Stati Uniti ed Europa si ritrovano in Cornovaglia grazie a Joe Biden. Il contrasto a Pechino è una priorità per Washington, ma, nel Vecchio Continente, Germania e Italia in primis preferiscono la cautela

 

L’atmosfera di questo G7, il primo fisico dallo scoppio della pandemia di Covid-19,  è sembrata essere quella di una sintonia ritrovata, quella tra le due sponde dell’Atlantico, dopo una lunga traversata nel ‘deserto trumpiano’: è apparso plasticamente il tentativo del nuovo Presidente americano Joe Biden di rilanciare, come del resto aveva chiarito alla vigilia del viaggio che lo avrebbe portato nel Vecchio Continente, il legame transatlantico tra Stati Uniti ed Europa. Una relazione che quattro anni di Presidenza Trump avevano messo a dura prova all’insegna dell’’America First’.

‘America is back’, ma anche il multilateralismo ‘is back’, sancendo, di fatto, l’importanza di concordare la linea insieme. L’obiettivo – ambizioso, ma non per questo impossibile – è figlio non solo della volontà di rinsaldare la solidarietà transatlantica in sè, ma soprattutto della necessità, ribadita più volte dallo stesso nuovo inquilino della Casa Bianca – di serrare i ranghi perché l’unione fa la forza nella creazione di una sorta di ‘Lega delle democrazie’, di cui il G7, ormai ‘club politico’, diviene esempio lasciandosi alle spalle la peculiarità economica che lo aveva ormai mandato in declino con l’emergere di nuovi grandi Paesi.

Una ‘Lega delle democrazie’ da contrapporre alla ‘Lega delle autocrazie’ di cui Russia e Cina sono punta di lancia. La Cina, infatti, è stata un tema caldo sul tavolo dei sette leaders in Cornovaglia tanto che, secondo alcune indiscrezioni, si sarebbe avvertita la freddezza e la cautela espresse a riguardo dagli europei, in primis dalla Cancelliera tedesca Angela Merkel, peraltro appoggiata dal Premier italiano Mario Draghi.

È vero, nel comunicato finale, per la prima volta nella storia del forum, i Sette Grandi, su forte spinta degli Stati Uniti, richiamano Pechino a rispettare i diritti umani della minoranza etnica degli uiguri nella regione dello Xinjang, e l’autonomia di Hong Kong e Taiwan, oltre ad auspicare una nuova indagine sulle origini del coronavirus che ha provocato la pandemia da COVID-19, dopo che nelle ultime settimane la teoria della fuoriuscita da un laboratorio è tornata alla ribalta tanto da spingere Biden a richiedere un’indagine a scadenza trimestrale dell’intelligence americana.

Gli europei hanno provato a rimanere sulle loro posizioni, ma alla fine gli Stati Uniti hanno fatto sentire il loro peso anche se, considerati i sempre più crescenti interessi economici europei, ma specialmente quelli di due grandi Potenze manifatturiere come la Germania e l’Italia quando si tratta di Cina – si ricordi il viaggio in Europa di Xi Jinping nel 2019 – non è anomalo che i rispettivi leaders abbiano mediato per attenuare i toni del documento finale, anche perché la collaborazione con il Dragone è necessaria se si vuole, per esempio in sede G20, combattere efficacemente il cambiamento climatico o le disuguaglianze. Come d’altra parte ha sottolineato Draghi quando ha sostenuto che “Si è parlato di divisioni tra il presidente americano e l’Italia e la Germania. Il comunicato riflette perfettamente la posizione nostra in particolare rispetto alla Cina”, ha chiarito il presidente del Consiglio italiano, a partire dall’idea che “nessuno disputa che la Cina ha diritto di essere una grande economia, ma quello che è stato messo in discussione sono i modi che utilizza: bisogna essere franchi, cooperare ma esser franchi sulle cose che non condividiamo”. A detta di Draghi, “il tema politico dominante è stato quale atteggiamento debba avere il G7 nei confronti della Cina e in generale di tutte le autocrazie, che usano la disinformazione, i social media, fermano gli aerei in volo, rapiscono, uccidono, non rispettano i diritti umani, usano il lavoro forzato. Tutti questi temi di risentimento nei confronti delle autocrazie sono stati toccati e condivisi. In questo senso è stato un vertice realistico: c’era contentezza per l’economia ma non si sono persi di vista i problemi”. A fare eco al Premier italiano, il Presidente francese Emmanuel Macron che ha voluto sottolineare come il G7 «non è un club ostile alla Cina, ma esistono divergenze in merito al rispetto dei diritti umani e al lavoro forzato».

