C’è il rischio di una nuova crisi tra Cina e India, e di mezzo ci finirebbe pure il minuscolo Bhutan. Preoccupa l’ulteriore ammasso militare della Cina vicino alla linea di demarcazione attraverso il confine himalayano con l’India
Non bastasse la crisi tra Russia e Ucraina, c’è il rischio che se ne apra un’altra, questa volta tra Cina e India, e di mezzo ci finirebbe pure il minuscolo Stato himalayano del Bhutan, schiacciato a nord sul Tibet (Cina) e a sud sull’India, senza sbocco sul mare. Una crisi che per Washington sarebbe sicuramente meno destabilizzante di quella con Mosca, ma aggiungendoci la partita -questa sì, grave- Pechino-Taiwan, rischia di ‘distrarre’ l’attenzione dell’Amministrazione Biden.
Le tensioni al confine tra i due giganti asiatici non sono certo nuove -l’ultima, un mese fa, circa, quando Pechino ha schierato bombardieri strategici a lungo raggio nell’area, il Ladakh orientale, un’area desertica nel Kashmir amministrato dall’India-, ma nei giorni scorsi il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti si è detto preoccupato per l’ulteriore ammasso militare della Cina vicino alla linea di demarcazione attraverso il confine himalayano con l’India, secondo una nota del ‘Foreign Policy‘, che afferma aver discusso della cosa con ‘un alto funzionario della difesa’ in condizione di anonimato.
Oltre a un gran numero di truppe dalla sua parte del confine, Pechino ha condotto più esercitazioni del solito lungo la LAC (linea di controllo effettivo), oltre avere un vantaggio infrastrutturale, avendo costruito aeroporti, piste di atterraggio, strade e alloggi riscaldati. Inoltre, recentemente, il Presidente cinese Xi Jinping è stato in visita in Tibet, una mossa che New Delhi ha letto come un avviso al governo tibetano di non schierarsi con l’India.
C’è da considerare che «l’India ha tradizionalmente rivolto la sua attenzione alla sicurezza verso il Pakistan, ma negli ultimi anni i funzionari indiani sono stati sempre più preoccupati della minaccia rappresentata dalla Cina e gli esperti vedono la posizione della Cina inasprirsi nella regione di confine». «Ciò che è chiaro è che le decisioni di Pechino devono essere state prese ai massimi livelli per ragioni politiche e strategiche, non solo tattiche», ha scritto l’ex consigliere per la sicurezza nazionale indiana Shivshankar Menon su ‘Foreign Affairs‘ nei giorni scorsi. «Questo rende la controversia più difficile da risolvere. La Cina in precedenza aveva descritto il disaccordo sui confini come un prodotto della storia, che lasciava spazio al dare, avere e negoziare».
Sullo sfondo, infine, c’è la nuova legge sui confini della Cina che entrerà in vigore il 1° gennaio 2022. La ‘Land Borders Law of the People’s Republic of China‘, stabilisce disposizioni per la protezione delle frontiere e l’integrazione delle aree di confine. Secondo l’autorevole think tank indiano Observer Research Foundation, questa legge sarebbe stata ispirata non solo dai problemi di confine con l’India, ma anche da fattori quali la preoccupazione cinese per l’acquisizione dell’Afghanistan da parte dei talebani -Pechino teme che gli estremisti islamici possano entrare nella regione autonoma uigura dello Xinjiang per destabilizzare la regione- e dalla necessità di rafforzare i confini terrestri con Myanmar e Vietnam causa Covid-19. Dal punto di vista di New Delhi, se è vero che questa legge non è di per se gravemente problematica, è anche vero che la Cina si è già concessa negli ultimi anni varie misure che hanno intensificato i problemi di confine con l’India per promuovere le sue rivendicazioni sui territori contesi, per tanto per il governo indiano è fonte di preoccupazione per quanto governo e esercito cinese potrebbero, prendendo a pretesto questa legge, mettere in atto.
