Il nuovo numero uno del Pentagono debutta nel consesso dei Ministri della difesa dell’Alleanza Atlantica e rassicura gli alleati: si volta pagina con la nuova Amministrazione, all’insegna di un rinnovato spirito transatlantico. “L’Alleanza Atlantica è tornata” annuncia il Presidente americano

‘America is back, diplomacy is back’, è quanto ha affermato, due settimane fa, nel suo primo Foreign Affairs Speech il neo Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden. Ma è anche il messaggio esplicito che ha voluto inviare il nuovo Segretario alla Difesa USA, il Generale Lloyd Austin, alla sua prima partecipazione ad una riunione (in videoconferenza) dei Ministri della difesa della NATO – a cui hanno preso parte anche partnerFinlandia, Svezia e l’UE, rappresentata dall’Alto rappresentante, Josep Borrell – tenutasi tra il 17 e il 18 Febbraio. “Questo è il nostro primo incontro con la nuova amministrazione Biden e un’opportunità per preparare il vertice NATO a Bruxelles più tardi quest’anno”, aveva anticipato il Segretario generale dell’Alleanza Atlantica, Jens Stoltenberg secondo cui – aveva assicurato – un nuovo vertice, una nuova amministrazione USA, #NATO2030 “tutto insieme offre davvero un’opportunità unica, dopo alcuni anni difficili per tutti noi su entrambe le sponde dell’Atlantico, di avere un programma concreto e lungimirante”.

Quello di questi giorni è stato, tra l’altro, il primo vertice a cui ha partecipato un Ministro del nuovo governo Draghi, che, ha affermato Stoltenberg, “è un leader molto rispettato, ho avuto il privilegio di conoscerlo in diversi ruoli, so che è un grande sostenitore del legame transatlantico, della NATO e della cooperazione tra Nord America e Europa, e attendo di lavorare con lui nel suo nuovo ruolo”.

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Un vero e proprio debutto nel consesso della ministeriale dell’Alleanza per il Austin, primo afroamericano alla guida del Pentagono, ma anche primo afroamericano a guidare un corpo d’armata in battaglia e primo afroamericano a comandare un intero teatro di guerra. È stato, inoltre, la duecentesima persona in assoluto a raggiungere il grado di generale a quattro stelle dell’esercito, ma solo il sesto afroamericano. Insomma, un curriculum brillante che, nonostante si sia ritirato più di quattro anni fa, gli vale la stima bipartisan a Washington vista la quasi unanime maggioranza (93 voti favorevoli contro i due contrari dei repubblicani Mike Lee e Josh Hawley) con la quale è stato confermato dal Senato, derogando, peraltro, proprio come accaduto al predecessore, il Generale Jim Mattis, alla legge secondo cui un ufficiale deve aver lasciato il servizio almeno sette anni prima di diventare segretario alla difesa.

‘Generale silenzioso’ è il soprannome – dovuto alla sua personalità discreta, di poche parole – con cui è a molti noto negli Stati Uniti. Proprio la sua imperturbabilità deve aver colpito Joe Biden, quando lo conobbe nell’agosto del 2010: all’epoca, Austin comandava il contingente Usa in Iraq e aveva già stretto un rapporto di amicizia con Beau, il figlio di Biden, al quale era accomunato dalla fede cattolica, mentre Biden, da Vicepresidente, era stato incaricato dall’allora Presidente, Barack Obama, di sovrintendere alla fine dell’operazione Iraqi Freedom, iniziata nel 2003, e quindi al ritiro ordinato di 150 mila truppe dal Paese mediorientale.

Austin non si limitò a portare a termine il lavoro, spiegava Biden in un articolo su ‘The Atlantic‘ nel quale, lo scorso dicembre, motivava la sua scelta: infatti, non usò solo la “semplice abilità e strategia di un soldato esperto”, ma “dovette ricorrere la diplomazia, costruire relazioni con le nostre controparti irachene e con i nostri partner nella regione”. “Ha servito come statista” – rimarcava il nuovo inquilino della Casa Bianca – “rappresentando il nostro Paese con onore e dignità e sempre, soprattutto, attento alla sua gente”.

