“La Germania, ancora una volta, sarà l’ago della bilancia: se possiamo riporre qualche speranza nella soluzione di questa impasse, questa sta proprio nel ruolo tedesco per il suo peso politico ed economico”. Intervista a Nicoletta Pirozzi (IAI)
Il destino del Recovery Fund è nelle mani di Angela Merkel. Questo perché, come del resto avevano minacciato, Ungheria e Polonia pochi giorni fa, in piena seconda ondata di COVID-19, hanno bloccato l’accordo sul Bilancio UE 2021-2027 da 1.086 miliardi di euro raggiunto la scorsa settimana tra Consiglio e Parlamento Ue, e sulle ‘risorse proprie’ necessarie per finanziarie il NextGenerationEu da750 miliardi, la cui erogazione rischia di essere ritardata, nonostante la grande necessità che molti Paesi hanno per far fronte alle conseguenze economiche della pandemia. Il motivo politico riguarderebbe l’intesa tra Consiglio e Parlamento europeo sul nuovo meccanismo che lega l’erogazione dei fondi europei al rispetto dello Stato di diritto, nervo scoperto per Budapest e Varsavia, che ha portato all’avvio di procedimenti per alcune infrazioni agli standard fissati dalla UE – come denunciato da un recente rapporto presentato dalla Commissaria per i media e i diritti umani, Vera Jourová – che potrebbe far scattare un congelamento o un taglio dei fondi ai Paesi membri che lo violino. Cosa che Orban vorrebbe evitare, anche se, nella lettera che ha inviato la scorsa settimana all’Unione Europea, ha citato addirittura Lutero davanti alla Dieta di Worms, nel 1521, quando gli fu chiesto di abiurare la sua eresia: «Hier stehe ich, ich kann nicht anders», ‘qui sto io, non posso fare altrimenti’, della serie non posso essere punito perché ho promulgato una legge che discrimina le minoranze di genere o una legge elettorale per impedire all’opposizione di unirsi contro il partito di maggioranza Fidesz. Questo – ha dichiarato in diretta radiofonica venerdì il Premier magiaro – «trasformerebbe l’Unione Europea in una nuova Unione Sovietica».
«L’Ungheria» – ha chiarito Zoltan Kovacs, portavoce di Viktor Orban – «non può sostenere il piano nella sua forma attuale che lega i criteri dello Stato di diritto alle decisioni di bilancio. È il contrario delle conclusioni del Consiglio di luglio. Non è stata l’Ungheria a modificare la sua posizione, la nostra linea è stata chiara fin dall’inizio». «In gioco» – ha tenuto a precisare Zbigniew Ziobro, il Ministro della Giustizia polacco, sebbene non in sintonia con il Ministro dell’Economia, Jaroslaw Gowin – «è il futuro della Polonia. Dobbiamo bloccare questo disegno per limitare la sovranità polacca».
Ma procediamo con ordine. Il Coreper, l’organismo di cui fanno parte gli ambasciatori degli Stati presso l’Unione Europea, non ha raggiunto l’unanimità necessaria ad approvare l’ accordo sul Bilancio pluriennale e dare inizio alla procedura scritta per l’ok alla decisione sulle risorse proprie dell’Unione, imprescindibile per l’emissione da parte della Commissione europea di bond con cui finanziare i 750 miliardi del Recovery Fund. Ciò che è stato ottenuto dagli ambasciatori è stata l’intesa con il Parlamento Ue sul meccanismo della Rule of Law, per il quale bastava la maggioranza qualificata e quindi i no di Ungheria e Polonia sono stati del tutto ininfluenti.
