Chi conquisterà la Presidenza tra il nazionalista Ersin Tatar e il socialdemocratico Mustafa Akinci avrà nelle mani il futuro dell’isola

 

 

Domenica 18 Ottobre 300mila cittadini si recheranno alle urne per il ballottaggio delle elezioni presidenziali nella Repubblica turca di Cipro del Nord (TRNC), autoproclamata in quanto non riconosciuta da nessun’altra Nazione al mondo fuorché dalla Turchia, membro della NATO. Grande poco più di un terzo dell’isola, La sua fondazione risale all’intervento militare turco del 1974, attuato per bloccare un tentativo di annessione dell’isola con un golpe orchestrato dalla Grecia e dai nazionalisti greci ai danni dell’allora Presidente cipriota Makarios.

Ma andiamo con ordine e ripercorriamo la storia. I primi attriti tra la comunità turco-cipriota e quella greco-cipriota emersero negli anni ’50 quando l’isola era ancora una colonia britannica. Diverse, per non dire opposte, erano le rivendicazioni: dalla prima, la ‘Taksim’, ossia la divisione in due Stati; dalla seconda, l’’Enosis’ ossia l’annessione alla Grecia. Le tensioni, che avrebbero portato alla creazione di diverse enclave turco-cipriote sparse per l’isola, non si arrestarono nemmeno dopo la conquista da parte dell’isola, il 16 Settembre 1960, dell’indipendenza dalla Gran Bretagna che però mantenne il controllo di due basi militari e mentre gli incarichi di governo vennero assegnati in base alle quote etniche: per questo, la maggioranza del parlamento andò ai greco-ciprioti, il 77 per cento della popolazione, il diritto di veto alla minoranza turco cipriota. Per arrestare il crescendo degli scontri, nel 1964, venne interposta una forza di pace delle Nazioni Unite.

Le rivalità continuarono a covare in modo più o meno latente a causa dell’incapacità di condivisione del potere: il Trattato di garanzia imponeva a Turchia, Grecia e Regno Unito di garantire l’indipendenza e l’integrità territoriale, ma anche che la Costituzione dell’isola non potesse essere modificata oltre che i tre Paesi potessero intervenire in caso di necessità. fino a che, nell’estate del 1974, la Turchia, dopo aver ricevuto il via libera dagli Stati Uniti, inviò oltre 40mila uomini che invasero l’area Nord di Cipro, così da troncare sul nascere, come sopra ricordato, il tentativo di golpe che la Grecia dei colonnelli stava per mettere a segno. Un’operazione che, però, costò centinaia di morti e sfollati: oltre 165mila greco-ciprioti abbandonarono i territori occupati del nord mentre 45mila turco-ciprioti si spostarono dal sud al nord dell’isola.

Oltre a bloccare le mire nazionalistiche greche, l’operazione di Ankara mise in difficoltà il regime di Atene al punto da provocarne la caduta il 24 Luglio 1974, sancita dal ritorno in patria dell’ex Premier Kostantinos Karamanlis il quale avrebbe fondato il partito Nea Dimokratia ed avrebbe vinto le elezioni del novembre successivo.

Quello che l’invasione turca impose fu quindi la netta divisione dell’isola. Da quel momento nacque una zona cuscinetto monitorata da una missione di peacekeeping delle Nazioni Unite (UNFICYP), la cosiddetta ‘green Line’ o ‘linea verde’, che avrebbe spaccato l’isola, attraversandola per oltre 180 chilometri di lunghezza, compresa Nicosia, l’unica capitale europea divisa in due impedendo ogni contatto fino al 2003. In quell’anno furono aperti i primi spiragli nell’’ultimo muro d’Europa’ (anche se, come noto, negli ultimi anni altri muri e fili spinati sono stati costruiti nel Vecchio Continente): per passare da una zona all’altra della capitale, furono creati dei checkpoint militari da superare con un visto speciale temporaneo. Nel 2008 furono rimosse le barricate che dal 1964 chiudevano la centrale Ledra Street che divenne così uno dei pochi punti di passaggio tra i due ‘Stati’.

