Joe Biden e Vladimir Putin si accordano sull’estensione quinquennale del Trattato per la Riduzione delle Armi Strategiche. Una svolta positiva per il futuro del controllo degli armamenti, ma non necessariamente per le relazioni tra Washington e Mosca

 

È bastata una telefonata al neo Presidente Joe Biden e all’omologo Vladimir Putin per far sì che Stati Uniti e Russiasi accordassero per la proroga del trattato New START (Strategic Arms Reduction Treaty), una delle ultime architravi rimaste del sistema contro la proliferazione delle armi nucleari, in scadenza il prossimo 5 febbraio. La conferma che le reciproche aperture, intensificatesi dopo l’insediamento alla Casa Bianca del Presidente Joe Biden il 20 gennaio scorso, si erano effettivamente trasformate in un tavolo di dialogo concreto era giunta, in primo luogo, dalla portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova mentre il suo omologo a Washington Jen Psaki aveva anticipato affermando che gli Stati Uniti tornavano nell’ordine di idee di estendere l’intesa per un periodo massimo possibile di cinque anni.

“La decisione del Presidente Biden di cercare un’estensione dei cinque anni del New START fa progredire la difesa della Nazione”, aveva  sottolineato in una nota ufficiale l’addetto stampa del Pentagono, John Kirby. “Il rispetto del trattato da parte della Russia – aveva evidenziato – “ha giovato ai nostri interessi di sicurezza nazionale e gli americani sono molto più sicuri con il New START intatto ed esteso; non possiamo permetterci di perdere gli strumenti ispettivi e di notifica del New START; non riuscire ad estendere rapidamente il New START indebolirebbe la comprensione dell’America delle forze nucleari a lungo raggio della Russia”.

Nella sua udienza di conferma dinanzi alla Commissione per le relazioni estere del Senato, il candidato alla Segreteria di Stato di Biden, Antony Blinken, aveva annunciato che gli Stati Uniti avrebbero cercato di estendere il trattato e ha segnalato che avrebbe consultato i senatori “quasi immediatamente” per iniziare il processi.

L’addetto stampa del Presidente russo Putin, Dmitrj Peskov, aveva poi rimarcato che la Russia salutava con favore la volontà politica degli USA su questo argomento, ma che il risultato delle trattative sarebbe dipeso dall’analisi e dalla discussione delle proposte concrete: “La Russia e il Presidente russo hanno più volte difeso la conservazione del trattato New Start, e se gli Stati Uniti dimostreranno la volontà politica di preservare il documento con un’estensione iniziale, ciò potrà solo essere accolto positivamente”.

La volontà, a quanto pare, è stata dimostrata reciprocamente se, dato l’interesse di entrambe le parti ad accelerare i negoziati, non sono state  avanzate condizioni e se, in seguito alla ratifica, qualche giorno fa, da parte della Duma, già oggi il Presidente russo Vladimir Putin ha firmato la legge di estensione del trattato. Nel rispetto della legge degli Stati Uniti, invece, non è richiesta la ratifica dell’accordo da parte del Senato mentre è sufficiente un semplice scambio di note  diplomatiche tra i due governi. È, però, necessario, per l’Amministrazione, trasmettere l’intenzione di estensione alla Commissione per le relazioni estere del Senato e alla Commissione per i servizi armati del Senato.

Del resto, le opzioni non erano molte: se il Trattato non fosse stato esteso, per la prima volta dal 1972, non ci sarebbero stati limiti concordati sui due più grandi arsenali nucleari del mondo ed entrambi i Paesi contraenti sarebbero stati liberi di schierare tutte le armi nucleari che volevano a partire dal 6 febbraio. Come è spiegato nell’articolo XV, la durata di questo trattato è di dieci anni, a meno che non sia sostituita da un accordo successivo. Le parti possono convenire di prorogare il trattato per un periodo non superiore a cinque anni (cioè fino al 2026) previo mutuo consenso delle parti.

Il Trattato tra gli Stati Uniti e la Russia sulle misure per un’ulteriore riduzione e limitazione delle armi strategiche offensive – New START, appunto – è stato firmato nel 2010 a Praga, nella Repubblica Ceca, dai presidenti dell’epoca, Barack Obama per gli Stati Uniti, Dimitri Medvedev per la Russia ed è entrato in vigore il 5 febbraio 2011. Il New START, che ha preso ufficialmente il posto del Trattato di disarmo russo-americano START I (Trattato di riduzione delle armi strategiche), firmato nel 1991 da George Bush e Mikhail Gorbachev, scaduto nel dicembre 2009, fu un chiara dimostrazione, dopo mesi di trattative, della disponibilità dell’allora Presidente Obama a migliorare le relazioni – non solo sugli armamenti – con Mosca, rinunciando anche a un controverso progetto di scudo antimissile che l’amministrazione Bush intendeva installare in Polonia e nella Repubblica Ceca.