«È importante rispettare i tempi di questa strategia (NextGenerationEU) e quindi il veto deciso da due dei quattro Paesi di Visegrád è un problema di cui bisognerà farsi carico, in particolare il Consiglio europeo e la presidenza tedesca, in maniera rapida e con determinazione. Perché non possiamo permetterci eccessivi ricatti» ha evidenziato il Commissario europeo per l’economia, Paolo Gentiloni, il quale ha poi riconosciuto: «Un po’ di preoccupazione sui tempi ce l’ho, anche se resto fiducioso che questi veti vengano superati. Per motivi del resto evidenti, in quanto i due Paesi in questione, cioè Ungheria e Polonia, sono tra i più colpiti da questa seconda ondata e sono tra i massimi beneficiari (netti)in assoluto dei bilanci europei e del Next Generation EU». Impossibile dare torto al Commissario italiano: la Polonia con circa 64 miliardi si attesta, dopo Italia e Spagna, al terzo posto nella lista dei Paesi aiutati dal Recovery Fund mentre l’Ungheria si accinge a ricevere ben 7,5 miliardi di euro. Anche dal bilancio i due Paesi sono grandi beneficiari: ben 106 miliardi di euro per la Polonia e 49,3 per l’Ungheria. Da sempre i fondi coesione europei hanno aiutato i governi di questi Paesi ex comunisti a risollevare le proprie economie e a costruire il loro consenso oltre che la loro rete di potere fatta di oligarchi, ma anche di affari di famiglia come dimostrano le inchieste sull’uso del denaro europeo che coinvolgono il padre, il fratello, il genero e agli amici del Premier ungherese Orbán.
«Quel veto fa male prima di tutto a Ungheria e Polonia» ha confermato il Presidente della Commissione per le Politiche dell’Ue alla Camera, Sergio Battelli. Anche perché, da quando è iniziata a circolare l’ipotesi del veto, il costo del fiorino ha ricominciato a salire e, siccome l’Ungheria è gravata da un debito in valuta estera che eguaglia quasi il prodotto interno lordo, questo fa aumentare quanto dovuto a molti Paesi europei.
Sarebbe dunque un vero atto di autolesionismo, non facile da spiegare alle proprie opinioni pubbliche. «D’altra parte, se sostengono di essere pienamente in grado di rispettare lo stato di diritto non si capisce perché tutto questo dovrebbe essere vista come una minaccia», ha aggiunto Gentiloni. «Chiedo a tutti, nell’Ue, di essere responsabili, non è tempo di veti ma di agire velocemente ed in uno spirito di solidarietà. In caso di blocco, gli europei pagherebbero un prezzo alto. Restiamo impegnati a risolvere le questioni» pendenti «al più presto»: è stata la reazione del ministro degli Affari europei tedesco, Michael Roth, in autoisolamento per il coronavirus, prima della videoconferenza Affari generali tenutasi ieri. D’altra parte, «la realtà istituzionale è che tocca alla Germania, Presidente di turno dell’Ue, di trovare le soluzioni per una ratifica all’unanimità», ha detto il portavoce della Commissione, Eric Mamer.
La Germania ha diverse carte da giocare: non secondario è il legame economico con Polonia e Ungheria ed in particolare il ruolo ricoperto dai grandi investitori tedeschi che vengono facilitati da leggi accomodanti, per esempio, dal punto di vista salariale. Ma centrale è il rapporto politico che tiene insieme Berlino con Varsavia e Budapest: la Germania ha sempre costituito un centro di gravità insostituibile per i Paesi dell’Est e non bisogna dimenticare che Fidesz, il partito di Viktor Orban, appartiene del PPE, il gruppo al Parlamento europeo con 187 eurodeputati dei Popolari.
In quest’ottica, dura è stata la reazione del Presidente dei Popolari europei ed esponente della CSU tedesca, Manfred Weber, «se» – ha scritto in un tweet – si rispetta lo Stato di diritto non c’è nulla da temere. Negare all’intera Europa i finanziamenti per la crisi nella peggiore crisi da decenni è irresponsabile». E poi: «Se Viktor Orbán e Jaroslaw Kaczynski vogliono interrompere l’uso di questi fondi per tutti, allora dovranno spiegarlo ai milioni di lavoratori e imprenditori, ai sindaci e agli studenti, ai ricercatori e agli agricoltori che contano sul sostegno di questi. fondi». Tuttavia Weber sarebbe portato a rimandare a Dicembre il voto finale nel tentativo di trovare una quadra, anche se «giudici indipendenti e media liberi sono alla base delle nostre democrazie e della nostra libertà. Non scenderemo a compromessi su questo».