Un servizio delle istituzioni del proprio Paese che ha vissuto anche momenti tragici come quello che accadde il 23 marzo 1994 nella base aeronautica di Pope Field, in North Carolina, quando un C-130 Hercules, dopo aver avuto una collisione con un F-16 Falcon poi atterrato in sicurezza, impattò su una rampa dove si trovavano schierati due battaglioni di 500 soldati impegnati in un’esercitazione e guidati rispettivamente da due comandanti che erano stati insieme cadetti a West Point, il tenente colonnello Stanley McChrystal e il tenente colonnello Lloyd Austin. L’incidente causò 23 morti ed oltre 80 feriti, ma fu un’altra prova della dedizione e dell’impegno di Austin che venne decorato insieme al suo collega McChrystal per il loro impegno nella ricostruzione delle unità.

Poco meno di dieci anni dopo, nel 2003, nel corso dell’invasione dell’Iraq, Austin fu la ‘mente’ -come gli è stato riconosciuto da qualche collega – del riuscito attacco della seconda brigata della terza divisione di fanteria a Baghdad. L’operazione Iraqi Freedom, della quale Austin aveva assunto, intanto, la guida, era solo all’inizio e dovettero trascorrere altri otto anni prima che si concludesse. Nel 2012 diventa vice capo dello staff dell’esercito nel 2012 è l’anno successivo, nel 2013, Obama lo promuove a capo del Comando Centrale e gli affida l’elaborazione della strategia per battere lo Stato Islamico. In quel ruolo, Austin scelse  l’abbandono della dottrina della “controinsorgenza”, ovvero addestrare contingenti locali da scagliare contro i propri obiettivi, optando per i raid mirati nelle centrali di comando dei terroristi. Una decisione controversa che gli costò diverse critiche, in particolare quelle del repubblicano John McCain, con il quale si sarebbe scontrato anche su Yemen o sul rapporto con l’Arabia Saudita.

Nell’articolo su ‘The Atlantic’, tra le altre cose, Biden aveva tenuto a sottolineare che “abbiamo bisogno di leader come Lloyd Austin che capiscano che le nostre forze armate sono solo uno strumento della nostra sicurezza nazionale. Mantenere l’America forte e sicura richiede che attingiamo a tutti i nostri strumenti. Lui ed io condividiamo l’impegno a dare ai nostri diplomatici ed esperti di sviluppo il potere di guidare la nostra politica estera, usando la forza solo come ultima risorsa”…”Dobbiamo costruire una politica estera che guidi con la diplomazia e rivitalizzi le nostre alleanze, rimettendo al tavolo la leadership americana e radunando il mondo per affrontare le minacce globali alla nostra sicurezza: dalle pandemie al cambiamento climatico, dalla proliferazione nucleare alla crisi dei rifugiati”. Il Generale Austin – affermava in conclusione Biden – “condivide la mia profonda convinzione che gli Stati Uniti siano più forti quando guidiamo non solo con l’esempio del nostro potere, ma con il potere del nostro esempio”.

Un debutto, si diceva, quello di Austin in sede NATO in questi giorni, che era stato preceduto da un editoriale che il nuovo capo del Pentagono aveva pubblicato, poche ore prima, sulle pagine del ‘Washington Post’ dal titolo ‘The U.S. can’t meet its responsabilities alone. That’s why we believe in NATO’. Un titolo che è tutto un programma. Ma anche il contenuto lo è altrettanto.

“Rivitalizzare le nostre alleanze” è la frase chiave in quanto “non possiamo andare incontro alle nostre responsabilità da soli”. Anzi, prosegue Austin, gli Stati Uniti “sono più forti quando lavorano all’interno di un team” dato che le alleanze sono “vantaggi strategici” rispetto ai competitors come “Cina e Russia” in quanto “mettono in risalto capacità e credibilità che, soli, spesso non abbiamo”. Le alleanze, evidenzia Austin, “hanno successo solo quando tutti gli attori ci credono e le rispettano, cosa che non sempre gli alleati hanno percepito”. Per questo, precisa il Segretario alla difesa USA, la sua prima telefonata una volta entrato in carica è stata al Segretario Generale della NATO, Jens Stoltenberg (e, poi “molti dei colleghi della Nato nonché di alleati-chiavi nella regione dell’Indo-Pacifico”) per comunicare agli alleati che gli Stati Uniti vogliono tornare a guidare l’alleanza.