L’alto funzionario della difesa americana che ha parlato con ‘Foreign Policy‘, ha affermato che il tipo di ammasso di truppe «si adatta al modello di aggressione regionale cinese visto altrove nella regione indo-pacifica». A differenza, però, di altri Paesi vittime dell’assertività cinese, sia il Pentagono che gli analisti esperti dell’area ritengono che l’India sarà in grado di resistere contro l’Esercito Popolare di Liberazione cinese. «New Delhi ha opposto più resistenza diplomatica e militare rispetto agli antagonisti della Cina in altre incursioni territoriali, come nel Mar Cinese Meridionale». Altresì, l’India ha importanti vantaggi pratici, inclusa una maggiore esperienza di combattimento in alta quota. «New Delhi ha cercato di utilizzare la geografia e l’acclimatazione come contro-vantaggio asimmetrico alla potenza militare di Pechino, conquistando picchi vicino ai laghi, mentre in alcuni casi l’Esercito di Liberazione Popolare è stato costretto a ritirare le unità di terra o a portare tende ad ossigeno».
Insomma, «l’ultima minaccia che la Cina pone non è a causa delle sue armi o delle sue forze armate: questi sono problemi di cui l’esercito indiano è pienamente in grado di occuparsi. L’ultima minaccia della Cina proviene dal gran numero di villaggi che si dice abbia allestito lungo il confine», afferma lo scrittore e storico indiano della Panjab University, M Rajivlochan. I villaggi, anche quelli nuovi, sono ben collegati dalle autostrade nazionali cinesi. «La minaccia è che i pochi indiani che vivono lungo il confine potrebbero trovare più attraente vivere nei villaggi cinesi che vivere nei villaggi indiani che sono caratterizzati da mancanza di strutture, condizioni di vita difficili e una burocrazia in cerca di rendita. Il rischio è che allora la popolazione di questi nuovi villaggi sarebbe conosciuta come ‘cinese’ piuttosto che ‘indiana’, fornendo così ai cinesi un ulteriore sostegno per la loro rivendicazione sulla terra che l’India rivendica come propria o almeno spera che resti terra di nessuno. La minaccia è anche che questi abitanti del villaggio possano diventare informatori per i cinesi».
Nelle scorse settimane, l’allarme ‘villaggi cinesi’ si era nuovamente alzato. I media riferivano come la Cina avesse ripreso l’attività di costruzione lungo le aree di confine, comprese quelle che ha occupato illegalmente nel corso dei decenni. L’India non ha né accettato tale occupazione illegale né ha accettato le ingiustificate rivendicazioni cinesi. La Cina ha sviluppato ‘villaggi modello‘ integrati lungo la linea di controllo effettivo (LAC). Informazione confermata da un rapporto del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti che riferiva di un altro villaggio di 100 case che la Cina aveva costruito lungo il LAC.
Jeff Smith, ricercatore presso l’Asian Studies Center della Heritage Foundation, ha detto a ‘Foreign Policy‘ che «la Cina è diventata più aggressiva nella regione di confine da quando le truppe indiane, armate di bulldozer, sono riuscite a fermare la costruzione di una strada vicino al confine cinese-indiano-bhutanese a Doklam, nel 2017, una situazione che ha imbarazzato i funzionari cinesi. “Ciò ha ulteriormente alimentato questa sorta di inclinazione nazionalista e aggressiva a raddoppiare e rafforzare le loro posizioni”».
«Gli Stati Uniti hanno sostenuto l’India ‘rapidamente e con forza’» nel maggio dell’anno scorso, «ha affermato l’alto funzionario della difesa, in un momento in cui le truppe cinesi e indiane sono state impegnate in intensi combattimenti corpo a corpo», nella regione di Aksai Chin, un territorio vantato da entrambe le parti fin dagli anni ’60, quando i due Paesi entrarono effettivamente in guerra. Ora, sostiene ‘Foreign Policy‘, «non è chiaro se Dipartimento di Stato o Pentagono stiano valutando di inviare più armi o equipaggiamento in India, ma l’alto funzionario della difesa ha affermato che Washington si sta“impegnando a tutti i livelli” con New Delhi. E che gli Stati Uniti sono diventati molto più reattivi nel condividere l’intelligence che dettaglia i movimenti cinesi con l’India». Ciò mentre alcuni congressisti considerano che questa sia l’occasione per approfondire e rafforzare i legami tra Washington e New Delhi, perché la cooperazione in materia di sicurezza con l’India è vitale per gli interessi nazionali di entrambi i Paesi, sostengono.