Ancora più rigida la presa di posizione di Donald Tusk, capo del Partito popolare europeo ed ex Primo Ministro polacco, che ha chiesto che Viktor Orban, la cui adesione al PPE è al momento sospesa, venga espulso. «Chiunque sia contro il principio dello Stato di diritto è contro l’Europa. Mi aspetto una posizione chiara al riguardo. Gli oppositori dei nostri valori fondamentali non dovrebbero più essere protetti da nessuno» ha twittato Tusk. Sulla Rule of Law Orbàn si potrebbe anche giocare l’appartenenza o meno al PPE, al cui interno i problemi sono aumentati nelle ultime ore per la Germania. Oggi anche la Slovenia si è detta contraria all’accordo tra Parlamento e Consiglio sul meccanismo che lega l’esborso dei fondi al rispetto dello stato di diritto. In una lettera al Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, il Premier sloveno, Janez Jansa, ha spiegato che il meccanismo ideato non sarebbe in linea con l’accordo di luglio e che ai suoi occhi «solo un organo giudiziario indipendente può spiegare cosa è lo stato di diritto, non una maggioranza politica», insomma ‘due pesi e due misure’. Spiegazione che fa eco al tweet di Orban per cui «l’UE vuole usare il Recovery per ricattare chi si oppone all’immigrazione” e «non ci sarà accordo senza criteri oggettivi e la possibilità di fare ricorso».
Agitare, stuzzicare il sentimento nazionalista contro la dittatura di Bruxelles ha chiare finalità interne per Orbán. Ciò che stupisce, in negativo, è il supporto che riceve da leader di altri Paesi come l’italiana Giorgia Meloni, alla guida dell’ormai secondo partito di opposizione, Fratelli d’Italia, evidentemente con scarso riguardo all’interesse nazionale tanto sbandierato in pubblico: «I soliti noti dell’eurosistema, di cui ormai fa parte anche il M5S oltre al PD, vogliono vigliaccamente utilizzare i soldi del Recovery Fund per piegare quelle Nazioni, come Polonia e Ungheria, che vogliono difendere le radici classiche e cristiane d’Europa e i propri confini dall’immigrazione illegale di massa … Se non accettate la clausola dello stato di diritto (cioè cedere la propria sovranità all’eurosistema) niente soldi per combattere il Covid…Di chi è la colpa di questo stallo secondo voi? Di chi crede di poter comprare la libertà e la sovranità dei popoli europei o di chi le difende?», ha scritto su Facebook Meloni.
Ciononostante, alla videconferenza dei Ministri degli Affari europei di ieri, Ungheria e Polonia sono sembrate piuttosto all’angolo. «Lo stato di diritto non è un’ideologia», ha messo in chiaro il Ministro tedesco agli Affari europei, Michael Roth, aggiungendo: «La presidenza di turno tedesca si sforzerà di arrivare ad una buona soluzione, 24 ore al giorno, sette giorni a settimana. E ricordo che ci vuole l’intesa col Parlamento, non siamo soli». «Voglio esprimere la nostra più profonda frustrazione» – sono state le parole del Ministro Enzo Amendola, – «non c’è da temere lo stato di diritto: se tutti gli Stati lo rispettano, che problema c’è?”. Inoltre, «pianificare un Recovery, che entri in vigore dopo vari mesi dalla recessione che stiamo vivendo tutti, sarebbe molto grave. Sosteniamo il ruolo della presidenza tedesca, che ha il difficile compito di trovare una mediazione», ha continuato; poco prima della riunione aveva ricordato che si tratta di una «bozza aperta», in cui è possibile intervenire con delle modifiche: «La bozza» – ha specificato – «conferma la sussistenza del rule of law come condizione per accedere ai fondi, e allo stesso tempo prevede la possibilità di un freno di emergenza, nel caso in cui un paese considerasse questa procedura lesiva dei suoi diritti, per sollevare questo tema a livello di consiglio europeo».
