“L’Italia mantiene per gli USA una sua rilevanza geopolitica intrinseca, al di là dei numerosi cambi di governo”

 

Tra poche ore, il Segretario di Stato americano, Mike Pompeo, giungerà in Italia per una visita della durata di 5 giorni (si concluderà il 6 ottobre) durante la quale incontrerà il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, il Segretario di Stato vaticano Pietro Parolin e Papa Francesco.

Già direttore della CIA e da più di un anno successore di Rex Tillerson alla guida del Dipartimento di Stato, Pompeo, di cui peraltro sono note le origini italiane (la nonna paterna, Fay Brandolino, era figlia di Giuseppe Brandolino eCarmela Sanelli che da Caramanico Terme emigrarono negli USA mentre il nonno paterno, Harry Pompeo, figlio di Paolo Pompeo e Emma Pacella, nacquero entrambi a Pacentro, in Abruzzo, dove il capo della diplomazia americana è atteso venerdì per visitare quella che era stata la casa dei suoi nonni) inizia questo tour europeo in un momento molto complicato per l’amministrazione Trump, con il Presidente nella bufera per l”Ucrainagate‘ che potrebbe costargli una procedura di impeachment. A Roma, il Segretario di Stato troverà una nuova maggioranza di governo, composta da M5S e PD, che ha preso il posto di quella formata da M5S e Lega che, ad agosto, ha deciso di staccare la spina all’esecutivo guidato da Giuseppe Conte. Quella stessa Lega che, poco prima di esser colpita dallo scandalo ‘Russiagate‘ e rappresentata dall’allora Vicepremier e Ministro dell’Interno, Matteo Salvini, non più tardi di giugno, lo stesso Pompeo, insieme al Vicepresidente, Mike Pence, aveva accolto a braccia aperte a Washington, trattamento, peraltro, non riservato, qualche settimana prima, all’altro Vicepremier italiano, Luigi Di Maio.

L’uscita di scena di Matteo Salvini, come vedremo, ha privato l’amministrazione statunitense di un ‘alleato’ nel processo di disarticolazione e indebolimento dell’Unione Europea, in cui il Presidente americano è stato sempre impegnato. Tuttavia, a chiedere pubblicamente, con un tweet, che il Premier rimanesse «Giuseppi Conte» è stato proprio Donald Trump che molto punta sulla creazione di un particolare feeling con gli altri leader per poter meglio perseguire i propri obiettivi e tentare di risolvere le questioni più intricate.

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Anche tale sintonia potrebbe aiutare l’Italia a sfuggire, o quantomeno, ottenere un trattamento di favore onde evitare i danni economici conseguenti all’imposizione da parte degli Stati Uniti dei dazi su circa 8 miliardi di import europeo. La cifra è stata stabilita dal WTO (Organizzazione mondiale del commercio) come risarcimento per quanto subito dalla Boeing a causa della concorrenza sleale di Airbus: tutto inizia nel 2004, quando gli europei presenta un ricorso al WTO contro circa 19 miliardi di dollari di sussidi pubblici ricevuti dalla Boeing; Washington si oppose e, a sua volta, contestò i finanziamenti di Bruxelles ad Airbus. Se il primo verdetto ha dato ragione agli americani, il secondo, all’inizio del prossimo anno, potrebbe dare ragione agli europei. Intanto, però, sarebbe già pronta la lista delle merci da colpire fatta preparare da Robert Lighthizer, Rappresentante per il Commercio e consigliere del Presidente: una prima tranche di quattro miliardi colpirebbe il comparto dell’aeronautica dei Paesi membri del consorzio Airbus (Francia, Gran Bretagna, Germania e Spagna) mentre nella seconda del valore di altri quattro miliardi, potrebbero colpire l’agroalimentare, tra cui quello italiano, il cui mercato statunitense si attesta a oltre 5 miliardi di dollari.

La visita di Pompeo in Italia potrebbe essere l’occasione per il governo per esercitare una certa pressione sull’Amministrazione, dando, magari, in cambio delle rassicurazioni su alcuni dossier, come la Cina: la sottoscrizione del Memorandum delle Vie della Seta, molto sostenuta dal neo-Ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, non era per niente andata giù a Washington, anche per i timori legati al 5G e ai possibili rischi per la NATO. Sul fronte della tecnologia 5G, l’esecutivo dovrebbe chiarire se permetterà o meno un coinvolgimento alle grandi aziende cinesi. Molte altre sono poi le altre questioni sul tavolo: ad esempio, la Russia, ma anche l’Iran, il Venezuela, la Libia.

