L’ analisi del voto con Antonello Biagini, professore emerito di Storia dell’Europa Orientale presso l’Università La Sapienza di Roma

 

 

Ieri, domenica 24 giugno, si sono tenute in Turchia le elezioni presidenziali e legislative. «I risultati non ufficiali delle elezioni sono chiari. La nostra nazione mi ha affidato la responsabilità di presidente della Repubblica. Con un tasso di partecipazione di quasi il 90% la Turchia ha dato una lezione di democrazia al mondo» ha detto Erdogannel suo discorso alla folla ieri sera. «Spero» – ha aggiunto – «che nessuno ora voglia gettare ombre sui risultati e danneggiare la democrazia per nascondere il proprio fallimento». Con queste parole, ha inaugurato in piazza la sua nuova presidenza, questa volta, però, con poteri più ampi dovuti alla riforma costituzionale approvata dal referendum dello scorso anno. La vittoria potrebbe aver messo fine all’ incertezza dei mercati come testimonia il fatto che la lira turca, in apertura di contrattazioni, ha guadagnato 2% sul dollaro. Nelle ultime ore, inoltre, sarebbe stata confermata la linea annunciata dal leader dell’ Akp in campagna elettorale ovvero della cancellazione dello stato d’ emergenza.

Alle presidenziali, dunque, Erdogan è risultato il vincitore, sfiorando il 54% dei voti, e questo gli ha permesso di non passare per il secondo turno. Il suo principale sfidante, il candidato del Chp, Muharrem Ince, ha ottenuto il 30,6% dei voti e, nonostante la denuncia di irregolarità, ha riconosciuto la vittoria dell’ avversario. La candidata del Partito Buono, Meral Aksener,  ha raggiunto il 7,3% , venendo superata non solo da Ince, ma anche da Selahattin Demirtas, leader dell’ Hdp, che da più di un anno in prigione a Edirne con l’accusa di sostegno al terrorismo curdo e che ha ottenuto l’8,4% dei consensi. «L’ingiustizia più grande delle elezioni è stato il fatto che sono stato costretto a guidare la campagna elettorale da prigioniero – aggiunge – In ogni caso si discuterà della legittimità dei risultati»… «Mentre gli altri candidati hanno potuto presenziare a 100 comizi elettorali, io sono riuscito a fare 100 tweet» precisa in una serie di tweet il candidato del partito filo curdo. Parole simili ha usato Ignacio Sanchez Amor, a capo della missione di osservazione elettorale dell’Osce: «le condizioni dei candidati durante la campagna elettorale non sono state paritarie» e poi «Le restrizioni delle libertà fondamentali a cui abbiamo assistito hanno avuto un impatto su queste elezioni. Ci auguriamo che la Turchia elimini queste restrizioni al più presto possibile».

In base ai risultati non ufficiali pubblicati dall’agenzia di stampa turca “Anadolu”, alle legislative, l’ Alleanza del popoloha conquistato il 53,7% dei voti, pari a 344 deputati, 43 in più i 301 necessari a formare la maggioranza: l’ Akp avrebbe ottenuto il 42,6%, portando in parlamento 295 deputati, risultato inferiore alla maggioranza mentre l’ alleato, l’ MHP, il Movimento Nazionalista, avrebbe superato la soglia di sbarramento al 10%, aggiudicandosi l’11,1% con 49 seggi. Di contro, l’ Alleanza della nazione, composta dal CHP, dal Partito Buono (Iyi) di Meral Aksener e dal Partito della Felicità (Saadet) di Temel Karamollaoglu, si è attestata al 33,9% dei consensi: nello specifico, il Chp avrebbe ricevuto il 22% dei consensi, il Partito Buono, avrebbe ottenuto il 10% dei voti con 43 deputati.  Grande successo ha avuto l’ HDP, il partito filo curdo, in corsa da solo, raggiungendo l’11,7% dei voti con 67 seggi. Secondo quanto anticipato dal quotidiano Haberturk, potrebbero essere solo 78 le donne nel nuovo Parlamento di Ankara, di cui 39 del partito di Erdogan, l’ Akp. Alle elezioni del 2015 furono 96 le parlamentari elette su un totale di 550 deputati.