Dello stesso tenore dell’intervento italiano sono stati gli interventi di altri quattro Ministri europei, tra i quali la finlandese Tytti Tuppurainen. Di contro, se la Ministra ungherese, Judit Varga, è convinta che il meccanismo che lega l’erogazione dei fondi allo rispetto dello stato di diritto sia un «modo per sanzionare un Paese su basi politiche. Non rispetta i trattati e non rispetta l’accordo di luglio. Come possiamo sostenere una proposta simile? Non c’è più tempo per giochi ideologici”, la Polonia, per bocca del Ministro Konrad Szymanski, ha ribadito l’esigenza di trovare un accordo, ma che «la mancanza di certezza giuridica» rimane il problema da risolvere.
Non mancano suggerimenti di escamotage per ovviare all’ostacolo del veto di Polonia e Ungheria: ad esempio, gli altri Paesi potrebbero estrapolare il Recovery fund dal Bilancio europeo facendolo diventare un trattato intergovernativo ad hoc. Si tratterebbe di uno Special Purpose Vehicle che, al posto della Commissione, sarebbe deputato a fare debito sui mercati per finanziare il Recovery fund. In questo modo, però, Ungheria e Polonia non riuscirebbero a bloccare il Recovery fund, ma non riceverebbero neanche un euro per loro. E questo non eliminerebbe comunque le condizionalità sullo Stato di diritto per accedere ai soldi del Bilancio europeo.
Il Parlamento europeo, in una nota, ha fatto sapere che «gli accordi raggiunti (sia sul quadro finanziario pluriennale Ue che sullo stato di diritto) sono chiusi e non possono in alcun modo essere riaperti. Nessuna ulteriore concessione sarà fatta da parte nostra. Chiediamo al Consiglio di adottare il pacchetto e avviare il processo di ratifica il prima possibile». L’Europarlamento ha, inoltre, esortato i Parlamenti nazionali ad una rapida ratifica Di certo, l’ipotesi di una chiusura formale dei procedimenti per alcune infrazioni agli standard europei non sembra sul tavolo.
Ieri il commissario Ue al Bilancio, Johannes Hahn, aveva evidenziato come ci «sono immense aspettative» sul pacchetto economico del Bilancio Ue e del Recovery Fund e che, in caso di fallimento, «ci sarebbe un impatto devastante sui nostri cittadini, le nostre economie e anche i nostri mercati», «avrebbe conseguenze politiche enormi per la nostra Unione e per ogni Stato membro. Incoraggio perciò chi ancora nutre riserve a ripensarci perché si tratta del futuro di tutti».
Se l’accordo sul Recovery fund ha trovato un accoglimento favorevole dai mercati, segnando una forte diminuzione dei differenziali di rendimento tra i titoli di Stato dei Paesi europei, uno stallo prolungato sullo stesso fondo rinfocolerebbe le tensioni sui mercati, rendendo necessari nuovi interventi della BCE. Ma nascerebbero problemi anche per la manovra finanziaria di Paesi come l’Italia – il DDL è oggi arrivato alla Camera dopo la firma del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella – che stanno redigendo le proprie leggi di bilancio considerando anche i soldi che potrebbero arrivare già nel 2021 (8 miliardi di euro a fondo perduto per l’Italia): la versione finale della Manovra, costituita da 229 articoli e approvata dall’UE, prevede un Fondo presso il Mef per anticipare i fondi del Programma Next Generation Eu, il Fondo di rotazione per l’attuazione del Next Generation Ee – Italia. La dotazione sarebbe di 34,775 miliardi per il 2021, 41,3 miliardi per il 2022 e 44,573 miliardi per il 2023: in totale nel triennio 120,648 miliardi di euro. Quindi,come ha chiarito Bruxelles, qualora venisse meno il Recovery, verrebbero meno le coperture.