Come sopra ricordato, nel corso della sei giorni di permanenza nella Capitale, forse il 2 Ottobre, Pompeo varcherà le Mura leonine dove incontrerà l’omologo vaticano, Parolin, ma soprattutto, in via del tutto inusuale, avrà un incontro con il Papa. A trentacinque anni dall’inizio delle relazioni ufficiali tra la Santa Sede e Washington, sembra lontano anni luce il rapporto stretto che si era creato tra Ronald Reagan e Giovanni Paolo II: i rapporti tra Trump e Francesco sono, invece, estremamente freddi e i punti di contatto pochissimi. E’ possibile che Pompeo riesca ad intraprendere un’opera di ricucitura della relazione con la Santa Sede? Per quanto riguarda l’Italia, su cosa Pompeo e i rappresentanti delle istituzioni nostrane si troveranno più d’accordo? Ha risposto a queste domande Davide Borsani, Associate Reaserch Fellow dell’ISPI specializzato in Relazioni Transatlantiche,

 

Donald Trump, in piena crisi di governo, ha fatto un pubblico endorsement, via Twitter, a «Giuseppi Conte». Come viene visto da Washington il nuovo governo giallo-rosso? 

L’Italia mantiene una sua rilevanza geopolitica intrinseca, al di là dei numerosi cambi di governo che storicamente ci sono stati nel nostro Paese dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Questo vuol dire che Washington cerca, a prescindere dal colore del singolo governo, di mantenere aperto il canale di relazioni e lo fa perché la posizione strategica dell’Italia è fondamentale nell’ambito della strategia del ‘Grande Medioriente’ degli Stati Uniti e soprattutto della posizione italiana in seno alla NATO. Poi chiaramente l’Italia ha un ruolo nell’Unione Europea e, in questa fase, dovremmo chiederci se il ruolo italiano nell’UE possa essere influenzato meno dagli Stati Uniti e se gli Stati Uniti hanno interesse a influenzare il ruolo dell’Italia nell’UE. Chiaramente la Presidenza Trump, a differenza del predecessore, ha interesse a dialogare con i singoli Paesi europei, quindi in modo bilaterale, anziché prendere l’UE come unico interlocutore. Da questo punto di vista gli Stati Uniti continueranno a vedere l’Italia come un interlocutore essenziale per la propria strategia euroatlantica, ma dobbiamo essere realisti e tenere conto del fatto che l’Italia senza la sua membership nell’Alleanza Atlantica e nell’UE avrebbe un peso ridotto per gli Stati Uniti.

In quest’ottica, e cioè rispetto al tentativo di disarticolazione del fronte europeo, l’Italia è. dunque, ‘meno affidabile’ di prima?

Questa domanda dovrebbe essere chiarita, comprendendo prima quale sia il quadro ideologico in cui operano l’amministrazione Trump e il nuovo governo: se guardiamo dal punto di vista ideologico, certamente la spinta che dava prima Matteo Salvini a picconare l’Unione Europea era più funzionale alla linea di Trump, cioè di negoziare con un’Europa indebolita. Dall’altro lato, però, dobbiamo anche allargare la prospettiva perché non possiamo vederla solo come relazione tra Europa e Stati Uniti in quanto, altrimenti, faremmo solo il gioco ‘economicista’ dell’attuale Presidente degli Stati Uniti. In realtà, l’entourage di Trump, benché sia cambiato totalmente, ha anche degli uomini con una visione strategica a 360 gradi ed ecco che, ad esempio, il grande dilemma del ruolo dell’Unione Europea, e quindi dell’Italia, nell’ambito euro-atlantico lo metterei in relazione alla posizione rispetto alla Russia.

A tal proposito, le rivelazioni dello scandalo ‘Russiagate’ che ha colpito la Lega di Matteo Salvini, avevano effettivamente creato sconcerto e perplessità oltreoceano?

Diciamo che la posizione dell’Italia desta preoccupazione a Washington non tanto per quello che può fare la Lega o un altro partito, ma per la posizione complessiva dell’Italia rispetto alla Russia e che comunque trascende Salvini stesso. Negli ultimi 20 anni il rapporto bilaterale tra Roma e Mosca ha subito varie fasi e si è sempre cercato di non escludere la Russia dal concerto delle potenze europee: da una parte abbiamo approvato le sanzioni alla Russia stabilite dall’Unione Europea e volute fortemente da Washington per l’annessione della Crimea, ma dall’altro abbiamo sempre cercato di tenere aperta la porta del dialogo come, tra l’altro, è una nostra tradizione, fin dai tempi della Guerra Fredda. Il cambio di governo, da questo punto di vista, può avere un minimo impatto, se non altro a livello di retorica, ma teniamo conto che la posizione strategico-diplomatica dell’Italia rimane in una certa linea di continuità, attraverso i decenni e i vari governi. Diciamo che l’Italia mantiene un peso predeterminato.