Per altro, nella regione non mancano le tensioni interne. Questa settimana, nella regione del Ladakh è stato messo in atto uno sciopero senza precedenti, organizzato da Apex Body of Leh e Kargil Democratic Alliance, in difesa dei diritti dei residenti nella regione dominata dalle tribù e per la conservazione della loro identità culturale. La minaccia, a dire delle due organizzazioni, è figlia della decisione di Delhi, del 5 agosto 2019, di annullare unilateralmente lo status speciale del Kashmir amministrato dall’India e dividere la regione contesa -rivendicata nella sua interezza anche dal Pakistan- in due territori governati dal governo federale: Jammu e Kashmir e Ladakh. «Il Ladakh ospita quasi 300.000 persone che vivono nei suoi due distretti: la città principale di Leh, a maggioranza buddista, e Kargil, a maggioranza musulmana. Situato ad un’altitudine di 5.730 metri (18.799 piedi) sul livello del mare, il 97 percento della popolazione della regione è tribale. E per la prima volta da decenni, i due distretti del Ladakh sono sulla stessa linea nel fare pressioni sul governo nelle richieste di protezione dei diritti», afferma ‘Al Jazeera‘.
I funzionari indiani guardano preoccupati anche in direzione del Bhutan, dove la Cina ha costruito strade nell’area di confine. New Delhi teme che la Cina stia cercando di costruire più strade nel corridoio di Siliguri, noto come Chicken Neck, una linea di collegamento tra il nord-est dell’India e il resto del Paese. La Cina è diventata più aggressiva con rivendicazioni territoriali nel Bhutan orientale, come il caso della costruzione del villaggio di Gyalaphug, costruito dai cinesi nel territorio del Bhutan. Espressione e parte, Gyalaphug, «di un importante sforzo del Presidente cinese Xi Jinping, dal 2017, per fortificare i confini tibetani, una drammatica escalation negli sforzi a lungo termine della Cina per superare in astuzia l’India e i suoi vicini lungo le frontiere himalayane. In questo caso, la Cina non ha bisogno della terra sulla quale sta costruendo in Bhutan: il suo scopo è costringere il governo bhutanese a cedere il territorio che la Cina vuole altrove in Bhutan per dare a Pechino un vantaggio militare nella sua lotta con Nuova Delhi. Gyalaphug è ora uno dei tre nuovi villaggi (due già occupati, uno in costruzione), delle 66 miglia di nuove strade, oltre una piccola centrale idroelettrica, due centri amministrativi del Partito Comunista, una base di comunicazione, un magazzino di soccorso in caso di catastrofe, cinque avamposti militari o di polizia, e quella che si crede sia una grande torre di segnalazione, una stazione di ricezione satellitare, una base militare».
Pechino rivendica quattro aree a ovest del Bhutan, tre a nord e Sakteng a est. Le aree che rivendica attivamente nel nord sono il Beyul Khenpajong e la Valle del Menchuma, sebbene le mappe cinesi ufficiali mostrino anche l’area di Chagdzom come parte della Cina. Dal 1990, la Cina si è offerta di rinunciare a 495 chilometri quadrati delle sue pretese nel nord se il Bhutan cede 269 chilometri quadrati del suo territorio a ovest (parti di Doklam, Charithang, Sinchulungpa, Dramana e Shakhatoe) alla Cina. Il Bhutan rinunciò alla sua pretesa sull’area di Kula Khari (o Kulha Kangri) negli anni ’80, attribuendo la sua precedente pretesa a un errore cartografico.
Il Bhutan, ora più che mai, sta lottando sia per mantenere il proprio territorio, che per non inimicarsi le due potenze asiatiche sulle quali è schiacciato, usando massima cautela in qualsiasi azione onde evitare di rimanere coinvolto nel conflitto tra India e Cina.