Sulla base della Dichiarazione di indipendenza della Repubblica Turca di Cipro Nord del 1983, la nuova Costituzione, approvata con circa il 70% dei voti favorevoli nel referendum nel 1985, la TRNC si configura come una repubblica semi-presidenziale, in cui il Presidente della Repubblica viene eletto per un mandato della durata di cinque anni. Per essere eletto, un candidato deve ottenere la maggioranza assoluta. Nel caso in cui nessuno dei candidati la ottenga al primo turno, i due candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti vanno al ballottaggio dopo sette giorni.

Non avendo nessun candidato conquistato il 50% più uno dei consensi, a contendersi la Presidenza al secondo turno saranno i più votati (su undici, di cui sette indipendenti) del primo tenutosi, rispettando tutte le norme anti-COVID-19, la scorsa domenica, 11 Ottobre (inizialmente previsto per il 26 Aprile, ma rinviato causa pandemia), con un dato di affluenza tra i più bassi mai registrati, pari a solo il 55% degli aventi diritto di voto (sono stati registrati circa 198.867 elettori che hanno votato in 738 urne), in calo del 7% rispetto a 5 anni fa: il vincitore, con il 32,35%, il 60enne Ersin Tatar, l’attuale Premier, appartenente del nazionalista e conservatore Ulusal Birlik Partisi (UBP – Partito di unità nazionale), dal 2009 membro del parlamento e sostenuto dal Presidente turco Erdoğan. Il Premier non ha mai nascosto che, secondo lui, essere più allineati alla Turchia, sia in termini di cooperazione militare che di attività di ricerca sismica, gioverebbe a lungo termine ai turchi dell’isola nel creare un’atmosfera di parità con i greci

Tatar sfiderà il Presidente uscente, il social-democratico 72enne Mustafa Akinci, arrivato secondo alla prima tornata con il 29,84% dei voti, ma dato nettamente per favorito alla vittoria. Esponente del Toplumcu Demokrasi Partisi (TDP), Akinci ha ricoperto la carica di Sindaco di Nicosia Nord per 14 anni e poi quella di Vicepremier tra il 1998 e il 2001. Da sempre favorevole alla riunificazione con la Repubblica di Cipro, membro dell’UE, insieme ad un’interpretazione del nazionalismo inteso come allentamento dei legami con Ankara e per questo inviso ad Erdogan, poche settimane dopo essere stato eletto Presidente nel 2015, ha partecipato ad alcuni negoziati organizzati in Svizzera sotto l’egida delle Nazioni Unite con l’intento di risolvere la questione cipriota e a cui hanno preso parte Turchia, Grecia e Regno Unito, ma che sono stati un buco nell’acqua.

A detta di Sami Ozuslu del quotidiano cipriota ‘Yeni Duzen’, al centro del voto, il ruolo di “tensione, conflitto ed emozioni” piuttosto che quello di “visione, progettualità e logica”, con la contrapposizione tra Tatar, fedele “al verbo di Ankara”, e Akinci, che “ha raggiunto il punto di rottura totale con Ankara”. Tatar ha definito “una vittoria” i risultati del primo turno, la cui bassa affluenza sarebbe, secondo il Premier, da ricercare nei timori legati alla pandemia. Perciò, ha auspicato una maggiore partecipazione al secondo turno: “Credo che, al ballottaggio, un maggior numero di cittadini andrà alle urne ed esprimerà la sua volontà. Voglio rivolgere questo appello a tutti i miei cittadini”, in quanto, ha aggiunto, “La nostra autentica vittoria ci sarà il 18 ottobre”.

Il suo rivale, Akinci, si è detto, invece, convinto “che con il sostegno del nostro popolo, continueremo ad assolvere i nostri compiti a partire dalla mattinata del 19 ottobre”. Si ripeterebbe, come un dejavu, quanto accaduto 5 anni fa quando al primo turno delle elezioni del 2015, l’attuale Presidente aveva incassato il 26,9% dei voti, meno del 28,2% del suo sfidante Derviş Eroğlu, appoggiato dal partito nazional-conservatore UBP, ma era arrivato primo al secondo turno, con il 60,5% dei voti. Come allora, la speranza risiederebbe nella capacità di Akinci di raccogliere molti voti dispersi al primo turno tra gli altri nove candidati usciti sconfitti.

