La vittoria di Vetëvendosje! certifica la crisi dei partiti storici, incapaci di dare risposte ai nuovi problemi generati dalla pandemia di COVID-19 e dalla crisi economica, che grava soprattutto sui giovani. Il dialogo con Belgrado si preannuncia in salita, nonostante i buoni propositi di Joe Biden

 

In Kosovo, ieri, domenica 14 Febbraio, in piena pandemia di COVID-19 e nel clou del freddo balcanico, poco più di un milione di elettori si sono recati agli oltre 2300 seggi, nel rispetto delle normative anti-contagio, per prender parte alle elezioni politiche anticipate, il sesto voto nella storia del piccolo Paese e il quinto anticipato in quasi un decennio, a pochi giorni dal 13mo anniversario della dichiarazione di indipendenza dalla Serbia del 17 febbraio 2008.

Il sistema elettorale è proporzionale a lista aperta, senza circoscrizioni. Come è noto, il Kosovo è una repubblica parlamentare, quindi è in capo al Parlamento – composto da una sola camera formata da 120 seggi (20 dei quali destinati esclusivamente ai rappresentanti delle cinque minoranze) e con un mandato quadriennale – il potere legislativo, ma anche quello di designare il Premier, che a sua volta nominerà i componenti dell’esecutivo, e il Presidente della Repubblica. Può essere eletto ogni cittadino che abbia compiuto i 18 anni e che rispetti i parametri legali.

A questo riguardo, sono state 28 le liste elettorali registrate, 47, invece, i candidati (tra cui il leader della forza vincitrice) è stata impedita la corsa. L’affluenza alle urne si è attestata al 45,06%, il miglior risultato dal 2010 quando si registrò il 47%. A spoglio ultimato, sono stati confermati dalla commissione elettorale di Pristina i primi exit poll di ieri sera: l’ampio successo di ‘Autodeterminazione’(Vetëvendosje!, VV), il movimento della sinistra nazionalista facente capo ad Albin Kurti, che conquista il 48,17%. staccando di oltre 30 punti percentuali il Partito democratico del Kosovo(Pdk) – quello del Presidente dimissionario Hashim Thaci e di altri ex leader come lui del Kosovo Liberation Army (UCK), la guerriglia indipendentista albanese che combatté contro i serbi nel conflitto armato del 1998-1999, arrestati per crimini di guerra e attualmente detenuti all’Aja – che raccoglie, di contro, solo il 17,35%. Segue, al terzo posto, la Lega democratica del Kosovo (Ldk) del Premier uscente Avdullah Hoti che non supera il 13,18%, quasi 6 punti percentuali in più del 7,42% raggiunto dell’Alleanza per il futuro del Kosovo(Aak) dell’ex Premier ed ex leader Uck Ramush Haradinaj, che entra per la prima volta in Parlamento. Non supera lo sbarramento del 5% Iniziativa socialdemocratica (Nisma) di Fatmir Limaj che rimanendo inchiodata al 2,59%. Nella comunità serba si è invece ampiamente affermata Srpska Lista(SL), formazione emanazione del governo di Belgrado, che si è aggiudicata tutti i 10 seggi del Parlamento kosovaro che spettano alla minoranza serba.

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Il movimento Vetëvendosje! non conquista per un soffio la maggioranza assoluta, ma porta a casa la vittoria più larga numericamente mai registrata in Kosovo, in quanto consegue un risultato migliore del 45% ottenuto dalla Lega democratica del Kosovo (Ldk) nel 2004, prima dell’indipendenza. Il crollo dei partiti storici, avviati sulla strada della seconda fila se non proprio dell’opposizione dopo vent’anni di governo, è sancito dal forte distacco che separa Vetevendosje dal Pdk, il quale, nonostante il calo di consensi rispetto alle elezioni dell’Ottobre 2019, si riprende il secondo posto. Ancor più amara la delusione del partito uscente Ldk.