Austin rivendica anche lo stop al ritiro delle truppe dalla Germania, voluto da Trump nella parte finale del suo mandato. Lo fa spiegando che la Global Posture Review, chiesta da Joe Biden per ridefinire tutti gli impegni all’estero degli Stati Uniti, “porterà a decisioni che saranno prese in stretta consultazione con i nostri alleati e partner”.

In altri termini, gli USA sono tornati, si legge tra le righe dell’articolo di Austin, facendo eco alle parole di Joe Biden. Non mancano, tuttavia, sebbene con altri toni, riferimenti agli oneri che la “sicurezza collettiva”, in quanto “responsabilità collettiva”, porta con sé, se non si vuole far fallire la deterrenza: “investire nelle capacità di difesa secondo quanto stabilito al Summit del Galles del 2014” nel principio del “cash, capabilities e contributions”. Il 2021 – sostiene il nuovo numero uno del Pentagono – è il settimo anno in cui gli alleati proseguono nel processo di aumento delle spese per la difesa, il che è “incoraggiante”, anche se, ribadisce, qualcuno di essi si attarda. “Siamo pronti a consultarci insieme, a decidere insieme e ad agire insieme”, conclude l’editoriale.

Parole chiare che non lasciano spazio a dubbi, e non devono averle lasciate nemmeno in sede ministeriale, dove, a detta dell’addetto stampa del Pentagono,John Kirby, “il Segretario ha ribadito il messaggio del Presidente secondo cui gli Stati Uniti intendono rivitalizzare le nostre relazioni con l’Alleanza NATO e che il nostro impegno per l’articolo 5 rimane ferreo e ha fatto riferimento alla NATO come alla base della duratura sicurezza transatlantica e ha affermato che l’Alleanza funge da baluardo dei nostri valori condivisi di democrazia, libertà individuale e stato di diritto”.

Persino la Francia, che ha avviato il processo di revisione del 2030 dopo che il Presidente Emmanuel Macron ha detto che la NATO stava vivendo una “morte cerebrale”, ha avuto cose positive da dire su Austin. “Primo ministro della NATO con la nostra nuova controparte americana @SecDef Austin” – ha twittato il ministro delle forze armate francese, Florence Parly – “Discussioni molto costruttive. Condividiamo la stessa ambizione di una rivitalizzazione dell’Alleanza. La Francia giocherà pienamente la sua parte in questo lavoro collettivo di riflessione strategica tra alleati “.

NATO Secretary General Jens Stoltenberg gestures as he addresses a media conference following a virtual meeting of NATO defense ministers at NATO headquarters in Brussels, Wednesday, Feb. 17, 2021. (John Thys, Pool via AP)

Nell’agenda della prima giornata di lavoro, di fatti, tra le altre cose, c’era la discussione sulle proposte presentate dal Segretario Stoltenberg per #NATO2030, l’iniziativa lanciata lo scorso anno su invito di capi di Stato e di governo durante il vertice di Londra, a dicembre 2019. Trattasi del processo di riflessione strategica dell’Alleanza Atlantica, aperto ai contributi della società civile – un gruppo di dieci esperti e un altro di 14 young leaders – per una NATO “più politica e globale” pronta alle sfide contemporanee, che si concretizzerà in un documento finale da sottoporre ai leader al prossimo summit di Bruxelles, previsto tra qualche mese. Sempre sull’esito del lavoro di NATO2030 si baserà anche il prossimo Concetto strategico, la cui ultima revisione risale al 2010.