Ma cosa prevede nel dettaglio? Ai sensi del Trattato, entrambe le parti sono tenute a rispettare i limiti centrali del Trattato sulle armi strategiche entro il 5 febbraio 2018; sette anni dalla data di entrata in vigore del trattato. Ciascuna parte ha poi la flessibilità di determinare da sé la struttura delle proprie forze strategiche entro i limiti complessivi del Trattato.

Nello specifico, viene imposto il limite di 700 missili balistici intercontinentali (ICBM) schierati, missili balistici lanciati da sottomarini (SLBM) e bombardieri pesanti schierati equipaggiati per armamenti nucleari; 1.550 testate nucleari su missili balistici intercontinentali dispiegati, SLBM dispiegati e bombardieri pesanti dispiegati equipaggiati per armamenti nucleari (ciascuno di questi bombardieri pesanti è contato come una testata per questo limite); 800 lanciatori ICBM schierati e non, lanciatori SLBM e bombardieri pesanti equipaggiati per armamenti nucleari.

Per quanto concerne le modalità di verifica e trasparenza, il trattato, a differenza dei predecessori SALT, ha un regime di verifica che combina elementi desunti dal trattato START del 1991 con nuovi elementi adattati ai limiti e alla struttura del New START: Rose Gottemoeller, capo negoziatore statunitense per New START, ha anche sottolineato l’importanza della configurazione di verifica di New START, dicendo che ha utilizzato ciò che ha funzionato nei trattati precedenti e ha scartato quegli elementi che in precedenza incontravano problemi con l’implementazione. “Alla fine”, ha detto a maggio, “gli Stati Uniti hanno ottenuto ciò che volevano nel nuovo regime di verifica START: procedure di ispezione semplificate a un livello di dettaglio sufficiente per essere efficacemente implementate”.

Le misure di verifica ai sensi del Trattato comprendono ispezioni ed esposizioni in loco, scambi di dati e notifiche relative ad armi e impianti strategici offensivi coperti dal Trattato (circa 20.000 scambi dall’entrata in vigore) – ad esempio, su dove si trovano i singoli missili balistici e bombardieri pesanti e quando vengono testati o trasportati, notifiche di eventuali modifiche di tali dati oltre all’applicazione di identificatori univoci su ICBM, SLBM e bombardieri pesanti – e disposizioni per facilitare l’uso di mezzi tecnici nazionali per il monitoraggio dei trattati.

Le ispezioni, in particolare, sono importanti perché aiutano a verificare le preziose informazioni scambiate tra i due Paesi. Il New START ne prevede 18 all’anno e dall’entrata in vigore del trattato nel 2011, sia gli Stati Uniti che la Russia hanno condotto il numero massimo di ispezioni consentite ogni anno. Le possono essere di due tipi: le ispezioni di ‘tipo Uno’ che si concentrano sui siti con sistemi strategici distribuiti e non distribuiti; le ispezionidi ‘tipo Due’ che si concentrano su siti con solo sistemi strategici non utilizzati. Le attività di ispezione consentite includono la conferma del numero di veicoli di rientro su missili balistici intercontinentali dispiegati e SLBM dispiegati, la conferma dei numeri relativi ai limiti dei lanciatori non dispiegati, il conteggio delle armi nucleari a bordo o collegate a bombardieri pesanti dispiegati, la conferma delle conversioni o eliminazioni del sistema d’arma e la conferma dell’eliminazione delle strutture. Ciascuna parte è autorizzata a condurre dieci ispezioni di tipo uno e otto ispezioni di tipo due all’anno. Quello che rende tali ispezioni cruciali ai fini del Trattato è il brevissimo preavviso con cui gli ispettori possono intraprendere le attività.