Il raddoppio dei consensi del Movimento Vetevendosje – che aveva già vinto, ma con pochissimo distacco rispetto al Ldk, le elezioni di due anni fa (con quasi il 27% dei voti) – conferma quanto già espresso dai cittadini due anni fa certifica, dunque, la crisi dei partiti tradizionali, i cosiddetti ‘partiti di guerra’, la cui corruzione è stata una dei principali temi di campagna elettorale di Kurti il quale ha presentato il voto come “un referendum” per il futuro del Paese: “È diventato chiaro che questa elezione era un referendum, e questo referendum su giustizia e occupazione è stato vinto. Domani è un nuovo giorno. La strada da percorrere è lunga, ma il nostro obiettivo è buono e nobile, e io sarò aperto”, ha dichiarato il leader del Vetevendosje.

A rafforzare le critiche fatte dal Vetevendosje alla corruzione dell’establishment, la decisione della Commissione elettorale centrale kosovara di non convalidare 47 candidature (tra cui quella del leader Kurti e di altri 4 esponenti del VV) per il voto. L’esclusione dell’ex premier Kurti era da ricercare nella sentenza a suo carico per il lancio, nel 2015, di gas lacrimogeni in Parlamento – per sabotare la votazione circa la ridefinizione dei confini con il Montenegro e la concessione di maggiori libertà alle municipalità serbe – a cui parteciparono anche i suoi attuali compagni di partito Albulena Haxhiu, Liburn Aliu, Bajram Mavriqi e Labinote Demi Murtezi, anch’essi non abilitati a correre per la prossima tornata elettorale. Kurti e l’ex Ministro della Giustizia Haxhiu sono stati condannati ad una pena poi sospesa da un tribunale di Pristina nel Gennaio 2018, ma questo non è bastato per evitare l’esclusione, dato che c’è una legge che vieta la candidatura di individui che abbiano violato il codice penale nei tre anni precedenti alle elezioni. Legge che è poi la stessa da cui, come si vedrà, è partita la decisione della Corte costituzionale di dichiarare illegittimo il governo Hoti.

“I voti per una persona la cui candidatura non è stata certificata per le prossime elezioni parlamentari in Kosovo non saranno considerati non validi, anche se non rientreranno nel computo ufficiale della commissione elettorale centrale”, avrebbe poi spiegato nei giorni scorsi il rappresentante del Movimento Vetevendosje! presso la commissione elettorale centrale del Kosovo, Sami Kurteshi, non escludendo la possibilità che Kurti possa comunque diventare premier, avvertendo, tuttavia, che “stanno provando a distruggere tutto in questo Paese. I reclami del Partito democratico del Kosovo (Pdk) e della Lega democratica del Kosovo (Ldk) secondo cui i voti possono essere dichiarati invalidi non hanno senso. Il Pdk e l’Ldk sono riusciti a creare confusione su questo”.

A spiccare al fianco di Kurti, la 38enne Presidente ad interim (dopo le dimissioni di Thaci) Vjosa Osmani il cui contributo autonomo (non da candidata del VV), in termini di voti, alla vittoria di Vetevendosje! è stato determinante. Va ricordato, infatti, che Osmani aveva lasciato, nella scorsa legislatura, da Presidente del Parlamento, il partito di centro-destra, la Lega democratica del Kosovo, per correre insieme all’ex Premier Kurti nella “battaglia contro la corruzione” dilagante nei partiti tradizionali. L’uscita di Osmani dal Ldk era stata una conseguenza della rottura dell’alleanza di governo con il VV (che aveva garantito la premiership a Kurti): dopo le ennesime tensioni sull’azione dell’esecutivo, nel Marzo 2020, la Lega, che si era aggiudicata il 24% alle elezioni del 2019, decise di non votare la fiducia a Kurti, dopo neanche 52 giorni di governo, per poi formare un nuovo esecutivo, sostenuto dalle forze più centriste presenti in Parlamento e guidato da Avdullah Hoti.