Determinante, in quest’ottica, per l’attuale Presidente potrebbe essere, ad esempio, il sostegno espresso da un altro candidato uscito sconfitto dal primo turno e peso massimo dell’opposizione, Tufan Erhurman, parlamentare dal 2013 e Primo Ministro tra il 2018 e il 2019, leader del partito socialdemocratico turco Cumhuriyetçi Türk Partisi (CTP), un partito di centrosinistra il cui appoggio, anche nell’istanza del TDP di riconciliazione con Nicosia, ha l’obiettivo di contenere l’ondata nazionalista. “La partecipazione alle elezioni è stata molto bassa, ma crediamo nella democrazia e rispettiamo la volontà della gente”, ha dichiarato in un’intervista Erhürman.

Più difficile dire dove andranno i voti di Kudret Özersay, appartenente al partito centrista e anti-corruzione Halkın Partisi (HP), Vicepremier e Ministro degli Affari Esteri nell’attuale governo di coalizione e membro del parlamento dal 2018, ma contrario alla riunificazione .

Dalle elezioni del Gennaio di quell’anno, venne formato un governo di coalizione – di cui facevano parte l’HP, il partito di destra Democratic Party (DP) oltrei due partiti socialdemocratici CTP e TDP – di cui era Premier, ma che cadde a Maggio 2019, costringendolo, quindi, ad allearsi con l’UBP. Non è la prima volta che Özersay corre per le presidenziali: lo aveva già fatto nel 2015 raccogliendo il 21,3% dei voti e attestandosi al quarto posto. Questa volta, ha ammesso, in un post su Facebook, “Il tasso di voti che ho ricevuto è molto al di sotto delle mie aspettative. È ad un livello che mi impone di rivedere la mia vita politica”.

Sebbene molta parte del potere sia in mano al Presidente del Consiglio, la figura del Presidente non è affatto secondaria. Oltre a quello di essere Capo dello Stato e rappresentare l’unità del Paese, tra i suoi poteri rientra quello di nominare il Primo ministro e i Ministri su proposta del presidente del Consiglio, presiedere, nel caso lo ritenesse opportuno le riunioni del Consiglio dei Ministri, sciogliere, qualora si verificassero delle particolari condizioni, il Parlamento, approvare le nomine dei giudici e del Presidente della Corte suprema. In merito alla composizione di quest’ultima, sempre domenica scorsa, i turco-ciprioti si sono espressi anche in un referendum su un emendamento costituzionale volto proprio ad aumentare il numero dei giudici dell’Alta Corte: l’emendamento non è passato con 50,20% voti contrari e 49,80% favorevoli.

Fondamentale, inoltre, è il ruolo del Presidente della Repubblica quale capo dei negoziati per la questione della riunificazione di Cipro. “Questa elezione è cruciale per il nostro destino” avrebbe detto Akıncı dopo aver votato, lamentandosi dell’ingerenza politica turca: il risultato delle elezioni – che, peraltro, ha valore solo per la Turchia – potrebbe essere decisivo in quanto se la vittoria andasse al candidato socialdemocratico, pro-Reunion in senso federalista e autonomista rispetto alle ingerenze di Ankara, il dialogo di pace, da diverso tempo in stallo, con Nicosia potrebbe rimettersi in moto.