L’esercito americano attribuisce un grande valore alle ispezioni del trattato e non ha indicato violazioni. Il Vice Amministratore David Kriete, vice comandante del Comando strategico degli Stati Uniti, ha dichiarato nel luglio 2019 che “quelle procedure di verifica che gli Stati Uniti devono eseguire continuamente forniscono una visione approfondita delle capacità, dei numeri e di tutti i tipi di cose associate alle loro armi nucleari della Russia . ” Se queste procedure fossero scomparse, ha detto, “dovremmo cercare altri modi per colmare le lacune”.

A causa della pandemia di COVID-19, i due Paesi, nel 2020, in base ai dati del dipartimento di Stato Usa, hanno fatto ricorso alle ispezioni in maniera limitata, solo due volte per parte, prima di deciderne la sospensione a tempo indeterminato. Anche le riunioni della Commissione consultiva bilaterale, l’organo di attuazione del trattato, sono state annullate nel 2020. Non è ancora chiaro quando riprenderanno le ispezioni o le riunioni della commissione, ma l’amministrazione Biden dovrebbe compiere ogni sforzo per riavviare in sicurezza queste attività di attuazione del trattato il prima possibile, insieme alle relative discussioni diplomatiche per risolvere eventuali disaccordi sull’attuazione. Senza ispezioni, entrambi gli Stati potrebbero avere meno fiducia nel rispetto del trattato dell’altro.

Sempre nell’ottica del consolidamento della fiducia e della trasparenza, il Trattato prevede anche uno scambio annuale di telemetria su un numero concordato di lanci di missili balistici intercontinentali e SLBM. Per verificare il rispetto degli obblighi del Trattato, è prevista una specifica commissione consultiva bilaterale di tecnici e militari che deve risolvere eventuali contenziosi.

Tuttavia, nel NEW START non viene posta alcuna restrizione ai test, allo sviluppo o al dispiegamento di sistemi di difesa missilistica (attuale o pianificata), alle armi d’attacco convenzionale a lungo raggio – montati su ICBM, SLBM e bombardieri – e alle armi nucleari tattiche. Il Trattato non impone, altresì, alcun limite al processo di aggiornamento e modernizzazione di ICBM, SLBM o bombardieri pesanti purché, nei numeri aggregati, non ci sia un superamento dei tetti inseriti nel Trattato. Questo però non impedisce ai due Paesi di scegliere, in modo del tutto autonomo, in che modo gestire l’effettiva combinazione dei vettori.

Ciò nonostante, “non possiamo permetterci di perdere gli intrusivi strumenti di ispezione e notifica di New START”, ha detto martedì il Portavoce del Pentagono, John Kirby, a cui ha fatto eco Jen Paski, il Portavoce della Casa Bianca: “Il Trattato New START è l’unico vincolante per le forze nucleari russe e costituisce un’ancora di stabilità strategico tra i nostri due Paesi “.

“Il nuovo trattato New START è essenziale per la sicurezza americana e russa, è l’unico trattato che regola i due più grandi arsenali nucleari del mondo”, ha ricordato alla CNN, Daryl Kimball, direttore dell’Associazione per il controllo degli armamenti, dopo aver emesso una nota nella quale dichiarava: “Plaudiamo alla decisione professionale e concreta del presidente Biden e del presidente Putin di estendere il nuovo accordo START di cinque anni, il massimo consentito dal trattato del 2010. Il mantenimento del New START e del suo sistema di verifica migliorerà la sicurezza statunitense e globale, ridurrà le pericolose corse di armi nucleari e creerà il potenziale per misure più ambiziose per ridurre il pericolo nucleare e avvicinarci a un mondo senza armi nucleari”.

La tempestiva estensione del Trattato è, senza dubbio, unitamente ai primi provvedimenti firmati, uno dei segni della volontà della nuova Amministrazione di ‘resettare’ quanto lasciato da quella che l’ha preceduta, marcando una forte discontinuità. In quest’ottica, già in campagna elettorale, tra l’altro, In linea di continuità con quanto fatto da Obama, Biden aveva reso noto che avrebbe perseguito un’estensione del New  START, definendolo “un’ancora di stabilità strategica tra gli Stati Uniti e la Russia”, e che avrebbe usato questo come “base per nuovi accordi di controllo degli armamenti”.