La fondazione di Guxo! (“Osare!”) da parte di Osmani e l’inizio del lavoro insieme risale al giugno 2020, a partire dal quale la loro richiesta di ritorno alle urne al grido dello slogan della lotta alla vecchia élite e alla corruzione dentro di essa su è fatta via via più forte. Ma non si sarebbe avverata se, il 22 Dicembre, la Corte costituzionale non avesse stabilito che il voto di fiducia al governo Hoti, passato per un solo voto, era illegittimo visto che includeva anche il sostegno di Etem Arifi, un deputato della maggioranza condannato ad un anno e tre mesi per frode. Il che rendeva illegittimo anche il governo che dovette rassegnare le dimissioni.

“Il Kosovo ha votato per un futuro luminoso”, ha affermato ieri sera con soddisfazione la Presidente Osmani, sottolineando che “abbiamo tutti aspettato molto tempo per questo cambiamento. Siamo consapevoli del peso che avremo a causa della fiducia che è stata riposta in noi. Questo governo sarà il tuo governo e la tua voce sarà la nostra voce”. Nell’accordo pre-elettorale in cui Kurti era il candidato per la guida del governo, era previsto per lei un ruolo di Presidente del Parlamento ma, dato il grande apporto e in funzione di un totale ricambio della classe dirigente, non è da escludere una sua candidatura a nuovo capo dello Stato.

Con la generazione dei capi guerriglieri dell’UCK in gran parte emarginata e con tanti di loro in carcere con l’accusa di crimini di guerra, il movimento VV ha incanalato la voglia di cambiamento. Vetëvendosje! può essere ricondotto nell’alveo dei valori socialdemocratici, che non demonizzano l’intervento dello Stato se funzionale al benessere economico del Paese. “Dobbiamo unirci tutti ed essere parte della storia il 14 febbraio”, aveva esortato Kurti in un video messaggio prima della fine della campagna elettorale, rimarcando come si trattasse di “un referendum in cui conta ogni singolo voto”, a partire da quello dei giovani che, specie coloro nati (più del 50%) dopo la guerra di cui non hanno memoria, costituiscono la metà dell’elettorato di VV. A loro si era rivolta anche Osmani: “Queste elezioni, prima di tutto, riguardano voi ed il vostro futuro” e sono “l’occasione unica per dare un futuro al nostro Paese”. Convincere la fascia più giovane della società, quella tra i 18 ed i 35 anni, è stata l’asso nella manica del VV in quanto trattasi di una delle componenti più importanti della popolazione kosovara, soprattutto se si considera che per oltre 25mila diciottenni (su poco meno di 2 milioni di abitanti), queste elezioni sarebbero state il primo voto della vita. Anche a ciò è dovuta la forte connotazione nazionalista che richiama ad un ritorno alla ‘Grande Albania’ – è stata tirata fuori anche l’ipotesi di un referendum per l’unificazione da attuare entro il 2025 – e poi si rispecchia nella rigida posizione sul dossier serbo e, in particolare, sulla possibilità di uno scambio di territori tra Serbia e Kosovo.

Considerata la retorica nazionalista e anti-establishment del VV, era quasi scontato che gli elettori più giovani fossero facili prede delle sirene della sinistra di Kurti: sono le giovani generazioni, del resto, quelle che più risentono delle conseguenze della lotta alla pandemia di coronavirus (che ha causato 1500 morti in Kosovo) – per combattere il quale il Paese è ancora senza vaccini, ma qualcosa si sta muovendo da parte di Pechino – della crisi economica, della corruzione e che spesso non hanno altra scelta che emigrare.

“I giovani, le donne e la diaspora sono i veri vincitori di stasera”, ha rivelato Kurti: infatti, se i giovanni figuravano già tra i principali elettori del VV, la collaborazione Osmani ha rinsaldato la componente femminile dell’elettorato, già testimone del breve esecutivo di inizio 2020, per un terzo composto da donne: una vera e propria trasformazione se si pensa che nel governo Haradinaj ci fu solo una donna su 21 ministri. Infine è arrivato l’aiuto dei tanti kosovari che vivono nel resto d’Europa, e che hanno fiutato in Vetevendosje! la possibilità di un riscatto.