A breve, il Paese sarà impegnato in nuovicolloqui di confine con Pechino, e ha già informato l’India che non riconoscerà le rivendicazioni della Cina sull’altopiano di Doklam, al centro della discussioni. Nel 2017, le forze armate indiane erano intervenute per conto del Bhutan per impedire alla Cina di costruire una strada nell’area contesa che si affaccia su una stretta striscia di terra che collega gli Stati nordorientali dell’India con il resto del Paese. Ora il Bhutan prevede di offrire a Pechino la prospettiva di eventuali relazioni diplomatiche complete in cambio della demarcazione del confine settentrionale, sostiene ‘Bloomberg‘, eludendo la questione del Doklam e con l’obiettivo di fermare l’invasione cinese in altre aree. Il Paese è l’unico vicino della Cina che non ha relazioni diplomatiche con Pechino, e «ha ufficialmente permesso all’India di ‘guidare’ la sua politica estera fino a quando i due non hanno firmato un nuovo trattato di amicizia, nel 2007. Tuttavia, l’India rimane influente in Bhutan, tenendo conto per oltre l’80% del commercio del Paese e la maggior parte dei collegamenti di trasporto in entrata e in uscita».
«L’interesse della Cina è risolvere la controversia con il Bhutan il prima possibile in modo che possa utilizzarla per sfruttare la sua posizione nei futuri negoziati tra India e Cina», ha dichiarato a ‘Bloomberg‘ Sana Hashmi, visiting fellow presso The Taiwan-Asia Exchange Foundation. Malgrado ciò non è possibile prevedere se la proposta del Bhutan possa essere accolta da Pechino. L’obiettivo dell’India, invece, è «spingere il Bhutan a delimitare confini chiari con la Cina senza rinunciare all’area strategica di Doklam». Anche se è stata l’India che «in qualche modo ha spinto il Bhutan a cercare relazioni più strette con la Cina. I legami sono stati messi a dura prova all’inizio di quest’anno quando il governo di Modi ha interrotto le esportazioni di vaccini a Thimphu mentre le infezioni da Covid sono esplose all’interno dei suoi confini». «Anche se l’India continua essere un partner molto più importante nella regione, deve trovare un modo per contrastare le crescenti affermazioni della Cina», ha affermato Hashmi. «Per cominciare, investire nello sviluppo delle infrastrutture, mantenere le promesse e convincere che l’India tratti i suoi vicini dell’Asia meridionale come partner alla pari».
Questo complicatissimo intreccio di interessi non tranquillizza Washington. Il 6 dicembre, il Presidente russo Vladimir Putin, insieme ai suoi Ministri degli Esteri e della Difesa, è arrivato in India per un vertice con il Primo Ministro indiano Narendra Modi. India e Russia hanno una relazione di difesa che risale alla Guerra Fredda, e i vertici a livello di leader sono un affare comune,sottolinea Jeff Smith. Ma questo vertice è stato considerato ben ‘poco routine‘ dalle parti della Casa Bianca. Non solo per la onnipresente questione ucraina, ma anche perchèl’Amministrazione Biden potrebbe presto dover decidere se imporre sanzioni all’India per l’acquisto del sistema di difesa aerea russo S-400». Ciò in forza del Countering America’s Adversaries Through Sanctions Act (CAATSA), approvato dal Congresso a seguito dell’interferenza della Russia nelle elezioni presidenziali statunitensi del 2016. «La legge impone al Presidente degli Stati Uniti di disporre sanzioni a entità straniere impegnate in transazioni significative con i settori della difesa e dell’intelligence della Russia. Sebbene l’accordo S-400 India-Russia sia precedente all’approvazione del CAATSA, l’India rischia sanzioni».
Secondo Smith, il vertice ha prodotto un elenco di 28 accordi per nulla sostanziosi in termini di contenuto, mostrando i limiti della partnership India-Russia, un tempo solida. «Sebbene la Russia sia stata il principale fornitore di difesa dell’India per la gran parte dell’ultimo mezzo secolo, l’unico accordo importante per la difesa annunciato durante il viaggio di Putin è un accordo per produrre fucili d’assalto Kalashnikov in India. Nel frattempo, un accordo di scambio logistico previsto, come quello firmato dall’India con gli Stati Uniti nel 2016, è stato ‘rimandato per un po’ di tempo‘».