A questo va aggiunto che pochi giorni prima dell’estensione del Trattato, è entrato in vigore il Trattato per la proibizione delle armi nucleari, l’accordo internazionale ratificato già da 50 Stati per la messa al bando completa di tutte le armi atomiche, a cui non aderiscono i Paesi nucleari né la NATO. Sul trattato si era pronunciato anche Papa Francesco, che durante la penultima udienza generale aveva lanciato il proprio appello: “Incoraggio vivamente tutti gli Stati e tutte le persone a lavorare con determinazione per promuovere le condizioni necessarie per un mondo senza armi nucleari, contribuendo all’avanzamento della pace e della cooperazione multilaterale, di cui oggi l’umanità ha tanto bisogno”.

Monito che non deve aver lasciato indifferente il cattolico Presidente Biden anche perché, non va dimenticato, fino a quattro mesi fa, quando alla Casa Bianca c’era ancora Donald Trump, il futuro del New START era tutt’altro che certo: forse proprio per l’incombere delle elezioni presidenziali USA, sottolineando la non convenienza di questo tipo di trattato per Washington, ma senza dimenticare la tendenza a smantellare sistematicamente i più emblematici risultati della Presidenza Obama, fatto sta che i colloqui sulla sicurezza strategica tenutisi a Vienna neii mesi di luglio (27-30) e agosto (17-18), ai quali partecipavano delegazioni formate da esperti e guidate dal viceministro degli esteri russo Sergei Ryabkov e dallo Special Presidential Envoy for Arms Control americano, Marshall Billingslea. erano finiti in un buco nell’acqua.

Le maggiori critiche mosse da Trump riguardavano il fatto che il New START non coprisse tutte le capacità nucleari della Russia che minacciano gli Stati Uniti e i loro alleati, come le armi nucleari non strategiche, nuovi sistemi a raggio intermedio che non sono più vincolati dal Trattato INF e sistemi tecnologicamente nuovi di consegna nucleare che russi Il presidente Vladimir Putin si è vantato. Questi includono un nuovo missile balistico intercontinentale pesante (ICBM; Sarmat), armi ipersoniche (Avangard, Kinzhal), droni sottomarini (Poseidon) e un missile da crociera a propulsione nucleare di portata illimitata (Burevestnik). Inoltre, il trattato era malvisto dal tycoon in quanto non limita nessuna delle crescenti capacità nucleari della Cina, sia a raggio strategico che intermedio, che minacciano le forze statunitensi e la terraferma degli Stati Uniti, nonché gli alleati del Pacifico degli Stati Uniti.

L’amministrazione Trump, per voce dell’inviato Billingslea, aveva quindi imposto alla Russia delle pre-condizioni per salvare il Trattato: la considerazione di tutti i tipi di testate nucleari, anche quelle tattiche; un rafforzamento del sistema di verifica e ispezione (sia in termini di quantità che di qualità); il coinvolgimento della Cina nel Trattato. “Non vogliamo vantaggi unilaterali, ma non vogliamo pure fare concessioni unilaterali”, aveva risposto Ryabkov, aprendo ad una possibile ridiscussione, solo ad estensione avvenuta, ma rifiutando categoricamente ipotesi di inclusione delle armi nucleari tattiche nel Trattato così come di revisione del sistema di verifica che “è stato adeguato precisamente agli obiettivi del trattato. Il regime è sufficiente per garantire affidabile certezza degli sviluppi e non ci sono ragioni per cambiare qualcosa in questo ambito”. Riguardo alla questione cinese, la Russia aveva affermato di rispettare la sovranità e le decisioni cinesi rispetto a colloqui trilaterali. “Per quanto riguarda il formato dei futuri colloqui in generale, abbiamo chiaramente indicato che Gran Bretagna e Francia come i più stretti alleati degli Stati Uniti dovrebbe unirsi a loro”, aveva rilanciato Ryabkov.

Questo stato di cose aveva portato ad un’impasse: il negoziatore americano Marshall Billingslea aveva annunciato che «c’è un’intesa di principio al più alto livello dei nostri governi» per prolungare per qualche tempo, uno o due anni, il New START, a «condizione che l’altra parte accetti in cambio di congelare il suo arsenale nucleare». Parole poi smentite dal Cremlino: «La Russia e gli USA non si sono messi d’accordo su un congelamento dei loro arsenali nucleari». In un comunicato del ministero degli Esteri di Mosca pubblicato online, “la Russia propone di prorogare il trattato New START per un anno e, allo stesso tempo, è pronta, insieme con gli Stati Uniti, ad assumere l’obbligo politico di congelare un certo numero di testate nucleari possedute dalle due parti per questo periodo” e “se questo approccio va bene a Washington, allora il tempo guadagnato grazie all’estensione del New Start può essere utilizzato per condurre negoziati bilaterali globali sul futuro controllo strategico degli armamenti missilistici nucleari con l’obbligo di considerare tutti i fattori che influenzano la stabilità strategica”.”Siamo molto molto vicini ad un accordo”, aveva poi rivelato una fonte dell’amministrazione Trump, ma di lì a pochi giorni le elezioni avrebbero dichiarato la sconfitta del Presidente uscente e l’attendismo strategico russo per un’estensione sarebbe stato premiato.