“Giustizia e lavoro” sono le priorità, ha ribadito Kurti davanti ai sostenitori radunati davanti alla sede del partito a Pristina per festeggiare la vittoria. La pandemia di coronavirus ha causato una contrazione della crescita dell’8,8% nel 2020 e oltre 92 mila posti di lavoro sono andati persi. Se si considera che il 30% della popolazione, ossia 800mila kosovari sono emigrati all’estero, e che le loro rimesse rappresentano il 15% del PIL, ben si comprende lo stato di prostrazione.

I partiti tradizionali hanno dato l’impressione di offrire le vecchie e obsolete soluzioni per risolvere i nuovi problemi legati ad una delle crisi nazionali e mondiali più gravi dal 1999. L’instabilità politica cronica cui sembra condannato il Kosovo, visto che dall’indipendenza dalla Serbia nel 2008, nessun governo è mai riuscito a concludere la legislatura, è via via divenuto uno strumento in mano ai partiti per mantenere il potere, ma con effetti catastrofici sullo sviluppo del Paese. E questo non ha fatto altro che alimentare il malcontento dei cittadini, in particolare i più giovani. Le promesse di Kurti vanno dalla lotta alla corruzione, alla maggiore uguaglianza, alla più forte redistribuzione, alla creazione di posti di lavoro. Una scala di priorità ambiziosa, ma che per realizzarsi, non può prescindere dalla stabilità.

Quindi, scontro generazionale è poi anche conflitto forze politiche in crescita e vecchi partiti in rotta come il Pdk che affonda le sue radici politiche nell’Uçk (l’esercito di liberazione nazionale), tentando di incarnare valori tendenzialmente nazional-conservatori. La svolta arriva nel 2013 quando il partito, che esprimeva l’allora Primo Ministro, Hashim Thaçi, si moderò e mutò in senso europeista sottoscrivendo un accordo per riconoscere l’autonomia dei comuni serbi nel nord del Kosovo che comportò la sigla dell’accordo di associazione e stabilizzazione con l’Unione europea. Dal canto suo, lo stesso percorso ha affrontato l’altro partito dell’establishment, la Lega Democratica del Kosovo (che esprime il Premier uscente Hoti) che nasce come movimento indipendentista di estrema destra, ma si avvia verso la moderazione sotto la guida di Ibrahim Rugova.

Entrambi, sia Ldk sia Pdk, hanno riconosciuto immediatamente la vittoria del Vetevendosje!, rendendo noto, però, che non sono disponibili a formare coalizioni con il partito vincitore. “Il popolo del Kosovo ha parlato e la sua volontà deve essere rispettata. I risultati danno il Movimento Vetevendosje al primo posto, seguito al secondo posto dal Pdk”, ha dichiarato il leader del Pdk, Enver Hoxhaj, congratulandosi con il partito di Kurti e con Osmani invitandoli a “lavorare per rafforzare lo Stato del Kosovo. Il Pdk non sarà parte di un governo con il Movimento Vetetevendosje in quanto i nostri orientamenti politici sono molto differenti” – ha tenuto ad evidenziare Hoxhaj – poiché il Kosovo ha bisogno di stabilità e per questo il Pdk agirà come “fattore di equilibrio” dall’opposizione.

Dello stesso tenore le dichiarazioni del partito di governo uscente: “Faremo i cambiamenti necessari e l’Ldk lavorerà duramente per tornare e ricostruire la visione rugoviana per il Paese”, ha precisato il leader dell’Ldk, Isa Mustafa, ringraziando comunque il premier uscente Avdullah Hoti “per l’eccellente lavoro” fatto in questi mesi al governo. Hoti, però, non si è tirato indietro dall’assumersi la responsabilità della sconfitta elettorale: “Sarò sempre grato per l’opportunità che l’Ldk mi ha dato e proteggeremo gli interessi dello Stato con un opposizione costruttiva”. Una posizione leggermente più dura rispetto alla mancanza di “linee rosse” sulla possibilità di formare coalizioni post elettorali che Hothi aveva messo in chiaro prima del voto, auspicando, tuttavia, che “l’Ldk otterrà alle elezioni parlamentari di domenica un risultato migliore rispetto a quello raggiunto nel 2019 grazie al lavoro svolto dal governo negli ultimi mesi”.