Antonello Biagini, professore emerito di Storia dell’Europa Orientale presso l’Università La Sapienza di Roma, oltre che presidente della Fondazione Roma Sapienza, analizza l’esito elettorale.

Qual’ è la sua lettura dell’ esito delle elezioni?

L’ esito contraddice quelle che erano più speranze che realtà effettiva. La speranza non era tanto che perdesse le elezioni, quanto piuttosto che si potesse arrivare al ballottaggio, il che sarebbe stata già una grande vittoria per l’opposizione perché non avrebbe dato questo bollo di supremazia ad Erdogan. All’ interno, le difficoltà erano ovviamente tantissime perché, come sappiamo, gli organi di stampa, la televisione erano in maggioranza su posizioni vicine ad Erdogan che ha perseguito, in questi anni, una politica finalizzata a stroncare l’ opposizione con metodi, diciamo, non democratici, con la proclamazione dello stato d’emergenza, in seguito al presunto golpe che, vero o no, gli ha consentito di accelerare il processo di limitazione delle libertà. Siccome la democrazia costituisce un po’ la somma di tante libertà, formalmente, possiamo dire, essa viene rispettata, ci sono delle votazioni in cui viene raggiunta una maggioranza che, però, non è strabiliante se si considerano i 17 anni di potere e anche alcune mosse indovinate. In questo senso, c’è un discorso storico da fare: il partito di Erdogan ottiene la maggioranza nel 2012 e comincia una politica che, però, a livello locale era già iniziata, di grande attenzione sociale, di espansione della sanità, di benefici per i lavoratori. Ovviamente, una politica ad aumentare il consenso di quel partito, uscendo da una fase in cui tutta l’ area laica repubblicana si era appannata, sia per motivi legati a scandali di corruzione sia per il lungo periodo durante il quale era stata al potere. Da questo punto di vista, era un ciclo che si chiudeva e questo partito di ispirazione religiosa che riproponeva alcuni valori che sappiamo essere quelli che, spesso, fanno più presa nella gente più umile, nelle periferie, nella Turchia più interna, contadina fece aumentare progressivamente il consenso nei confronti di Erdogan. Poi c’ è una svolta perché, grossomodo, per una decina di anni, il governo di Erdogan ebbe una politica interna di questo tipo e, in politica estera, invece, si mosse nel solco della tradizione, quindi la Nato, l’ Europa che continua a negare l’ ingresso e, forse qui, c’è stato un errore perché l’ opinione pubblica turca, negli anni 2000, era maggioritariamente favorevole al discorso europeo per poi distaccarsene. Un discorso di questo tipo trasforma e porta la classe dirigente che si forma intorno ad Erdogan ad assumere poteri non negoziabili con altre forze politiche. Poi ci sono anche gli scandali che investono le amministrazioni, gli stessi parenti, figli ed amici di Erdogan, però la sua posizione di forza gli fa assumere una politica estera che fa della Turchia un soggetto autonomo rispetto alle tradizionali alleanze. Bisogna ricordare che, quando ci fu l’ invasione dell’ Iraq, la Turchia negò le basi agli Stati Uniti, ribaltando la politica filoccidentale che la caratterizzava dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Il fatto che gli Stati Uniti non abbiano più esercitato un ruolo importante nello scenario mediorientale, come nel caso della Siria, ha favorito il ruolo della Russia ed anche della Turchia.

Come valuta l’ alto tasso di partecipazione, definito da Erdogan «una lezione di democrazia» che la Turchia ha impartito al mondo?