L’estensione non significa la rimozione degli elementi di criticità, su cui si potrà iniziare a lavorare con più tempo a disposizione, ma è l’emblema dell’ ‘America’s back’ che Biden ha voluto celebrare con il suo arrivo allo Studio Ovale della Casa Bianca. Anche perché, come ha dichiarato in passato lo stesso nei-Presidente, “perseguire il controllo degli armamenti non è un lusso o un segno di debolezza, ma una responsabilità internazionale e una necessità nazionale”.

Responsabilità internazionale, in primo luogo, verso gli alleati e i partner degli Stati Uniti, che, dopo la politica dissennata dell’amministrazione Trump che ha portato all’uscita dagli accordi INF, Open Skies e JCPOA (nucleare iraniano), hanno accolto con favore il segnale di rassicurazione inviato da Washington. “Non dovremmo trovarci in una situazione in cui non abbiamo alcun accordo sulla regolamentazione del numero di armi nucleari nel mondo. . . non possiamo rischiare di perdere il nuovo accordo START senza avere qualcos’altro ” aveva espresso la sua preoccupazione il Segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg.

Questa estensione è “una notizia importante con la quale il nuovo governo americano invia un primo segnale”, ha affermato in un comunicato Heiko Maas, capo della diplomazia tedesca. In effetti, l’estensione del nuovo START aiuta a mantenere il consenso politico interno e alleato a favore della modernizzazione strategica delle forze e della strategia nucleare e della posizione delle forze della NATO. Quasi tutti gli alleati NATO sono legati a un approccio che alla deterrenza delle armi nucleari e alla modernizzazione delle forze più in generale, unisce il dialogo con la Russia. Gli alleati hanno ribadito in numerose occasioni che, finché esisteranno le armi nucleari, la NATO rimarrà un’alleanza nucleare. Ma non è un segreto che vi sia una significativa opposizione in molti dei Paesi che ospitano i sistemi nucleari tattici statunitensi alla continua dipendenza dalla deterrenza nucleare e dagli accordi di condivisione nucleare dell’Alleanza Atlantica: in questo senso, la riluttanza degli Stati Uniti a estendere il New START avrebbe rischiato di esacerbare il sentimento anti-nucleare in questi Paesi, indebolendo, di fatto, l’alleanza.

Il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha anche esortato gli Stati Uniti e la Russia a estendere il New START, definendolo “tra le priorità di disarmo e sicurezza internazionale più urgenti del momento”. Funzionari governativi di numerosi Paesi, tra cui Argentina, Canada, Finlandia, Germania, Indonesia, Giappone, Giordania, Kazakistan, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Norvegia, Corea del Sud, Spagna, Svezia e Svizzera, hanno sostenuto in modo simile l’estensione del Nuovo START in una dichiarazione congiunta del febbraio 2020.

Anche la Cina sostiene un’estensione del New START, sebbene Pechino sia rimasta ferma sul fatto di non essere interessata ad aderire a un accordo trilaterale sul controllo degli armamenti fino a quando gli Stati Uniti e la Russia non avranno ridotto in profondità i loro arsenali nucleari. Va detto che la Cina mantiene un deterrente nucleare strategico minimo, con circa trecento testate, circa il cinque per cento del numero posseduto (1.550 è il tetto imposto dal New START) da Stati Uniti e Russia, oltre a diverse centinaia di missili a raggio INF. Queste forze, al momento, non incidono sulla stabilità strategica né minano i vantaggi del nuovo START bilaterale. Molti analisti concordano, però, sulla necessità per gli Stati Uniti di non dare alla Cina carta bianca a tempo indeterminato, in particolare perché Pechino sta anche espandendo le sue forze e sviluppando la tecnologia ipersonica. In questo, Washington dovrebbe ottenere l’aiuto della Russia per impegnarsi con Pechino nei colloqui di stabilità strategica (trilaterale e bilaterale). La qualcosa, peraltro, sebbene in modo più velato, non dispiacerebbe nemmeno a Mosca.