Ciò non toglie che Pechino debba essere contrastata anche sui terreni che dove si ritiene ormai in vantaggio: ed ecco spiegata la ragione della proposta nota come ‘Build Back Better for the World’ (3BW) che dovrebbe andare a competere e a fare da contraltare al progetto cinese del ‘One Belt, One Road’ (OBOR), cioè la Nuova Via della Seta, aiutando i Paesi più fragili nella costruzione di infrastrutture nel pieno rispetto dei diritti umani, della sostenibilità ambientale e della sovranità dei Paesi destinatari che, invece, sarebbe minacciata dalla ‘trappola del debito’ lanciata dal Dragone. Un’alternativa globale, ha ricordato la presidente della Commissione Europea Von der Leyen che «al contrario della strategia cinese sarà senza vincoli per i Paesi partner». Stando alle stime dell’Economist, soltanto in Africa la Cina avrebbe già distribuito 145 miliardi di dollari di prestiti, molto legati alla BRI. Se dei dettagli si sa ancora poco o nulla tranne che assorbirà 40 trilioni di dollari USA (28,4 trilioni di sterline), il 3BW dovrebbe riguardare Eurasia, Africa e America Latina, insomma tutti i possibili poli di contesa egemonica tra Washington e Pechino, ma alla base ci sarebbe la sfida dell’ammodernamento delle infrastrutture che, dovrebbe coinvolgere le banche centrali, ma anche istituzioni private per emettere più debito per finanziare tali progetti.

Il punto interrogativo è se saranno disposte ad investire in contesti di grande rischio. Come insegna l’esperienza del porto greco del Pireo, fu il colosso cinese COSCO a prendere l’iniziativa una volta che la Grecia, incapace di trovare investitori europei, decise di aderire alla Belt and Road Initiative. Questo quesito rimanda a quello ancora più grande che riguarda la volontà dei Paesi europei di mettersi in una posizione di così forte dialettica con Pechino e, in seguito, a quello in merito al quanto i Paesi del G7 sono pronti a sborsare, considerato che potrebbe essere quasi impossibile eguagliare i tassi di prestito cinesi, i più vantaggiosi, a cui si aggiungerebbero i costi per la sostenibilità sociale e ambientale. Domande lecite che, tuttavia, non possono non considerare che è improbabile che queste iniziative concorrenti metteranno da parte le ambizioni della Cina, nonostante le prove che la Cina si stia ritirando dalla precedente scala di Belt and Road.

Certo è che il messaggio che l’amministrazione Biden ha inviato a chiare lettere a tutti gli alleati europei è che alcuni sdirazzamenti sul dossier cinesi non saranno tollerati. Non ci possono essere anelli deboli. Non a caso il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha annunciato che l’Italia «valuterà con attenzione» l’accordo sulla Via della Seta nelle stesse ore in cui i leaders del partito di maggioranza relativa, il M5S, Beppe Grillo e Giuseppe Conte venivano invitati dall’ambasciatore cinese a Roma. Ciò nonostante, è interessante chiedersi fino a che punto l’Europa sarà disponibile a spingersi per seguire gli Stati Uniti sul fronte cinese.