Non essendo riuscito il Movimento Vetevendosje a conseguire a maggioranza assoluta di 61 seggi, che gli avrebbe dato il diritto di governare da solo, dovrà necessariamente tentare di formare una maggioranza di governo, magari potendo contare sul sostegno dei partiti delle minoranze nazionali o proprio dell’Aak che non ha escluso possibili alleanze mentre il suo leader Ramush Haradinaj ambirebbe a conquistare la presidenza della repubblica. Una merce di scambio per far ingoiare all’Aak l’alleanza per il governo mentre Ldk e Pdk che non hanno ancora annunciato ufficialmente i loro candidati per sostituire Thaci e mettere all’angolo il VV. Anche perché Haradinaj e Kurti hanno in comune alcuni punti ideologici come i piani di una possibile unione tra Kosovo e Albania, ma soprattutto solo così il leader dell’Aak potrebbe tentare di raggiungere l’obiettivo visto che il VV ha già promesso la candidatura a capo dello Stato alla Osmani.

Ricordiamo, a questo riguardo, che anche la massima carica dello Stato è vacante in Kosovo dopo che Hashim Thaçi si è dimesso dall’incarico di capo dello Stato poiché accusato per crimini di guerra dalla Kosovo Specialist Chamber(KSC), la corte di diritto kosovaro con sede all’Aia, ed è adesso in attesa di processo. Thaçi combatté per l’indipendenza dalla Serbia di Slobodan Milosevic ed in quel periodo divenne popolare col nome di battaglia Gjarpëri, il “Serpente”, rendendosi responsabile dell’uccisione di almeno 100 tra serbi, albanesi, rom e oppositori politici.

Spetta al nuovo Parlamento di Pristina eleggere il capo dello Stato per il prossimo quinquennio con un voto in calendario entro il mese di marzo. Per eleggere il capo dello Stato è necessaria una maggioranza di due terzi, che è impossibile ottenere senza un accordo più che bipartisan in Parlamento, difficile da trovare senza coinvolgere Vetevendosje.

In questo senso la candidatura di Haradinaj a Presidente potrebbe non risultare troppo gradita, anche nella comunità internazionale, in considerazione del fatto che – come l’ex capo dello Stato Hashim Thaci – il leader dell’Aak si è dovuto dimettere (da Premier) per le accuse di crimini di guerra da parte del Tribunale speciale Uck dell’Aia.

”I cittadini del Kosovo sono europeisti e l’Ldk è l’unico partito integrato nella famiglia politica europea, parte del Partito popolare europeo. Questa strada è stata tracciata dal presidente Rugova, la cui filosofia politica era incentrata sull’integrazione euro-atlantica e l’amicizia permanente con gli Stati Uniti”, aveva detto poche settimane fa Hothi, presentando il suo partito come l’unica forza credibile dal punto di vista internazionale.

Il Kosovo – occorre ribadire – non ha ancora ottenuto il riconoscimento da parte di diversi Stati tra cui Serbia, Russia, Cina e 5 Paesi membri Ue (Spagna, Cipro, Grecia, Slovacchia e Romania). Soprannominato il ‘Che’ kosovaro, Albin Kurti è accusato dai suoi oppositori di avere piani ‘dittatoriali’ e posizioni provocatorie oltre che radicali e anti-serbe e, a differenza dell’Ldk, di rappresentare una potenziale minaccia alla relazione speciale tra il Kosovo e gli Stati Uniti.

Il tentativo di costruire una relazione tra i due Paesi è iniziato, tutto in salita, nel 2011 e vive da anni un forte rallentamento nonostante le mediazioni di Unione europea e Stati Uniti. In seguito al tentativo di distensione tra i due Paesi, iniziato a Washington lo scorso settembre su impulso dell’ex Presidente Donald Trump, tradotto in un ‘non accordo’ che non ha portato ad altro se non al riconoscimento reciproco tra il Kosovo e Israele funzionale agli Accordi di Abramo, una settimana prima dell’insediamento di Joe Biden, il Presidente ad interim Vjosa Osmani aveva già reso nota l’idea di ridiscutere l’intesa, mossa in particolare dall’egoismo elettorale dell’allora inquilino della Casa Bianca.