La proroga darà a Russia e USA più tempo, eventualmente, per trattare anche su questo punto. “L’idea di cercare di trascinare i cinesi in quell’accordo è, in teoria, una buona idea. In pratica? Impossibile ” – faceva notare mesi fa l’ex segretario alla Difesa, Robert M. Gates– “I cinesi non hanno alcun incentivo a partecipare”. Sacrificare il New START, come avrebbe voluto Trump, per insistere sul coinvolgimento di Pechino non avrebbe fatto altro che rischiare di perdere un importante trattato di controllo sugli armamenti per spingere “i cinesi a costruire drammaticamente più, molto di più, armi nucleari di quanto pensiamo abbiano attualmente per raggiungere il livello degli Stati Uniti”, ha spiegato Gates, che come capo della CIA ha affrontato la questione della vendita da parte di Pechino all’Iran di missili progettati per trasportare testate nucleari. Anche se non si riuscirà a far rientrare Pechino nei trattati nucleari, la rivalità strategica con Pechino rimarrà centrale per Biden la cui Amministrazione ha chiarito che continuerà ad adoperarsi per il contenimento strategico della Repubblica popolare (facendo leva soprattutto sulla rete di alleanze in Estremo Oriente), per contrastarne le rivendicazioni territoriali (in particolare nel Mar Cinese Meridionale) e per riequilibrare gli squilibri commerciali (mantenendo in vigore dazi e sanzioni dell’era Trump).

Al di là della Cina, dopo l’estensione del New START, ci sarebbero ulteriori passi che Washington e Mosca dovrebbero prendere in considerazione per consolidare il controllo degli armamenti e per ridurre il rischio di escalation nucleare in una crisi: per esempio i due Paesi dovrebbero negoziare un accordo che imponga limiti alle armi strategiche, compresi i tipi che sono emersi da quando è stato elaborato il New START. Un’intesa simile dovrebbe anche tenere conto delle perplessità che suscita l’attuazione della stessa: ad esempio, la Russia ha espresso più volte i suoi dubbi in merito alla pratica statunitense di convertire i lanciatori su sottomarini e bombardieri con missili balistici in modo che non possano più lanciare armi nucleari. In questo modo, agli occhi di Mosca, Washington ridurrebbe il numero delle proprie forze al di sotto dei limiti numerici del New START, compiendo una violazione ‘informale’ del Trattato, che potrebbe lasciare il posto ad un’accusa di non conformità.

Diversi esperti suggeriscono che Russia e Stati Uniti si scambino in modo confidenziale i dati sui missili da crociera lanciati dal mare e sui sistemi di spinta non nucleare e, magari coinvolgendo anche la Cina, sottoscrivere un accordo di notifica di missili balistici trilaterali e di lancio spaziale.

Auspicabile sarebbe anche un pacchetto di misure di trasparenza sulle installazioni di difesa missilistica balistica Aegis Ashore europee per dimostrare che trattasi di strutture non offensive i cui intercettori non sono abbastanza veloci per distruggere gli ICBM russi. Utile sarebbe anche concordare ispezioni reciproche di strutture di stoccaggio di testate vuote o sospette per dimostrare che sono davvero inoffensive così come altrettanto positivo sarebbe ridurre in modo congiunto la produzione di materiale fissile utilizzabile con le armi.

In altri termini, come si è augurato Daryl Kimball, direttore dell’Associazione per il controllo degli armamenti, “la nuova estensione START dovrebbe essere solo l’inizio e non la fine della diplomazia per il disarmo nucleare degli Stati Uniti e della Russia … Esortiamo il Presidente Biden e il Presidente Putin ad andare oltre, indirizzando i loro diplomatici ad avviare rapidamente, entro i prossimi 200 giorni, i negoziati su un accordo successivo per ottenere riduzioni reciproche più profonde delle loro scorte e cercare modi per coinvolgere altri stati dotati di armi nucleari, che possiedono arsenali molto più piccoli ma ancora mortali, nell’impresa del disarmo nucleare. Un obiettivo chiave del prossimo ciclo di colloqui bilaterali dovrebbe essere, in parte, tagli più profondi e verificabili alle armi nucleari strategiche dispiegate…I negoziati di follow-on USA-Russia dovrebbero anche riguardare le armi nucleari non strategiche; l’interrelazione tra armi nucleari offensive e difese missilistiche strategiche; e missili convenzionali a lungo raggio e doppia capacità, compresi quelli precedentemente vietati dal Trattato INF”.