All’interno della maggioranza di governo, di quale forza politica gli Stati Uniti si fidano di più?

Questa è una bella domanda. L’orientamento atlantista dell’Italia è qualcosa di consolidato fin dalla Guerra Fredda e la vera svolta si è avuta alla fine degli anni ‘90 quando anche un partito di ex-comunisti si schierò a favore dell’intervento della NATO in Kosovo. Inoltre, se vediamo la Lega, con una vicinanza ideologica alla Russia di Putin, ma ben accolto a Washington dal Vicepresidente Mike Pence e dal Segretario di Stato, Mike Pompeo, capiamo che gli Stati Uniti, al di là di alcune differenze e discrasie che possono emergere a livello superficiale, sanno che l’Italia ha una posizione geopolitica consolidata e che non è un cambio di governo o di partito che sposta la collocazione internazionale dell’Italia e questo riguarda non solo la Russia, ma anche la Cina.

Che impressione ha fatto agli occhi americani il neo-Ministro degli Esteri, Luigi Di Maio?

Diciamo che gli Stati Uniti hanno già alcuni problemi comunicativi con il nuovo Ministro degli Esteri.

In altre parole, guardano più al Premier Conte.

Assolutamente sì, ma questa enfasi sulle relazioni personali tra leader è una caratteristica di Trump. Sappiamo che le politiche estere sono fatte sulla base degli interessi nazionali, ma le capacità del singolo possono avere un’influenza a seconda dei leader: se pensiamo alla Gran Bretagna, c’è lo stesso partito al governo, ma Boris Johnson ha un approccio mentre Theresa May ne aveva un’altro. Quindi, a proposito di Di Maio, anche guardando al suo background professionale, chiaramente non è identificato come il grande esperto di politica estera, ma questo non toglie che gli Stati Uniti rispettano il Ministro in carica e approntano una certa relazione con Di Maio stesso. Tra l’altro, mi pare che, poco prima di Salvini, anche Di Maio fosse stato negli Stati Uniti e fosse stato ricevuto, però, dal Consigliere per la Sicurezza Nazionale, John Bolton. Questo è interessante perché mentre Salvini, pur avendo la stessa carica di Di Maio, viene ricevuto dal Vicepresidente degli Stati Uniti Mike Pence e dalla più alta carica all’estero, dopo il Presidente, il Segretario di Stato, Mike Pompeo, l’allora Vicepremier pentastellato viene ricevuto da una delegazione minore: John Bolton, in quanto Consigliere per la Sicurezza Nazionale è di nomina presidenziale e non approvato dal Congresso, aveva un ruolo istituzionale minore.

Un segnale dell’affinità che c’era con la Lega di Matteo Salvini.

Esattamente: c’era una maggiore attenzione a legittimare, a dare maggiore peso politico a Salvini piuttosto che al suo alleato.

Dal punto di vista dei dossier sul tavolo, abbiamo i dazi che Trump, nel rispetto di una decisione del WTO, potrebbe decidere di imporre su alcuni prodotti europei e che potrebbero danneggiare l’economia italiano. «Aspettiamo, credo si tratti di qualche giorno, la risposta dell’arbitrato WTO sulla decisione degli Stati Uniti di applicare dazi a prodotti UE. Quella decisione ci farebbe molto male, per cui posso assicurare che ha la massima attenzione del Governo e la mia personale» ha detto a riguardo il Premier Conte. Questo tema potrebbe raffreddare le relazioni bilaterali?

Se è vero quanto abbiamo letto sui quotidiani riguardo al piano degli Stati Uniti di implementare i dazi nel rispetto di una decisione del WTO, in quanto ritorsione per una mossa dell’Unione Europea, sicuramente tale imposizione, soprattutto sull’agroalimentare, vedrebbe l’Italia tra i Paesi colpiti maggiormente e avrebbe, senza dubbio, delle conseguenze nei rapporti tra Roma e Washington. Il fatto che Pompeo arrivi in Italia in questa fase apre a Conte e a Di Maio la possibilità di esercitare una qualche influenza, sperando che il nostro Paese possa avere un trattamento di favore simile a quello ricevuto al tempo delle sanzioni contro l’Iran o comunque che il piano dell’amministrazione Trump sui dazi venga applicato a merci che non danneggino l’economia italiana.