Nel suo intervento, il (confermato) Ministro della Difesa italiano, Lorenzo Guerini, ha accolto positivamente la rinnovata attenzione al fianco sud, “area pervasa da forte instabilità con implicazioni dirette nel campo della sicurezza e della Difesa e nella quale trova ampio spazio di manovra il terrorismo internazionale”. “Quanto emerge nel Nato 2030 conferma l’approccio già definito con il ‘Framework for the South’ approvato nel 2015”. Ora però servono “decisioni comuni che rendano operativo questo approccio, in particolare nello sviluppo della pianificazione avanzata a Sud e nella capacità di stabilizzazione di Paesi a rischio”. La pandemia – ha aggiunto Guerini – “è stato un test straordinario della nostra solidarietà e per le grandi capacità dimostrate dalle nostre Forze armate; al contempo ci ha mostrato alcune debolezze nostre e delle nostre Organizzazioni; dobbiamo anticipare le nuove sfide trasversali e fare in modo che nuove minacce o crisi di questo tipo non mettano in pericolo la nostra sicurezza, anche in futuro”.​

Secondo il Pentagono, Austin avrebbe  sottolineato anche “l’importanza di lavorare in tutta l’Alleanza per migliorare l’adozione tempestiva di tecnologie emergenti e dirompenti, così come la necessità di proteggere le nostre catene di approvvigionamento, infrastrutture e tecnologie da concorrenti strategici. Ha anche sottolineato l’impegno del Dipartimento a lavorare con la NATO per garantire che le nazioni democratiche rimangano hub globali per l’innovazione “.

Per far fronte alle nuove sfide, non si può non includere l’innovazione tra le priorità, dato che al vertice del Galles del 2014 tutti gli alleati hanno accettato di spendere il 2% del PIL per la difesa e il 20% dei fondi per la difesa per la modernizzazione entro il 2024: anche per questo, Stoltenberg ha presentato una ‘NATO Defence Innovation Initiative’ con lo scopo di promuovere la cooperazione militare e l’interoperabilità transatlantica sui nuovi campi, ma senza tralasciare “una revisione annuale sulle vulnerabilità dell’Alleanza” per ottemperare agli “obiettivi di resilienza nazionale più chiari e misurabili, così da assicurare uno standard minimo di resilienza condivisa tra gli alleati”.

Nel campo dell’innovazione tecnologica, NATO e Pentagono sono sulla stessa linea d’onda. A lavorare su questo dossier, negli ultimi mesi, al Ministero degli difesa USA c’era Ellen Lord, in qualità di “under secretary of Defense for acquisition and sustainment”, che ha molto spinto per la ‘Digital acquisition’, favorendo la sottoscrizione di flessibili contratti Other transaction agreement (Ota) e le partnership tra aziende pubbliche e private. Per sapere in che direzione di andrà non si potrà che aspettare la conferma o meno da parte del Senato – su proposta di Austin – diStacy Cummings, che ricopre la carica della Lord in qualità di acting, ma in ogni caso l’innovazione sarà centrale.

“La sera cala sul quartier generale della #NATO”, ha twittato l’ambasciatore NATO del Belgio Pascal Heyman, insieme a un’immagine del gigantesco edificio del quartier generale di vetro che brilla subito dopo il tramonto. “Si è concluso con successo il primo giorno del Consiglio dei Ministri della Difesa. Il punto saliente era una forte dichiarazione @SecDef per voltare pagina, rivitalizzare le alleanze e una riaffermazione della garanzia ferrea dell’Art 5 “, ha aggiunto, riferendosi all’articolo 5, la disposizione del trattato che proclama che un attacco a un alleato della NATO è un attacco su tutto. “Abbiamo un’opportunità unica per aprire un nuovo capitolo delle relazioni tra Europa e nord Atlantica”, ha rilanciato Jens Stoltenberg chiudendo la prima giornata di lavoro. Ciò potrebbe essere possibile anche grazie a. Spencer Boyer, dato da molti in lizza per diventare il prossimo ‘assistant secretary of Defense for Europe and NATO policy’, ossia responsabile per il Pentagono dei rapporti con partner europei e Alleanza Atlantica. A renderlo adeguato al ruolo l’ottima conoscenza del Vecchio Continente, essendo stato ‘deputy assistant secretary of State for European and Eurasian affairs’ dal 2009 al 2011, e poi funzionario d’intelligence per l’Europa all’interno del National Intelligence Council.