Lungi dall’essere un tranello di Vladimir Putin per prendere in contropiede Joe Biden, “questa estensione ha ancora più senso quando il rapporto con la Russia è contraddittorio come lo è in questo momento”, ha detto Jen Psaki, addetta stampa della Casa Bianca.

L’intesa tra Mosca e Washington per estendere per cinque anni il trattato New START è “un passo nella giusta direzione” per ridurre le tensioni globali, ha affermato il Presidente russo intervenendo da remoto al World Economic Forum di Davos, ammettendo che “tuttavia, le divergenze continuano ad avvitarsi in quella che viene chiamata una spirale”.

Ovviamente è troppo presto per parlare di un “reset” delle relazioni fra Russia e Stati Uniti – i tempi non sono maturi – ma sia Mosca, sia Washington vogliono continuare il dialogo. “Ovviamente, non ci sono condizioni per parlare di reset delle relazioni. C’è un’intesa molto importante sulla necessità di estendere il trattato Nuovo Start, ed è estremamente importante che entrambe le parti lo capiscano. Ma, ovviamente, non c’è dubbio che le relazioni potrebbero essere ripristinate nel prossimo futuro”, ha detto il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov.

L’estensione del New START evita una ripresa della corsa agli armamenti, ma non esclude passi per ‘punire’ i comportamenti scorretti in altri campi da Mosca. Anzi, come ha sostenuto il nuovo Consigliere per la sicurezza nazionale, Jake Sullivan – se gli USA vogliono neutralizzare le attività “maligne” della Russia, il contesto migliore non può che essere quello di un vincolo nucleare reciproco.

Michael McFaul, ex ambasciatore degli Stati Uniti in Russia e oggi direttore del Freeman Spogli Institute for International Studies presso la Stanford University, ha apprezzato quanto fatto dalla nuova Amministrazione in questi giorni, ossia “coinvolgere Putin su questioni di reciproco interesse come l’estensione del trattato New START”, mentre sollevava le “azioni bellicose di politica estera” della Russia e parlava “senza mezzi termini sulle violazioni dei diritti umani all’interno della Russia. La sfida, ovviamente, è implementare simultaneamente tutte e tre queste ambizioni politiche”.

Nella prima telefonata intercorsa tra la Casa Bianca e il Cremlino, infatti, l’accordo sul New START si è accompagnato da aspre critiche da parte di Joe Biden, di cui la portavoce Jen Psaki ha dato conto minuziosamente: partendo dall’attualità, il neo-Presidente americano ha ribadito la condanna per l’avvelenamento e il recente arresto dell’oppositore Aleksej Navalnyj oltre alla repressione delle manifestazioni di protesta. Bersaglio delle parole di Biden anche le interferenze russe nella campagna elettorale americana e ‘SolarWinds’, una campagna di attacchi di hacker riconducibili all’intelligence russa ai danni di siti governativi USA. Non sarebbero mancati, nella conversazione, riferimenti al caso delle «taglie offerte da Mosca ai talebani che uccidono soldati americani in Afghanistan» e all’«aggressione tuttora in corso» da parte della Russia in Ucraina.

Biden avrebbe chiarito a Putin che gli USA «agiranno con fermezza in difesa dei propri interessi nazionali e sapranno rispondere contro azioni ostili da parte della Russia». Una dura reprimenda, peraltro non confermata da Mosca, quella di Biden che vorrebbe evidenziare un cambio di passo nelle relazioni russo-americane rispetto al predecessore, accusato, nel corso del mandato, di simpatizzare, a livello personale, con Putin. Tali affinità non hanno evitato l’inasprimento delle sanzioni contro la Russia o l’uscita da alcuni accordi bilaterali anche se, occorre ricordare, la condotta di Trump rispetto alla Russia è stata sempre viziata pesantemente dallo scandalo ‘Russiagate’, per il quale ha rischiato anche l’impeachment.

“Navalny e il suo team” – si è chiesto Michael McFaul – “hanno invitato l’Occidente a sanzionare non solo una manciata di oscuri ufficiali dell’intelligence russa responsabili del suo avvelenamento e arresto, ma anche quei miliardari russi, con risorse reali in Occidente, che mantengono il regime di Putin. Biden andrà così lontano? Vedremo.”