Di contro, se a vincere fosse Tatar, il rischio che i faticosi negoziati vadano gambe all’aria aumenterebbe in modo esponenziale: del resto, non ha mai mancato di sostenere il pieno allineamento delle politiche di Cipro del Nord a quelle della Turchia, così come ha sempre ribadito il suo sostegno il negoziato per un accordo a due Stati che, tra le sue condizioni, non potrebbe non contemplare un’intesa per la spartizione dei diritti su potenziali giacimenti offshore di petrolio e, soprattutto, gas: i due Stati indipendenti dovrebbero avere entrambi uguali diritti e Zone economiche esclusive differenti. Del resto, è comunemente ritenuto nella TRNC che la parte greca non sia disposta a condividere il potere amministrativo o le ricchezze dell’isola con la parte turca. Pertanto, è un dibattito costante per i turchi sull’isola se sia possibile o meno avere l’uguaglianza politica con la parte greca e condividere le risorse dell’isola

Nell’aprile 2004, un mese prima dell’ammissione della Repubblica di Cipro nell’Unione europea insieme ad altri nove Paesi, fu sottoposto a referendum il ‘Piano Annan’ delle Nazioni Unite per riunificare il Paese che venne approvato dal 66% della popolazione del Nord e bocciato dal 76% del Sud. Se l’ingresso della Repubblica cipriota nell’UE ha ridotto i timori di nuove ostilità, non è stato di aiuto, contrariamente alle aspettative, per facilitare la risoluzione della disputa sull’isola.

Nel tempo, tuttavia, non sono mancate trattative sulla riunificazione promosse dalle Nazioni Unite che però sono perennemente fallite: l’ultima, in ordine cronologico, quella del 2017 arenatesi sullo spinoso dossier del ritiro dei 30mila soldati turchi presenti sull’isola, nonostante il Presidente della TRNC fosse un supporter del dialogo con il Sud. Anche i dissensi sulla possibile divisione del territorio in zone federali e sull’eventuale spartizione di città di confine, come Morphou, non hanno aiutato.

Come ha precisato Kemal Baykalli, fondatore del gruppo non governativo Unite Cyprus Now, “la questione principale di queste elezioni è come definiremo il nostro rapporto con la Turchia”. Appare evidente l’ambiguità che, man mano, ha reso più complesse queste relazioni che, se da una parte affondano le loro radici in una condizione de facto visto che Ankara garantisce supporto finanziario e militare, dall’altra, specialmente a fronte della politica aggressiva di Erdogan, iniziano ad andare strette ad una quota sempre maggiore dei turco-ciprioti, in gran parte laici, che non intendono più subire le prevaricazioni dell’integralista governo turco. Questo spiega la tendenza mostrata da molti candidati, compreso il filo-Erdogan Tatar che ha tenuto a rimarcare sull’essere l’unico candidato a non aver studiato in Turchia e in grado di esprimersi nel dialetto turco-cipriota, a solleticare al nazionalismo locale, richiamando all’importanza dell’identità della TRNC, come vedremo, a breve, a proposito della riapertura di Varosha. “La TRNC e il suo popolo formano uno Stato. Ci meritiamo di vivere sulla base di un’uguale sovranità”, ha rilanciato Tatar strizzando l’occhio ai nazionalisti.

Tale strategia non sembra far presa soprattutto sui più giovani, quelli meno legati a vecchi retaggi, ma, per certi versi, più aperti in quanto ‘figli’ del mondo senza barriere che li rende più disponibili a rapportarsi anche con il Sud. Ciò detto, non mancano versioni bipartisan di approcci più pragmatici al rapporto con Ankara, le cui interferenze negli affari interni della TRNC si sono fatte sempre più pressanti. “Ci sono due situazioni che non sono normali”, ha dichiarato il candidato socialdemocratico Akıncı dopo il voto:  “Una riguarda la nostra salute, c’è una pandemia. E la seconda è la nostra salute politica, la salute della comunità, e qui parlo dell’ingerenza della Turchia”.

Un esempio è l’incontro del 6 Ottobre, a pochi giorni dalle elezioni, del Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan con il Premier Ersin Tatar ad Ankara molto contestato dall’opposizione, sebbene la Turchia non abbia mai dichiarato ufficialmente il sostegno ad alcun candidato. In quell’occasione, presenziando alla cerimonia di riapertura di un oleodotto tra i due Paesi, come un vero colpo di scena, il Primo ministro turco-cipriota ha annunciato, a fianco del Presidente turco Erdogan la riapertura al pubblico del lungomare e della spiaggia del ‘borgo fantasma’ di Varosha (Maraş in turco) nella città costiera di Famagosta (Gazimagusa in turco). Attualmente considerata come area militare sotto il controllo dei soldati turchi, la cittadina, abbandonata dai greco-ciprioti a seguito dell’invasione del 1974, è rimasta inaccessibile da allora, ma negli anni ’60 era nota come ‘la Riviera di Cipro’, meta di vip e personaggi del jet-set come come Richard Burton e Litz Taylor.