Per quanto concerne le relazioni tra Roma e Pechino, Luigi Di Maio, neo-titolare della Farnesina, è stato tra i principali fautori del Memorandum d’intesa per le Vie della Seta e questo aveva innervosito gli Stati Uniti. Anche il nuovo alleato di governo, come del resto la Lega in particolare per la questione del 5G, è stato piuttosto critico rispetto a questi accordi. Ritiene possibile un cambio di rotta?

L’Italia, in questo momento, ha come priorità quella di perseguire una crescita economica un po’ più sostenuta. In questo senso, il mercato cinese, in rapporto ad altre potenze europee, esporta ben poco: quindi è una priorità italiana implementare l’export in Cina e a prescindere dal partito. Altro discorso è l’aspetto strategico del rapporto tra Italia e Cina ed è qui che ha maggiore interesse, quantomeno nel breve-medio periodo, l’America: nella fattispecie, con il famoso dossier del 5G. Da questo punto di vista, credo che gli Stati Uniti siano disposti a non esercitare pressioni sull’Italia fino al momento in cui il rapporto si mantiene sul piano economico, come opportunità di scambio di merci e investimenti, e non vada ad intaccare la dimensione strategica, ovvero la condivisione di informazioni più o meno sensibili di cui l’Italia entra in possesso in quanto membro della NATO e alle quali interesserebbe molto alla Cina accedere. Su questo punto, quindi gli Stati Uniti faranno pressioni per avere rassicurazioni.

Sulla Russia?

Io credo che, anzitutto, prima di un chiarimento della posizione italiana, ritengo ci debba essere un chiarimento nella politica statunitense: stiamo parlando di una Presidenza, in particolare il Presidente, che guarda con distensione o ammirazione, a seconda di come la si intenda, al rapporto con Putin. D’altro canto, allargando lo sguardo, a partire dall’ex Consigliere per la Sicurezza, John Bolton, arrivando al Congresso e all’opinione pubblica, siamo di fronte ad un atteggiamento totalmente diverso in relazione alla Russia, quasi da ‘paura rossa’. Stiamo parlando di un’ambivalenza che, finché non sarà risolta dal Presidente degli Stati Uniti, l’Italia cercherà di mantenere una posizione di alleata fedele all’Alleanza Atlantica, ma con la possibilità di mantenere il dialogo aperto con la Russia, auspicando un momento in cui le relazioni possano distendersi e, magari, giocare anche il ruolo di ‘mediatore’.

Riguardo al Venezuela, molti mal di pancia aveva creato negli Stati Uniti la decisione del primo governo Conte, soprattutto per volontà del M5S, di non riconoscere, come invece aveva fatto buona parte dei Paesi europei, ufficialmente Juan Guaidò. La crisi sembra versare in un momento di stallo, ma è escluso che l’Italia cambi approccio?

In Venezuela, appunto, al momento, sembra esserci stabilità nel senso che nessuna delle due parti ha avuto una vittoria sull’altra e anche gli Stati Uniti sembrano non essere riusciti ad ottenere l’abbandono di Maduro. Chiaramente il governo italiano ha una serie di connazionali in Venezuela da tutelare, ma, al di là di questo, un riconoscimento, adesso, di Juan Guaidò o comunque un’opposizione a Maduro è totalmente esclusa, soprattutto adesso che la situazione è più stabile, anche per tutelare la popolazione italiana che si trova lì.

In merito al Medioriente, in particolare sulla questione iraniana, l’Italia è sembrata non proprio sulla stessa posizione degli altri Paesi europei, favorevoli al mantenimento dell’accordo nucleare. Eppure l’Italia ha una certa tradizione nei rapporti con la Repubblica Islamica. Questo dossier è particolarmente importante per gli Stati Uniti: è possibile che l’Italia prenda una posizione più vicina a quella di altri Paesi europei?

Dobbiamo tenere in considerazione due aspetti: il primo è che, oltre alla dimensione storica dei rapporti, abbiamo anche degli interessi energetici ed economici, nel senso più ampio; il secondo è che noi, a livello diplomatico, scontiamo la decisione del governo Berlusconi di non partecipare al tavolo dei negoziati. L’unica cosa che possiamo fare è lavorare di cesello, per quello che ci è possibile fare attraverso i canali diplomatici aperti e cercare di spiegare le nostre ragioni agli Stati Uniti, sperando che questi ce li riconoscano, anche se sembra difficile.