Questo spiega ancora meglio l’appello alla responsabilità del Commissario Gentiloni oltreche le parole del Ministro dell’economia italiano, Roberto Gualtieri, a detta del quale l’atteggiamento di Ungheria e Polonia «è profondamente sbagliato anche perché è improprio. Rifarsi su procedura che riguarda la messa a disposizione delle risorse di tutti i paesi è sbagliatissimo, non penso questi paesi potranno troppo a lungo bloccare il negoziato. Sono settimane decisive». Lo stesso Gualtieri ha, però, riaffermato che, nonostante tutto questo, l’accordo politico delle forze della maggioranza sul ricorso al MES sanitario continua a non esserci, l’opposto di quanto auspicato dal Presidente dell’Europarlamento, David Sassoli, sostenitore finanche in una riconversione dello cosiddetto ‘fondo salva-Stati’ in uno strumento comunitario e non più dei governi.
«La Commissione continua a considerare che entrambe le questioni siano importanti, sia l’attuazione di Bilancio e Recovery, che il rispetto per lo Stato di diritto» è tornato a rimarcare il Vicepresidente dell’Esecutivo comunitario, Valdis Dombrovskis. Cosa può fare la Commissione? Riuscirà la Germania a salvare il NextGenerationEu, trovando un compromesso? Cosa succederà domani, al Consiglio europeo in videoconferenza dei Capi di Stato e di governo, sul quale quale c’è molto scetticismo che si riesca già a trovare già una quadra? Si riuscirà ad evitare l’esercizio provvisorio? Ha risposto a queste domande Nicoletta Pirozzi, Responsabile del programma ‘Ue, politica e istituzioni’ dell’Istituto Affari Internazionali (IAI).
Nella riunione degli ambasciatori, Ungheria e Polonia hanno posto il veto al bilancio pluriennale, bloccando di fatto il Recovery Fund. Come ha sostenuto il Commissario europeo all’economia, Paolo Gentiloni, nel corso di un’audizione alle Commissioni finanze della Camera, i due Paesi «sono tra i più colpiti da questa seconda ondata e sono tra i massimi beneficiari in assoluto dei bilanci europei e del Next Generation EU. D’altra parte, se sostengono di essere pienamente in grado di rispettare lo stato di diritto non si capisce perché tutto questo dovrebbe essere vista come una minaccia». Qual è lo scopo della mossa di questi due Paesi, peraltro neanche tanto inaspettata? Cosa vogliono ottenere? C’è chi parla di bluff.
Vedo che Polonia Ungheria stiano giocando una partita molto pericolosa in questo momento perché, come ricordava, sono tra i maggiori beneficiari anche dei fondi che saranno allocati attraverso il Bilancio pluriennale e il NextGenerationEU, ma lo sono stati storicamente anche dei fondi strutturali che hanno risollevato le loro economie e rafforzato il consenso dei loro governi. Sicuramente ci sono tutta una serie di motivazioni politiche interne che spingono i due governi a portare avanti questa partita. Tra l’altro, bisogna sottolineare che in questa posizione estrema che hanno deciso di prendere in questo frangente sono stati abbandonati dai loro tradizionali alleati del Gruppo di Visegrad, Slovacchia e Repubblica Ceca. Credo sia stato un tentativo di alzare la posta in gioco nella speranza che governi europei, pressati dalla necessità di avere i fondi anche in tempi brevi, in un momento critico come questo della seconda ondata della pandemia, potessero eventualmente annacquare il meccanismo previsto sullo ‘stato di diritto’ che è considerato ideologicamente contrario a Ungheria e Polonia. E penso che stavolta abbiano fatto male i loro conti poiché non vedo questa disponibilità da parte degli altri leader europei.