“Questo è un intervento molto chiaro da parte della Turchia”, ha affermato Cemal Özyiğit, leader del TDP, che sostiene Akıncı, rimarcando “Sperano di favorire un candidato specifico”. Per più di quarant’anni è rimasto un tema caldo nei negoziati per risolvere la questione dell’isola. Nel 2003, l’allora Presidente Rauf Denktas aveva proposto che la restituzione del quartiere alla controparte greca avvenisse solo una volta che le sanzioni internazionali contro la TRNC fossero state sollevate; anche nel piano dell’ONU, bocciato al referendum del 2004, si ribadiva il ritorno dell’area sotto la giurisdizione dei greci ciprioti. Questo perché circa 45000 greci ciprioti dovettero abbandonare le proprie proprietà fuggendo verso sud: oggi, una parte di questi continua a chiederne la restituzione, altri vorrebbero un risarcimento che in totale si aggira attorno al miliardo e mezzo di euro.

L’azione di Tatar è stata unilaterale, contestata non solo dal rivale socialdemocratico, il Presidente Akinci che ha condannato la decisione, bollandola come l’ennesima interferenza di Ankara negli affari della ‘Repubblica’, ma anche dagli stessi alleati di governo, primo fra tutti Ozesay che si è ritirato dalla coalizione, sollevando la possibilità di legislative anticipate. Alle critiche interne su sono aggiunte quelle internazionali, tra cui quella del Presidente cipriota, Nicos Anastasiades, che ha parlato di una “flagrante violazione del diritto internazionale” e delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu 550 del 1984 e 789 del 1992  che rendono “inammissibile” che qualsiasi parte di Varosha venga abitata da chiunque non sia uno dei suoi legittimi abitanti greco-cipriotia cui è riconosciuto il diritto al ritorno appena si raggiungerà finalmente un accordo che ponga fine alla divisione dell’isola. “La Repubblica di Cipro non è rimasta e non rimarrà inattiva”, ha messo in chiaro Anastasiades.

Altrettanto dura la presa di posizione di Antonio Guterres, Segretario Generale dell’ONU, l’organismo internazionale che controlla la zona cuscinetto tra le due comunità, che ha parlato di aperta violazione dell’accordo di pace delle Nazioni Unite. Poche ore dopo, il Consiglio di sicurezza, riunitosi in una sessione d’emergenza, ha condiviso la posizione di Nicosia condannando l’azione unilaterale di Tatar. Nel comunicato al termine della riunione è stato ribadito l’impegno per un accordo duraturo e comprensivo alla questione cipriota basato sulla creazione di una federazione con due comunità e la validità delle risoluzioni sullo status di Varosha, invitando le parti al dialogo.

Netta anche l’Unione europea, il cui Alto Rappresentante per la politica estera e per la sicurezza, Josep Borrell, che lo ha definito “un gesto che non aiuta, al contrario, renderà più difficile raggiungere un accordo su una situazione particolarmente difficile nel Mediterraneo orientale”. Dello stesso tono si è espresso anche il consiglio europeo delle ultime ore.

Accuse che i turco-ciprioti rimandano al mittente, sostenendo che aver riaperto solo la spiaggia non costituisce una violazione degli accordi. Come prevedibile, a difesa della riapertura di Varosha si è pronunciata la Turchia, secondo il cui Ministero degli Esteri, l’affermazione che la decisione viola le risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu “non riflette la realtà” e che la comunità internazionale dovrebbe tenere conto delle realtà dell’isola: “Sostenere la continuazione dello status quo non gioverà ai due popoli che sono i comproprietari dell’isola di Cipro, né aiuterà la soluzione della questione cipriota”. Non sono pochi gli osservatori che hanno rimarcato questo cambio di approccio di Ankara, che potrebbe prendere in considerazione mosse più ardite non solo rispetto alla questione della riunificazione, ma anche a livello regionale.