Gli Stati Uniti sembrano disimpegnati da quelle che sono le dinamiche interne della Libia, al centro, peraltro, di una grave guerra civile e della competizione tra diversi Paesi, europei e non. Trump aveva affidato una cabina di regia all’Italia, ma poi aveva fatto mancare il suo sostegno al tentativo di ricomporre la crisi. Oggi l’Italia, anche per le conseguenze sul piano migratorio e degli interessi strategici, avrebbe quanto mai bisogno di un’America più attiva sul piano della risoluzione diplomatica: rimarrà solo un auspicio?

Gli Stati Uniti sono in una fase di generale ridimensionamento: da questo punto di vista, c’è anche una riorganizzazione degli impegni oltremare e già l’intervento della NATO con il supporto americano per detronizzare Gheddafi fu fondamentale per la riuscita della missione militare. Quello che è successo dopo lo sappiamo: rivalità tra i Paesi europei in un teatro molto complesso per gli attori e poi attraversato da flussi migratori. L’Italia aveva ottenuto il riconoscimento di un ruolo primario, appunto la cabina di regia, che è stato un gesto per lo più simbolico, diplomatico, privo di un vero sostegno politico all’Italia in rapporto alla rivalità con la Francia. Quindi vedo molto difficile che un’amministrazione come quella di Donald Trump possa prendere degli impegni onerosi in relazione ad un teatro di totale disinteresse per gli Stati Uniti, tanto più, in un momento in cui, soprattutto da quando Trump è Presidente, l’America chiede ai Paesi europei di destinare maggiori risorse alla sicurezza dell’Europa per emanciparsi dagli Stati Uniti stessi.

All’inizio dell’anno Trump aveva annunciato il ritiro di soldati dall’Afghanistan. Qualche settimana dopo, l’ormai ex Ministra della Difesa, Elisabetta Trenta, aveva annunciato la decisione di «valutare l’avvio di una pianificazione per il ritiro». Anche alla luce di quanto avvenuto negli ultimi tempi, cosa si può dire a riguardo?

L’Italia, fin dagli anni ‘80, fa delle sue partecipazioni alle missioni all’estero una leva della propria politica estera. In questo senso, l’aver mantenuto in Afghanistan delle truppe con compiti rilevante è stato estremamente apprezzato dagli Stati Uniti e le ha dato modo di aver voce al tavolo diplomatico, anche in seno all’Alleanza Atlantica. Per adesso, anche gli Stati Uniti sono riguardati da un ampio dibattito sulla presenza soprattutto nel momento in cui il processo di pace, secondo quanto dichiarato da Trump, è chiuso, le truppe sono destinate a restare e quindi anche l’Italia dipende, in questo senso, dalle decisioni americane nel senso che la presenza del contigente italiano, finché l’operazione NATO è in piedi e cioè finchè lo vogliono gli Stati Uniti, è destinata a rimanere. Ridurre parzialmente il contigente è senza dubbio sul tavolo, ma un ritiro è escluso.

Nel corso di questa visita a Roma, il Segretario di Stato americano, Mike Pompeo, incontrerà il Segretario di Stato vaticano Pietro Parolin e avrà, secondo alcune indiscrezioni, un colloquio privato con Papa Francesco. E’ il tentativo di Trump, anche in vista delle elezioni del 2020, di ricucire un rapporto, al momento non proprio idilliaco, con la Santa Sede? Su quali temi ci potrebbe essere maggiore avvicinamento e su quali meno?

Per esempio sul Venezuela: l’azione diplomatica della Santa Sede in America Latina è di fondamentale rilevanza e imprescindibile per tentare di risolvere crisi come quella venezuelana. E questo è un elemento di notevole rilevanza soprattutto nel momento in cui i rapporti tra i due leader non sono idilliaci: poche settimane fa la frase di Bergoglio nella quale diceva di essere orgoglioso se anche gli americani lo criticavano. Teniamo poi sempre presente che Bergoglio, come background culturale e anche politico, ha un’avversità quasi naturale contro l’imperialismo nordamericano sui Paesi latini. C’è quindi la necessità di distendere i rapporti con un leader universale e poi, in terzo luogo, la presenza della Santa Sede anche in altri teatri come quello del Medioriente dove, comunque, nonostante non sia coinvolta come in America Latina, svolge un ruolo di mediazione e di sostegno alle minoranze. Ricordiamo poi la Cina, visto che i rapporti tra la Santa Sede e Pechino sembrano in evoluzione: gli Stati Uniti, anche con un occhio ai diritti umani, vorrebbero seguire la stessa evoluzione.