne, non avrebbero mai potuto essere sicuri che sarebbe sempre stato così.
Sebbene Mosca non avesse altra scelta che acconsentire all’ammissione di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca nella NATO, le preoccupazioni della Russia crescevano man mano che l’allargamento continuava. Non ha aiutato il fatto che l’allargamento fosse in contrasto conl’assicurazione verbale del Segretario di Stato americano James Baker al leader sovietico Mikhail Gorbaciov, nel febbraio 1990, che se alla Germania fosse stato permesso di riunirsi all’interno della NATO, l’alleanza non si sarebbe spostata ‘diun pollice verso est‘ (una promessa che Gorbaciov ha stupidamente mancato di far fissare per iscritto)».
«I dubbi della Russia sono aumentati quando gli Stati Uniti hanno invaso l’Iraq nel 2003 -una decisione che ha mostrato un certo disprezzo deliberato per il diritto internazionale- e ancora di più dopo che l’Amministrazione Obama ha superato l’autorità della risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e ha aiutato a cacciare il leader libico Muammar al-Gheddafi, nel 2011. La Russia si era astenuta dalla risoluzione -che autorizzava la protezione dei civili ma non il cambio di regime- e l’ex segretario alla Difesa statunitense Robert Gates in seguito ha commentato che “i russi sentivano di essere stati presi in giro”. Questi e altri incidenti aiutano a spiegare perché Mosca insiste ora sulle garanzie scritte».
«Se i politici statunitensi avessero riflettuto sulla storia e sulle sensibilità geografiche del proprio Paese, avrebbero capito come appariva l’allargamento alle loro controparti russe». Gli Stati Uniti «hanno ripetutamente dichiarato che l’emisfero occidentale è off-limits per altre grandi potenze e hanno minacciato o usato la forza in numerose occasioni per mantenere tale dichiarazione. Durante la Guerra Fredda, ad esempio, l’Amministrazione Reagan era così allarmata dalla rivoluzione in Nicaragua (un Paese la cui popolazione era più piccola di quella di New York City) che organizzò un esercito ribelle per rovesciare i sandinisti socialisti al potere. Se gli americani potevano preoccuparsi così tanto per un piccolo Paese come il Nicaragua, perché era così difficile capire perché la Russia potesse nutrire seri dubbi sul movimento costante della più potente alleanza del mondo verso i suoi confini?» «Fu un monumentale fallimento dell’empatia con profonde conseguenze strategiche». «Ad aggravare l’errore c’è la ripetuta insistenza della NATO sul fatto che l’allargamento è un processo senza fine e che qualsiasi Paese che soddisfi i criteri di adesione può aderire».
«Il passo falso successivo è stata la decisione dell’Amministrazione Bush di nominare Georgia e Ucraina per l’adesione alla NATO al Vertice di Bucarest del 2008. L’ex funzionario del Consiglio di sicurezza nazionale degli Stati Uniti Fiona Hill ha recentemente rivelato che la comunità dell’intelligence statunitense si è opposta a questo passo, ma l’allora Presidente degli Stati Uniti George W. Bush ha ignorato le sue obiezioni per ragioni che non sono mai state completamente spiegate. Il tempismo della mossa è stato particolarmente strano perché né l’Ucraina, né la Georgia erano vicine a soddisfare i criteri per l’adesione nel 2008 e altri membri della NATO si erano opposti a includerli. Il risultato fu un compromesso difficile, mediato dagli inglesi, in cui la NATO dichiarò che entrambi gli Stati alla fine si sarebbero inclusi ma non disse quando. Come il politologo Samuel Charap ha correttamente affermato: la dichiarazione “Non ha fornito maggiore sicurezza all’Ucraina e alla Georgia, ma ha rafforzato l’opinione di Mosca secondo cui la NATO era determinata a incorporarle”. Non c’è da stupirsi che l’ex ambasciatore degli Stati Uniti presso la NATO Ivo Daalder abbia descritto la decisione del 2008 come il ‘peccato cardinale‘ della NATO».