“Il G7 e l’Occidente hanno finalmente capito cosa significhi la Cina. In passato, ognuno la vedeva a modo suo: un Paese in via di sviluppo, un grande mercato, un competitore sistemico. Ora c’è un approccio comune, il segnale che abbiamo compreso il livello della sfida e che dobbiamo affrontarla insieme” ha affermato Manfred Weber, Presidente dei deputati del Partito Popolare europeo al Parlamento di Strasburgo in un’intervista al ‘Corriere della Sera’, commentando quanto emerso dal G7 sui rapporti con la Cina. “Apprezzo molto il linguaggio duro del comunicato finale sul rispetto dei diritti umani e il diritto alla libertà, nel caso degli uiguri e di Hong Kong, ma le parole non bastano. È tempo di investire”, ha rimarcato Weber, per poi ricordare che “per noi europei, per esempio, significa mettere a punto una politica molto più ambiziosa per l’Africa, anche per la lotta alla pandemia. In generale dobbiamo svegliarci da un approccio troppo ingenuo: prima di fare qualsiasi cosa, è importante proteggere più efficacemente la nostra industria dall’assalto degli investitori cinesi, soprattutto statali. La Commissione ci sta lavorando”. Il premier italiano Draghi nei mesi scorsi ha bloccato l’acquisto di un’azienda italiana di componenti per semiconduttori da parte di una holding cinese. “Faccio i complimenti a Mario Draghi, ma abbiamo bisogno di un approccio a livello europeo contro le compagnie cinesi finanziate dallo Stato – ha continuato – la Cina deve rispettare le regole del Wto e quelle del mercato del lavoro, non usando lavoratori forzati. Una competizione internazionale ha regole uguali per tutti, rispettate da tutti. Questo è il messaggio del G7 e dell’Occidente. Usa e Ue insieme rappresentano il 50% del Pil mondiale e hanno il potenziale per imporre questo nuovo corso”. Infine, il Presidente Weber ha spiegato come in generale “il successo” del governo Draghi ”è nell’interesse dell’Italia e del futuro dell’Europa. In questa fase di transizione, Draghi può indicare all’Europa la giusta direzione”, ha concluso.

La Cina, d’altra parte, già due giorni fa aveva replicato critiche mossele dal summit in Cornovaglia sostenendo che “sono terminati i giorni in cui le decisioni globali” vengono “dettate da un piccolo gruppo di Paesi”. Ieri, poi in risposta a quanto rimproveratole in tema di diritti umani, Pechino ha risposto tramite la sua ambasciata a Londra: “Il G7 sfrutta le questioni relative allo Xinjiang per condurre una manipolazione politica e interferire negli affari interni della Cina, cosa a cui ci opponiamo fermamente”. Il portavoce della legazione, nella nota, ha accusato il G7 di “bugie, voci e accuse infondate”. L’origine sull’epidemia del Covid-19 ”è una questione scientifica”. La Cina “ha sempre mantenuto un atteggiamento aperto e trasparente e ha assunto un ruolo guida nella cooperazione sulla sua tracciabilità con l’Oms”. A ribadirlo una portavoce dell’ambasciata cinese a Londra. La portavoce ha ribadito che non bisogna “politicizzare”, ma seguire un lavoro svolto in “modo scientifico, obiettivo ed equo”, glissando sulla richiesta di nuova indagine. “Il gruppo di esperti Cina-Oms ha condotto ricerche in modo indipendente, scrivendo rapporti indipendenti, seguendo le procedure dell’Oms e adottando metodi scientifici”.