Il neo Presidente Joe Biden ha scritto, pochi giorni fa, alla Serbia di Aleksandar Vucic per esortarla a riconoscere il Kosovo, ma già a novembre il Presidente serbo, aveva indirizzato un appello al neo-eletto Biden di prevenire le escalation di tensione, evitando di “lasciare ai nostri figli un conflitto congelato”.

Chiaramente la vittoria di Kurti non aiuta di certo il dialogo tra Pristina e Belgrado. «Questo tema è al sesto o settimo posto. Le nostre priorità sono le riforme, la giustizia e il lavoro», ha detto Kurti non lasciando presagire niente di buono per la buona riuscita del processo che impatta sulla vita quotidiana, soprattutto sulla circolazione di merci e di persone, sull’erogazione di energia elettrica e sulle telecomunicazioni. Eppure, quello che Vetëvendosje pretende dalla nuova amministrazione statunitense sarebbe un ritorno al passato, quando gli Usa erano il principale sponsor solo per il riconoscimento ufficiale del Kosovo come Stato a tutti gli effetti soffocando le richieste di Belgrado, mai tenute in alta considerazione così tanto da Washington come negli ultimi quattro anni. Per i nazionalisti di Vetëvendosje e Guxo!, e cioè di Kurti e Osmin, il progetto vero di unificazione deve guardare all’Albania, ribadendo più volte la promessa nel voler sottoporre la popolazione a un referendum, con Tirana convitato di pietra e calpestando , le aspirazioni delle minoranze serbe, spinte da Belgrado, di una costruzione della ‘Grande Albania’.

Il dibattito politico in Kosovo è, peraltro, molto polarizzato su questo punto: parte della classe politica, come quella che fa riferimento a Vetëvendosje!, ritiene necessaria l’adozione di misure economiche e diplomatiche, come i dazi applicati ai prodotti serbi imposti dal governo di Ramush Haradinaj, che costringano la Serbia all’apertura e al riconoscimento del Kosovo. D’altra parte, i partiti più conservatori come Pdk e Ldk sostengono invece un approccio più soft tanto da ipotizzare il ricorso a strumenti come il ‘land swap’, cioè lo scambio tra i territori a maggioranza albanese nel sud della Serbia con le città serbe del nord del fiume Ibar.

È probabile che Kurti – che parla il serbo  ed ha sempre rimandato al mittente le critiche di discriminazione per i suoi vecchi progetti nazionalistici di unione del Kosovo all’Albania, dicendosi convinto che quello negli anni Novanta sia stato un conflitto tra il popolo albanese e lo stato serbo – cercherà innanzitutto un dialogo coi rappresentanti locali dei serbi del Kosovo, specialmente quelli di Mitrovica, e degli altri tre comuni a nord del Paese.

Il tutto non farà altro che complicare il compito già difficile del mediatore europeo Miroslav Lajcak.”Aspettiamo con impazienza l’insediamento del nuovo Parlamento e del governo, nonché l’elezione del nuovo presidente”, scrivono l’Alto rappresentante dell’Ue, Josep Borrell, e il commissario Ue per l’Allargamento, Olivér Varhelyi, a proposito del voto di ieri in Kosovo, sottolineando che “l’Ue continuerà a collaborare con le autorità per sostenere il Paese nel raggiungimento di progressi tangibili lungo il percorso europeo”, che passa attraverso “riforme” strutturali e “cooperazione regionale. “L’Ue ha dispiegato una missione di esperti elettorali che rimarrà in Kosovo per seguire le procedure post-elettorali e formulare raccomandazioni”, aggiungono Borrell e Varhelyi, precisando che l’integrazione europea di Pristina “passa anche dalla normalizzazione” delle relazioni “con la Serbia”. Per questo, Bruxelles “confida che le nuove autorità” kosovare “collaborino in modo costruttivo nell’ottica del proseguimento degli incontri del dialogo mediato dall’Ue e colgano l’opportunità che hanno per raggiungere un accordo globale”.