Come ha rivelato qualche settimana fa il Consigliere per la sicurezza nazionale, Jake Sullivan, è confermato dal diretto interessato sulle colonne del ‘Washington Post’, il nuovo capo del Pentagono Austin è stato incaricato della ‘Global posture review’, ossia una revisione degli impegni all’estero, in altri termini del posizionamento delle truppe americane nel mondo.

Dalla seconda giornata di riunione tra i ministri della Difesa della NATO, non è arrivato l’accordo su ‘Resolute Support’, la missione in Afghanistan – tra i “temi-chiave del 2021 per la Nato”, affermava a inizio anno Stoltenberg – il tutto è stato rimandato alle prossime settimane (con il piano americano che prevederebbe un ritiro completo entro il prossimo maggio), data l’instabilità che regna nel Paese. Gli Stati Uniti, con soli 2.500 uomini, restano il Paese più impegnato in Afghanistan, seguiti da Germania, con circa 1.300 militari, e Italia – per cui l’Alleanza si è detta estremamente “grata”-, con 900 unità, dislocate nella gran parte a Herat, nel Train advise assist command West (Taac-W), ovvero alle attività di addestramento e assistenza delle istituzioni e delle Forze di sicurezza locali concentrate nella regione ovest. “Ho registrato l’apprezzamento delle autorità afghane per quello che abbiamo fatto in questi anni e la loro preoccupazione per il rischio di vanificare tutti i progressi fin qui fatti” – ha detto ieri Lorenzo Guerini che, a fine gennaio, si è recato sul posto – “dobbiamo decidere insieme (del futuro della missione), come abbiamo sempre sostenuto, preservando la coesione tra gli alleati, indiscutibile centro di gravità della NATO in qualunque contesto ci veda coinvolti”. Certamente l’impasse nei negoziati di pace, insieme agli attentati messi a segno dai talebani, rende la situazione “fragile”. Per questo, “Stiamo affrontando molti dilemmi e non ci sono facili opzioni”, ha confermato ieri Stoltenberg, specificando che è “imperativo ri-energizzare il processo di pace”, come auspicato, in un editoriale, da Madeleine Albright e Federica Mogherini. Un eventuale ritiro, ha sempre sostenuto l’Alleanza, dovrebbe essere legato alla buona riuscita dei negoziati intra-afghani senza dimenticare “verifiche sulla situazione sul campo” e “strette consultazioni nelle prossime settimane”.

È invece stata trovata la quadra per potenziare la missione in Iraq dove la situazione, come dimostrato dal recente attentato di Erbil, rimane difficile. Lo sforzo internazionale contro il terrorismo si è esplicato infatti con la Coalizione internazionale anti-Isis, ma già a inizio settembre gli Stati Uniti avevano deciso un ritiro parziale degli uomini schierati, passando da 5.200 a 3.000 mentre la NATO, su decisione dei Ministri della Difesa, rafforza la “training mission’, a supporto alle forze irachene e curda, che passerebbe da 500 a 4mila unità. Tale decisione è “contraria alla volontà del popolo iracheno”, ha dichiarato Badr al Ziyadi, membro della commissione parlamentare per la sicurezza e la difesa, in un’intervista all’emittente ‘Sumaria news’, annunciando che “non torneremo indietro sulla decisione del parlamento. La Camera dei rappresentanti ha già deciso di rimuovere tutte le forze straniere dall’Iraq, e quindi la decisione della NATO di aumentare il numero delle sue forze in Iraq è una misura contraria alla volontà del popolo iracheno e alla decisione di Parlamento. Non hanno il diritto di aumentare il numero (di soldati) in nessuna circostanza”.