La grande attenzione rivolta alla Cina non ha oscurato il suo più importante alleato, il convitato di pietra, la Russia, ex esponente del G7 quando era G8, fino al 2014, l’anno della crisi ucraina. Soprattutto in vista del summit di dopo-domani tra Biden e Putin, i leader in Cornovaglia hanno dedicato parte del dibattito alle operazioni di disinformazione, alla cybersicurezza, alla crisi bielorussa e Ucraina. Il timore europeo, d’altra parte, è che il focus sulla Cina distragga gli Stati Uniti da una Russia sempre più minacciosa o, almeno, percepita come tale soprattutto nel Vecchio Continente. I leader del G7, nel comunicato finale, hanno chiesto a Mosca “di indagare e spiegare in modo credibile l’uso di armi chimiche sul suo territorio, di mettere fine alla stretta sui media e di identificare e ritenere responsabili coloro che, all’interno dei suoi confini, conducono attacchi ransomware e compiono abusi sulle valute virtuali“.

Per quanto concerne la sfida climatica, il consenso dei leaders si è trovato su: metà emissioni nocive entro il 2030 rispetto al 2010, contenimento del riscaldamento globale entro 1,5 °C, cancellazione dei sussidi per i combustibili fossili entro il 2025. «Netto contrasto» con le dichiarazioni dei precedenti G7 a cui aveva partecipato l’ex presidente statunitense Donald Trump, colui che aveva ritirato gli Stati Uniti dagli Accordi di Parigi.

In realtà, anche l’ambiente ha trovato spazio nelle discussioni di carattere politico legate alla Cina l’iniziativa Build Back Better World che, da rivale verde della Belt and Road Initiative cinese, intende aiutare i paesi a basso e medio reddito a coprire l’enorme costo delle infrastrutture verdi.

Le discussioni su questo dossier riprenderanno alla Conferenza ONU COP 26 in programma dall’1 al 12 novembre a Glasgow, sempre nel Regno Unito, eppure, secondo gli ambientalisti, al G7 non sarebbe stato preso alcun impegno concreto per vietare le ricerche di nuovi giacimenti di materiali fossili. Per questo Greta Thunberg si è fatta sentire sui social: «La crisi climatica è in rapida escalation. Eppure i leader del G7 sembrano davvero divertirsi nel resort a presentare i loro vuoti impegni sul clima e a ripetere vecchie promesse non mantenute: ovviamente questo richiede una celebrazione con tanto di bistecche e aragoste sul barbecue, mentre jet aerei eseguono acrobazie nel cielo sopra il resort G7!».

La pandemia da Covid-19 non sarà sotto controllo da nessuna parte finché non lo sarà ovunque. In un mondo interconnesso, la salute globale e le minacce alla sicurezza sanitaria non rispettano confini”, evidenziano nel comunicato finale i leader del G7 che hanno trovato subito accordo su questo dossier e che si sono così impegnati a donare oltre un miliardo di vaccini ai Paesi che non li hanno.

“Riconoscendo che porre fine alla pandemia nel 2022 richiederà la vaccinazione di almeno il 60% della popolazione mondiale, intensificheremo la nostra azione per salvare vite umane”, si legge nel comunicato finale del vertice che ricorda come dall’inizio della pandemia siano stati impegnati “8,6 miliardi di dollari nel pilastro vaccini di ACT-A per finanziare l’approvvigionamento di vaccini, inclusi 1,9 miliardi di dollari dall’ultima volta che ci siamo incontrati a febbraio. Ciò prevede l’equivalente di oltre un miliardo di dosi” e cioè nient’altro che una piccola parte degli 11 miliardi di dosi che secondo l’OMS sono necessari per fare in modo che la popolazione mondiale sia vaccinata almeno al 70 per cento.

Quanto all’economia, si trova scritto nel documento, “per mitigare l’impatto della pandemia, abbiamo fornito un sostegno senza precedenti a cittadini e imprese, anche per mantenere i posti di lavoro, tutelare i redditi e mantenere a galla le imprese, per un totale di oltre 12 trilioni di dollari compreso il sostegno fiscale e le misure di liquidità a sostenere le nostre economie per tutto il tempo necessario, spostando il focus del nostro sostegno dalla risposta alla crisi alla promozione di una crescita forte, resiliente, sostenibile, equilibrata e inclusiva nel futuro”. A ripresa avviata, poi, “dobbiamo garantire la sostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche per consentirci di rispondere alle crisi future e affrontare le sfide strutturali a più lungo termine, anche a beneficio delle generazioni future“.