Se è impossibile ipotizzare un reset delle relazioni tra Stati Uniti e Russia, non è detto che, nell’ambito di controllo bilaterale degli armamenti con Mosca, Washington non decida di annullare l’uscita dai Trattati INF e Open Skiesdecisa da Trump, a fronte delle violazioni perpetrate, a detta della sua amministrazione, dalla Russia.

Il ‘Trattato sulle forze nucleari intermedie’ (INF), accordo riguardante i missili nucleari a medio raggio – con gittata tra 500 e 5500 km (310 e 3.420 miglia) – con base a terra, frutto dello storico vertice di Reykjavik del 1986 tra il Presidente statunitense Ronald Reagan e l’omologo russo Mikhail Gorbaciov, poi sottoscritto dai due Paesi, l’anno successivo, nel 1987, fu una delle pietre angolari che misero fine alla Guerra Fredda, limitando i missili dispiegati in territorio europeo, e alla corsa agli armamenti, oltre che all’Unione Sovietica: grazie all’accordo, furono infatti distrutti ben 2.692 missili, 846 americani (Pershing II e Cruise) e 1.846 russi (SS-20).

Il Trattato Open Skies fu invece presentato per la prima volta dal Presidente Dwight D. Eisenhower nell’estate del 1955 e respinto da Nikita S. Krusciov, poi rinegoziato dal Presidente George H.W. Bush insieme al suo Segretario di Stato, James Baker, venne firmato nel 1992 ed entrò in vigore nel 2002, oggi comprendente 34 Paesi, era figlio della fine della Guerra Fredda e del disgelo tra Washington e Mosca, dopo la scomparsa dell’Unione Sovietica.

La ratio era molto semplice: aumentare la fiducia reciproca, riducendo le possibilità di equivoci o cattive interpretazioni delle mosse dell’altro che potrebbero condurre ad una guerra. Come? Puntando sulla trasparenza dell’attività di intelligence: il Trattato consentiva infatti ai firmatari di effettuare con breve preavviso (72 ore) dei voli di ricognizione reciproci, impiegando velivoli non armati, ma dotati di sofisticati sensori e particolari apparecchiature di rilevazioni elettronica (specificati dal Trattato) per raccogliere informazioni ed osservare le attività militari della controparte. Peraltro, l’uscita degli Stati Uniti da entrambi gli accordi ha scosso il mondo, inquieto per la nuova insicurezza nucleare, ma tra i più sensibili, figuravano proprio i Paesi europei che, soprattutto negli ultimi giorni, sono tornati a chiedere il rientro americano in tali accordi.

La proroga del New START potrebbe, inoltre, far ben sperare per la prossima conferenza del Trattato di non proliferazione nucleare (Tnp) prevista per la prossima estate a New York, durante la quale si discuterà dei progressi fatti in tema di disarmo nucleare negli ultimi cinque anni.

Estendere il New START potrebbe lanciare segnali positivi anche per il dossier nucleare iraniano e nordcoreano. Il problema nucleare iraniano era stato risolto, almeno da diversi anni, dal Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA) voluto fortemente da Barack Obama, ma l’amministrazione Trump si è effettivamente ritirata contro la forte opposizione di tutte le altre parti. Di conseguenza, l’Iran oggi ha molto più materiale fissile ed ha iniziato ad arricchire l’uranio, avvicinandosi sempre di più ad avere una capacità per le armi nucleari di quanto non fosse prima che Trump facesse la sua mossa spericolata.

Nel caso della Corea del Nord, il Presidente Trump ha fatto uno sforzo per stabilire buone relazioni personali con il Presidente Kim. La Corea del Nord ha sospeso le esplosioni dei test nucleari e i test di volo dei missili balistici a lungo raggio. La moratoria sui test non sta impedendo, stando ad alcuni report, lo sviluppo di nuovi dispositivi d’arma e la Corea del Nord oggi ha senza dubbio più armi nucleari e un programma di armi nucleari più robusto di quanto non avesse quattro anni fa. Sia per l’Iran che per la Corea del Nord, la politica di Trump ha prodotto qualcosa di peggio di niente. E l’amministrazione Biden dovrebbe porvi rimedio. Una frase del poeta latino Orazio recita ‘Dimidium facti, qui coepit, habet’ (‘Chi ben comincia, è alla metà dell’opera’). Se anche non fosse già la metà dell’opera, l’estensione è comunque una buon inizio per la sicurezza del mondo.