Buone intenzioni in fatto di crescita degli scambi commerciali a parte, «il vertice Putin-Modi èservito a sottolineare alcune delle crescenti differenze geopolitiche tra Mosca e New Delhi. Il Ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha colto l’occasione per criticare gli Stati Uniti, osservando: “Abbiamo espresso la nostra seria preoccupazione ai nostri amici indiani per l’attività degli Stati Uniti lì sotto lo slogan delle cosiddette strategie indo-pacifiche e la creazione di strutture di tipo a blocco chiuso”», riferendosi al Quad. Altresì, «i funzionari russi hanno ripetutamente criticato il concetto a New Delhi. Lavrov in precedenza aveva affermato chel’Occidente stava “cercando di coinvolgere l’India in giochi anti-Cina promuovendo strategie indo-pacifiche”. E ha attaccato il concetto indo-pacifico come ‘divisivo’ e progettato ‘per escludere la Cina’».
«Il caldo abbraccio strategico della Russia nei confronti della Cina, in un momento in cui i legami Cina-India sono precipitati a nuovi minimi in mezzo a una pesante crisi di confine, ha ulteriormente messo alla prova una relazione India-Russia già ridimensionata dai tempi della Guerra Fredda. Diversamente da allora, la Russia ora vende alcuni dei suoi hardware militari più avanzati alla Cina prima dell’India, incluso il sistema S-400. Mosca e Pechino stanno anche conducendo un numero crescente di sofisticate esercitazioni militari e sinergizzando le loro dichiarazioni diplomatiche e le valutazioni delle minacce.
Sebbene le tendenze a lungo termine siano chiare, dopo mezzo secolo di stretta cooperazione in materia di difesa la Russia rimarrà un importante partner diplomatico e di sicurezza dell’India per il prossimo futuro. Anche se negli ultimi anni New Delhi ha diversificato i suoi fornitori di difesa, con importanti acquisti di hardware statunitense, europeo e israeliano, l’esercito indiano rimane ancora fortemente dipendente dalla Russia per mantenere le sue piattaforme militari legacy. La Russia è anche l’unico Paese disposto a offrire all’India la tecnologia dei sottomarini nucleari, mentre i funzionari del Pentagono ammettono di non avere un’alternativa diretta all’S-400 da offrire all’India.
Queste realtà non possono essere cancellate dal governo degli Stati Uniti. Proprio come l’India è arrivata gradualmente ad accettare che le decine di miliardi di dollari in armi e aiuti che gli Stati Uniti hanno fornito al rivale Pakistan non sono fatte per svantaggiare l’India, l’America può riconoscere le basi storiche e pragmatiche della relazione Russia-India».
Soprattutto l’America deve avere la mente lucida circa il proprio interesse nazionale, afferma Jeff Smith «L’India è un partner strategico vitale per gli Stati Uniti nell’Indo-Pacifico e soddisfa le condizioni legislative specifiche richieste per una deroga esecutiva dalle sanzioni CAATSA». «I funzionari statunitensi riconoscono che è improbabile che sanzionare l’India in forza di CAATSA alteri il commercio della difesa tra India e Russia», sarebbe invece una decisionesuscettibile di «alimentare i timori indiani sull’affidabilità americana e di fornire munizioni ai critici americani a New Delhi», il significherebbe una vittoria per Putin, che «coglie ogni opportunità per sfruttare le divisioni nelle relazioni India-USA ed evidenziare come, a differenza della Russia, gli Stati Uniti violino l’autonomia strategica dell’India».
Insomma, sanzionare l’India ora sarebbe una pessima idea da parte della Casa Bianca. Per di più proprio nel momento in cui Putin si propone come mediatore tra Pechino e New Delhi. Infatti, nel vertice virtuale tra Xi Jinping e Vladimir Putin, il 15 dicembre, Putin ha fatto riferimento alla sua visita in India del 6 dicembre ed ha proposto di tenere un vertice RIC (Russia-India-Cina ) nel prossimo futuro come misura per rafforzare la fiducia reciproca ed eventualmente avviare il dialogo per ridurre le tensioni e dare stabilità nel teatro eurasiatico.
La cristallizzazione delle tensioni a più o meno bassa intensità tra India e Cina potrebbe diventare un ricordo del passato, con l’India già fortemente impegnata nel contenimento della Cina nella regione dell’Oceano Indiano, il confine himalayano ha potenzialità d’incandescenza; il dossier Bhutan ingarbuglia ulteriormente la situazione; e Russia e Stati Uniti potrebbero trovare nell’area l’ennesima occasione di uno scontro a distanza che farebbe da contorno alla partita ucraina.