Indispensabile, quindi, “un sistema fiscale giusto: appoggiamo lo storico impegno preso dal G7 il 5 giugno. Continueremo il confronto per raggiungere un consenso su un accordo globale“, con l’obiettivo di “raggiungere un accordo all’incontro di luglio dei ministri delle Finanze e dei governatori delle Banche centrali del G20″. Il riferimento è all’accordo globale su una soluzione equa e su un’ambiziosa global minimum tax di almeno il 15%. Un’occasione imperdibile per i Paesi europei nell’ottica di una maggiore armonizzazione del mercato comune, ma una necessità per l’amministrazione Biden, che è stata la prima a metterla sul tavolo, per fare anche un po’ di cassa a livello nazionale, a fronte dell’ingente piano di rilancio economico che la Casa Bianca ha deciso di impostare.

Non poteva mancare un accenno alla Libia, cui viene chiesto di gestire il voto del 24 dicembre in modo equo ed inclusivo e di ritirare i combattenti stranieri e mercenari dal Paese. “Confermiamo il nostro pieno sostegno all’autorità esecutiva provvisoria impegnata a portare avanti il processo di stabilizzazione a guida libica, facilitato dalle Nazioni Unite nel quadro del processo di Berlino”, sostengono i leader dei Sette Grandi nel comunicato conclusivo. Lo stesso Draghi, reduce da un bilaterale con Biden al margine del G7, ha rimarcato come “noi siamo stati molto attivi in questo periodo con la Libia: c’è grande voglia di collaborare e accettare investimenti, c’è grande attesa nel mondo delle imprese italiane, molti progetti sono stati avviati, ma alcuni per essere seriamente avviati necessitano che ci sia sicurezza nei posti di lavoro”.

A conti fatti, per ironia della sorte, il pomo della discordia, ancora una volta, si è rivelata la Brexit, a partire dal bilaterale tra i vertici dell’Unione europea e Boris Johnson. Anche il Presidente francese Macron ha aggiunto ‘alcool sul fuoco’ ricordando che “l’Ulster e il resto del Regno” sono su due isole diverse. Johnson gli ha replicato che “gli Europei si devono mettere nella testa” che serve flessibilità nell’applicare il Protocollo sull’Irlanda del Nord e che l’integrità del Regno Unito è intoccabile, ma forse dimenticando che nel 2019 fu proprio lui a sottoscrivere il Protocollo che prevede controlli doganali sul mare d’Irlanda e sanzioni in caso di non applicazione. È la cosiddetta ‘guerra delle salsicce’ che rinfocola gli animi della contesa post-Brexit che, tuttavia, con Biden, trova un Presidente americano di famiglia di origine irlandese che appoggia senza dubbio le rivendicazioni europee.

La prossima edizione del G7 è prevista per l’estate del 2022 in Germania, e quasi sicuramente sarà il primo impegno internazionale di colui o colui che prenderà il posto di Angela Merkel nell’incarico di cancelliere tedesco. Andrebbe ricordato, però, che chiunque sarà, è difficile che gli interessi nazionali tedeschi cambino. Lo ha dimostrato anche il fatto che Merkel, nonostante sia agli sgoccioli del suo incarico, non ha mancato di far valere le proprie idee anche a questo G7.

Di sicuro Biden può ritenersi soddisfatto: le due sponde dell’Atlantico sono di nuovo vicine, l’era Trump è ormai alle spalle. Ma la strada per far assumere all’Europa una posizione più rigida nei confronti della Cina è solo iniziata. Però, la musica, intanto, è cambiata: gli Stati Uniti sono tornati al tavolo del dialogo per restarci, speriamo a lungo.