Per il momento, ha confermato il generale Tod Wolters, il nuovo capo del Pentagono Austin ha invece sospeso di ogni ipotesi di ritiro delle truppe americane dalla Germania. Se è vero che Joe Biden ritiene, come chi l’ha preceduto, che la Cina sia il Primo competitor strategico che “rischia di mangiarci nel piatto a breve” e per questo, insieme ad Austin, ha incaricato a Ely Ratner, di coordinare una nuova task force dedicata al contenimento di Pechino, è altrettanto vero, che anche la Russia resta una minaccia per tutti gli alleati della NATO, compresi gli Stati Uniti, erodendo la trasparenza e la prevedibilità, usando la forza militare per raggiungere i suoi obiettivi. Dialogo e deterrenza rimane la filosofia, ma gli attacchi informatici o le mosse esplicite dei militari russi destano preoccupazione tra gli alleati. Mosca sta intensificando le attività militari nel nord-est della Siria, dove gli Stati Uniti hanno ancora 900 soldati.

Washington e Mosca stanno altresì duellando per accaparrarsi una presenza nell’Artico ricco di risorse. Entro la fine del mese i bombardieri B-1 inizieranno a volare fuori dalla Norvegia per la prima volta al largo della costa occidentale della Russia mentre, poche settimane fa, due bombardieri strategici russi Tu-160 hanno sorvolato le acque internazionali di Barents, Groenlandia e mari norvegesi all’inizio di questo mese.

La NATO ha anche riferito di diversi incontri aerei con la Russia negli ultimi giorni. Il 10 febbraio, aerei da combattimento NATO provenienti da Romania, Bulgaria e Turchia, hanno volato in risposta a diversi bombardieri a lungo raggio Tu-22 russi e aerei da combattimento che volavano vicino al territorio della NATO sopra il Mar Nero. L’aereo russo ha volato senza trasmettere un codice transponder e non ha indicato la loro posizione, altitudine o file un piano di volo.

Mantenere un numero consistente di truppe statunitensi in Germania e più in profondità nel fianco orientale della NATO ruotando le truppe in Romania, Polonia e persino Ucraina per esercitazioni e addestramento invierebbe un messaggio chiaro per contrastare a Mosca.

View of the room as NATO Secretary General Jens Stoltenberg gives a news conference ahead of a NATO defence ministers council at the alliance headquarters in Brussels, Belgium February 15, 2021. Olivier Hoslet/Pool via REUTERS

Il fil rouge è ‘rassicurazione’ che, sebbene non sia stata oggetto di discussione alla ministeriale, gli alleati vorrebbero ricevere da Washington anche in tema ‘nucleare’. Poco prima della scadenza dell’ultimo trattato sul controllo delle armi nucleari strategiche con la Russia, il New START, Biden ha concordato con Putin la proroga per altri cinque anni. Ma tutti gli altri trattati sul controllo delle armi nucleari, compreso il Trattato sulle forze nucleari a raggio intermedio, sono scaduti e Trump si è ritirato dall’accordo nucleare iraniano del 2015, che poneva limiti stretti alla capacità di Teheran di arricchire l’uranio.

“La combinazione di queste sfide aumenta di nuovo l’insicurezza nucleare dei nostri alleati, poiché chiedono se possono continuare a fare affidamento sugli Stati Uniti come hanno sempre fatto”, ha detto Ivo Daalder, ex ambasciatore degli Stati Uniti presso la NATO, sottolineando che “alcuni alleati si interrogano sulla fattibilità e credibilità della garanzia nucleare e di sicurezza degli Stati Uniti”. “L’agenda nucleare di Biden non ha finora ricevuto l’attenzione globale che merita, soprattutto per quanto riguarda la modernizzazione dell’Asia e della Cina”, ha affermato Kevin Rudd, l’ex primo ministro australiano, secondo cui “deve esserci sufficiente fiducia nella deterrenza collettiva”.

“L’ era dell’’America first’ è finita. Sto mandando un messaggio chiaro al mondo: l’America è tornata. L’alleanza transatlantica è tornata “, ha dichiarato Biden in un discorso trasmesso oggi dalla Casa Bianca ai leader occidentali che hanno ascoltato la Conferenza sulla sicurezza di Monaco di Baviera di quest’anno. “E non stiamo guardando indietro, stiamo guardando avanti – insieme.”