Il round successivo è arrivato nel 2013 e nel 2014. L’allora Presidente ucraino Viktor Yanukovich «ha incoraggiato una guerra di offertetra l’Unione europea e la Russia per un aiuto economico. La sua successiva decisione di rifiutare un accordo di adesione al negoziato con l’UE e accettare un’offerta più redditizia dalla Russia ha innescato le proteste di Euromaidan che alla fine hanno portato alla sua estromissione». Gli USA hanno sostenuto i manifestanti e «hanno partecipato attivamente allo sforzo di scegliere il successore di Yanukovich, dando così credito ai timori russi che si trattasse di una rivoluzione colorata sponsorizzata dall’Occidente». Europa e Stati Uniti non si sono chiesti se la Russia potesse obiettare a questo. «Di conseguenza, sono stati presi alla sprovvista quando il Presidente russo Vladimir Putin ha ordinato l’annessione della Crimea e ha sostenuto i movimenti separatisti di lingua russa nelle province orientali dell’Ucraina, facendo precipitare il Paese in un conflitto congelato che persiste ancora oggi».
Fin qui la ricostruzione storica, rispetto alla quale Walt conclude: «Putin non è l’unico responsabile della crisi in corso sull’Ucraina e l’indignazione morale per le sue azioni o il suo carattere non è una strategia».
«Per quanto spiacevole possa essere, gli Stati Uniti e i loro alleati devono riconoscere che l’allineamento geopolitico dell’Ucraina è un interesse vitale per la Russia, che è disposta a difendere con la forza, e questo non è perché Putin sembra essere uno spietato autocrate con un passione nostalgica per il vecchio passato sovietico. Le grandi potenze non sono mai indifferenti alle forze geostrategiche schierate ai loro confini e la Russia si preoccuperebbe profondamente dell’allineamento politico dell’Ucraina anche se qualcun altro fosse al comando. La riluttanza degli Stati Uniti e dell’Europa ad accettare questa realtà fondamentale è una delle ragioni principali per cui il mondo si trova oggi in questo pasticcio. Detto questo, Putin ha reso più difficile questo problema cercando di ottenere importanti concessioni sotto la minaccia delle armi».
A questo punto, l’unico modo per uscire da questo vicolo cieco è la neutralità dell’Ucraina. Le «due parti dovrebbero trasformare questa trattativa da una che sembra un ricatto a una che sembra più un grattacapo reciproco. La logica è semplice: non vorrei darti qualcosa che vuoi se mi stessi minacciando perché crea un precedente preoccupante e potrebbe indurti a ripetere o intensificare le tue richieste. Ma potrei essere disposto a darti qualcosa che vuoi se tu accettassi di darmi qualcosa che desideravo altrettanto». «Non c’è niente di sbagliato nell’impostare un precedente del genere; è, infatti, la base di tutti gli scambi economici volontari».
«La migliore speranza per una soluzione pacifica di questo infelice pasticcio è che il popolo ucraino e i suoi leader si rendano conto che avere la Russia e l’Occidente che combattono su quale parte alla fine ottiene la fedeltà di Kiev sarà un disastro per il loro Paese. L’Ucraina dovrebbe prendere l’iniziativa e annunciare che intende operare come un Paese neutrale, che non si unirà ad alcuna alleanza militare. Dovrebbe impegnarsi formalmente a non diventare un membro della NATO e a non aderire all’Organizzazione del Trattato per la sicurezza collettiva a guida russa. Sarebbe comunque libero di commerciare e accogliere con favore investimenti da qualsiasi Paese, e dovrebbe essere libero di scegliere i propri leader senza interferenze esterne. Se Kiev facesse una mossa del genere da sola, allora gli Stati Uniti ei suoi alleati della NATO non potrebbero essere accusati di aver ceduto al ricatto russo. Per gli ucraini, vivere come uno Stato neutrale vicino alla Russia non è certo una situazione ideale. Ma data la sua posizione geografica, è il miglior risultato che l’Ucraina può realisticamente aspettarsi. È certamente di gran lunga migliore della situazione in cui si trovano ora gli ucraini. Vale la pena ricordare che l’Ucraina è stata effettivamente neutrale dal 1992 al 2008, l’anno in cui la NATO ha scioccamente annunciato che l’Ucraina si sarebbe unita all’alleanza. In nessun momento in quel periodo ha affrontato un serio rischio di invasione». Il fatto che il sentimento anti-russo ora sia alle stelle nella maggior parte dell’Ucraina, fa dire a Walt che effettivamente questa è una via d’uscita che appare improbabile, ma è l’unica.