Non è, però, così chiarito se è vero che in un’intervista ad agosto, il portavoce di Erdoğan, İbrahim Kalın, aveva suggerito che Ankara voleva aprire la città per investimenti e ha affermato che gli abitanti originari erano i benvenuti a tornare: “Se i greco-ciprioti vogliono venire, rivendicare la loro proprietà, pagarla, gestire attività commerciali, ecc, sarà possibile. ” Solo parole? Chissà. Gli ex residenti di Varosha hanno subito organizzato una manifestazione di protesta nella tarda serata di giovedì scorso in uno dei punti di attraversamento della frontiera che si trova lungo la zona cuscinetto controllata dalle Nazioni Unite. “Come si può non essere turbati da ciò che è accaduto?”, ha denunciato il sindaco di Famagosta, il greco-cipriota Simos Ioannou Press, convinto che “Varosha avrebbe dovuto essere consegnata ai legittimi proprietari”, mentre la sua riapertura è una forma di “pressione psicologica”.

Sì perché per decenni l’amministrazione turco-cipriota l’ha lasciata così sperando di poterla utilizzare nelle trattative con Cipro, ma, con la riapertura della spiaggia, è possibile che abbia deciso un cambio di strategia. O, quantomeno, dato che il Premier Tatar è in corsa per la presidenza, potrebbe aver deciso di utilizzarla come mossa elettorale per vincere le elezioni, facendo leva sull’elettorato più nazionalista. Quasi contestualmente all’annuncio, stando a quanto riportato dal quotidiano turco-cipriota ‘Kibris Postasi’, un totale di 2.332 persone sono entrate nell’area della spiaggia di Varosha. Anche il Presidente del Consiglio ha visitato l’area preannunciando che la riapertura della spiaggia sarà solo un primo passo a cui seguiranno anche interventi per quanto riguarda la questione delle proprietà degli immobili abbandonati, nell’ottica di un rilancio del turismo e, di conseguenza, dello sviluppo economico di Famagosta.

Secondo il Ministero degli Esteri turco, si è trattato anche di un’azione legata agli sviluppi nel Mediterraneo orientale. Negli ultimi mesi (nel 2018 in mezzo ci finì anche una nave ENI), infatti, quest’area marittima è stata interessata da tensioni specialmente per i giacimenti di gas scoperti nel 2009. La scoperta ha fatto ipotizzare la realizzazione di un gasdotto EastMed, che dovrebbe collegare il Mediterraneo orientale con l’Europa continentale, rendendola meno dipendente dalla Russia, attraverso gli attracchi in Grecia e Italia, escludendo di fatto la Turchia: per questo a fine 2019 il governo turco aveva firmato un accordo sulle Zone economiche esclusive (Zee) con la Libia in cambio di assistenza militare al governo di Tripoli. A inizio agosto, la Grecia aveva risposto siglando un accordo con l’Egitto per delimitare una Zee, che però include alcune aree rivendicate da Ankara.

A fronte dell’azione turca, l’UE ha minacciato di imporre nuove sanzioni alla Turchia se non avesse interrotto le missioni di perforazione ed esplorazione energetica nelle acque rivendicate da Cipro e dalla Grecia. Tra Atene e Ankara  si è venuta a creare uno stallo, esacerbato dagli screzi derivanti dalla crisi migratoria e da quelli di carattere ideologici-religiosi sulla recente riconversione di Santa Sofia. E la decisione di rinviare, fino al 20 Ottobre, la nave Oruç Reis sulla piattaforma continentale greca, a sud dell’isola di Kastelorizo, per fare rilevamenti utili all’estrazione di gas, ha rimesso in bilico le possibilità di dialogo. Atene, intanto, si arma fino ai denti: è di qualche settimana fa l’annuncio dell’acquisto di mezzi e forniture militari come non si vedeva da quasi vent’anni a questa parte: caccia francesi Rafale, fregate multifunzione, ma anche elicotteri e reclutamento di 15.000 uomini.