Il Presidente francese Emmanuel Macron attende con impazienza una ‘architettura di sicurezza’ transatlantica completamente nuova, che si avvicina alla sua visione di un collettivo difensivo europeo che è armato e può agire in modo indipendente e davanti alla NATO ‘cerebralmente morta’. Biden lo sa, ma non ne ha fatto menzione nelle sue osservazioni, puntando sul riaffermare la fiducia reciproca.

“Ho ascoltato il presidente Biden” e ho apprezzato l’elenco delle “sfide comuni”, ha risposto Macron in francese, “ma abbiamo un’agenda unica”, ripetendo che l’Europa ha i suoi problemi di sicurezza che non dovrebbero sempre richiedere o fare affidamento sulla partecipazione o sul permesso degli Stati Uniti, specialmente per i militari azioni ai confini dell’Europa con il Medio Oriente e il Nord Africa. “Abbiamo bisogno di più Europa per occuparci del nostro vicinato” – ha specificato Macron – “Penso che sia tempo per noi di assumerci molto di più del peso per la nostra protezione.”

Così come è strutturata, la NATO “fu fondata per affrontare il Patto di Varsavia. Non c’è più un Patto di Varsavia”, ha dichiarato il Presidente francese al Financial Times, ma affinché l’idea di Macron funzioni, deve convincere il nuovo Presidente americano, i politici e gli elettori europei e il suo stesso elettorato in Francia, dove le presidenziali si terranno il prossimo anno. Per gli alleati della Francia, sostiene Macron, questo nuovo ordine non rappresenta una minaccia. “È totalmente compatibile. Più di questo … penso che renderà la NATO ancora più forte di prima “, ha detto venerdì. Ma sarebbe anche necessario cambiare cultura e aumentare la spesa per la difesa e agire collettivamente per schierare truppe oltre i confini dell’Europa.

“Il mio mandato è stato quello di provare a reinventare o ripristinare una reale sovranità europea” – aveva  detto poche settimane fa l’inquilino dell’Eliseo – “Penso che siamo in un periodo, in un momento di chiarimenti per la NATO. Penso anche che più l’Europa si impegna a difendere, investire e far parte della protezione del suo vicinato, più è importante anche per gli Stati Uniti, perché questa è una condivisione degli oneri più equa. La questione è la natura del coordinamento alla NATO e la chiarezza del nostro concetto politico e dei nostri obiettivi comuni alla NATO “.

Le tensioni tra Francia e Turchia per il suo posizionamento indipendente in Libia e per i conflitti in mare con i greci ha indotto il presidente francese a chiedere un nuovo sistema che in qualche modo richiede che gli alleati della NATO concordino di lavorare insieme per avere le stesse menti militarmente ma anche politicamente. “L’assenza di qualsiasi regolamentazione, direi, da parte della NATO – l’assenza di intervento per fermare l’escalation – è stata dannosa per tutti noi E improvvisamente uno dei nostri membri ha deciso di ucciderli – perché sono diventati terroristi. Questo è esattamente quello che è successo. La credibilità della NATO, degli Stati Uniti e della Francia è stata completamente distrutta nella regione. Chi può fidarsi di te quando ti comporti in questo modo, senza alcun coordinamento? “

“So che gli ultimi anni hanno messo a dura prova e testato le nostre relazioni transatlantiche, ma gli Stati Uniti sono determinati – determinati – a impegnarsi nuovamente con l’Europa, a consultarsi con voi, a riconquistare la nostra posizione di leadership di fiducia” è stata la replica di Biden che potrebbero dover agire, dimostrando concretamente per un nuovo equilibrio di sicurezza transatlantico meno dipendente dagli USA. E gli alleati NATO non vedono l’ora di appurarlo, ma Stoltenberg avverte: “Ma l’Ue non può proteggere l’Europa. Il 20% della spesa della Nato per la difesa viene dagli alleati della Nato membri dell’Ue. E c’è la geografia. Norvegia e Islanda a Nord, Turchia a Sud e Usa, Canada e Regno Unito a Ovest sono importanti per la sicurezza dell’Europa(…). Ogni tentativo di indebolire la strategica solidarietà tra Europa e Nord America non solo indebolirebbe la Nato. Dividerebbe l’Europa”.