“Siamo molto preoccupati” – aveva affermato il Segretario di stato americano, Mike Pompeo a fine Agosto, incontrando il presidente cipriota Anastasiades -“ dalle operazioni turche per la ricerca di risorse naturali in zone del Mediterraneo orientale, rivendicate da Grecia e Cipro”. Nello stesso incontro, Pompeo aveva annunciato che gli Stati Uniti avrebbero revocato, per un anno dal primo Ottobre, l’embargo sulle armi ‘non letali’ nei confronti di Cipro che era stato imposto nel 1987.

Decisione criticata criticata dalla Turchia, il cui ministro degli Esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu ha sottolineato che la decisione degli Stati Uniti «avvelena l’ambiente di pace e stabilità nella regione» e «non è conforme allo spirito di alleanza» tra Stati Uniti e Turchia. Il ministro ha poi aggiunto che se gli USA non cambieranno posizione «la Turchia, come Paese garante, adotterà le necessarie contromisure per garantire la sicurezza del popolo turco-cipriota, in linea con i suoi diritti legali e storici».

Preoccupato dalle prevaricazioni turche, durante il penultimo consiglio europeo straordinario, il Presidente della Repubblica di Cipro, Nicos Anastasiades ha messo gli alleati europei davanti a una scelta: al momento di votare per le sanzioni alla Bielorussia di Alexander Lukashenko, Nicosia ha opposto il suo diritto di veto, sostenuta da Atene, con l’obiettivo (centrato) di far promettere ai 27 una posizione più dura nei confronti di Ankara qualora non rinunciasse a trivellare la zona di Mediterraneo intorno all’isola. Di tutta risposta, in una lettera inviata a tutti i leader europei, esclusi Grecia e Cipro, il Presidente turco Erdogan ha voluto “sottolineare ancora una volta che siamo pronti al dialogo con la Grecia senza precondizioni”, auspicando l’imparzialità di Bruxelles. Quest’ultima, tuttavia, rimane bloccata per l’ennesima volta dall’unanimità che non c’è. La Germania prova a mantenere la disponilità al dialogo, la Francia, ai ferri corti con la Turchia, vorrebbe stigmatizzare le violazioni con forza.  L’Italia non ha fatto mancare il suo sostegno a Cipro e Grecia.

A gravare sulle elezioni, non può mancare la pandemia da COVID-19 che, sebbene avesse fatto sperare in un allentamento della diffidenza tra le due parti dell’isola, potrebbe condizionare anzitutto l’affluenza alle urne. Ma anche la sua gestione dell’emergenza sanitaria potrebbe fare da ago della bilancia, penalizzando il Premier Tatar che, dopo aver contenuto la prima ondata di contagio, ha riaperto troppo rapidamente l’economia facendo ripartire una nuova ondata. Certo i casi totali non toccano le mille unità e le vittime si contano sulle dita di una mano, ma può bastare? Inoltre, c’è un’emergenza economica a cui bisogna far fronte e il clientelismo e del governo non rafforzano Tatar.

A prescindere dall’esito delle elezioni, resta il fatto che Cipro Nord è destinata a rimanere sotto l’egida turca. I timori della Turchia sono comprensibili considerando anche la funzione strategica che la TRNC svolge per Ankara dal punto di vista energetico e ospitando i droni Bayraktar TB2. Perdere influenza su Cipro del Nord vorrebbe dire perdere un asset prezioso, soprattutto per le politiche di Erdogan nel Mediterraneo. La vittoria del socialdemocratico Akinci sarebbe una spina nel fianco di Erdogan? Certamente qualora venisse confermato per un nuovo mandato di cinque anni, il Presidente dovrebbe continuare a conciliare il proprio programma con un governo locale reso ancora più ostile dalla sconfitta del Premier, dal quale tutto lo divide, a partire dalle posizioni sulla riunificazione, e con una Turchia sempre meno ‘tollerante’. Akinci, tuttavia, vedrebbe rafforzata la sua leadership e potrebbe, con buona pace di Ankara, riprendere con più slancio il dialogo con il Sud.