L’ alto tasso di partecipazione è anche merito delle forze di opposizione perché quando il tasso era minore, erano soprattutto i laici, i delusi che magari non andavano a votare. Va anche detto che nei primi anni di governo di Erdogan, anche una certa quota della borghesia turca ha votato per lui perché lo si vedeva come colui che avrebbe potuto moralizzare la situazione, tenuto conto che ci sono stati anni in cui sono state fatte riforme interne anche in vista dell’ Europa, ha fatto liberalizzazioni con modalità sicuramente migliori rispetto a quelle adottate da altre parti. Io ricordo sempre che Abdullah Gül, che è stato anche presidente, quando era ministro, affermò che comunque fossero andate le cose, “per la Turchia è stata positiva la prospettiva dell’ Europa perché ci ha indotto a fare delle riforme necessarie”. Così come la crescita dell’ economia che è poi tornata a calare, ma ci sono stati anni di notevole sviluppo.

Come inciderà sulle politiche del nuovo governo il Partito del Movimento Nazionalista (MHP), alleato dell’ AKP di Erdogan e che ha conquistato l’ 11,5% dei consensi a livello parlamentare, divenendo necessario al presidente?

Anche questa è una svolta notevole perché in genere il Movimento Nazionalista era più su posizioni laiche, kemaliste. Evidentemente, in questa ondata di nazionalismo che comunque è presente un po’ in tutto il mondo, con una forte ripresa dell’ identità nazionale, ha influito in positivo in questo caso. Però, io penso che dall’ analisi del voto è che c’è il rischio che Erdogan continui nel processo di assolutizzazione del potere, secondo le modifiche alla Costituzione approvate l’ anno scorso con il referendum. Si tratta di cose pericolosissime per la democrazia. Però, detto questo, Erdogan si trova di fronte un’ opposizione piuttosto consistente. E quindi, da questo punto di vista, visto che fino ad oggi si è dimostrato un politico per certi raffinato, potrebbe prevalere quella quantità di buonsenso capace di portare ad allentare questa corsa verso un sistema potenzialmente autoritario.

L’ alleanza tra l’ AKP e il Movimento Nazionalista è solida o potrebbero crearsi delle frizioni? Dovrà fare delle concessioni?

La specificità di peso è comunque bassa. Poi, si tenga conto di un fatto: Erdogan, in questi anni, ha fatto una politica nazionalista. Quando ha riproposto la Turchia come ‘ago della bilancia’ o come una potenza capace di intervenire nello sfacelo del medioriente, è chiaro che ha portato avanti una politica nazionalista ed è qui che nasce l’ accordo. Più che concessioni, potrebbe rallentare certi processi. Un’ altra abilità di Erdogan è che mentre va snaturando tutta la portata ideologica e sociale del kemalismo, non lo ha mai rinnegato: come a dire che Kemal Ataturk rimane il padre della patria, rimangono le fotografie lungo le strade. Questa è un’ ulteriore prova della sua capacità perché non ha inteso smontare questa figura vitale della Patria, di colui che è stato all’ origine della Patria, ma svuotandone, in un certo senso, il contenuto perché ha cominciato ad infliggere dei colpi notevoli al concetto di laicità dello Stato, uno dei punti sui quali Kemal aveva insistito di più anche per necessità: infatti, venendo da un sistema teocratico come quello ottomano, è chiaro che per fare una cesura e per modernizzare doveva togliere tutto quello che era possibile, compreso le proprietà dei religiosi. In questo senso, Erdogan ha mostrato un’ abilità politica non secondaria perché è molto simile a quello che ha fatto Putin in Russia.

Qual è stato, secondo lei, il punto debole del principale partito di opposizione, il CHP?

Il problema è prima di tutto dell’ offerta che tu fai: un partito di opposizione deve riuscire a coinvolgere tutti, senza perdere la sua identità.  Qualcosa avevano fatto, anche il principale partito di opposizione non parlava di tornare ai valori laici assoluti: quindi, in qualche modo, cercava di tranquillizzare su questo piano quella parte di popolazione ‘più religiosa’. Ma nessuno, in questi anni, è riuscito a mettere un freno a questa progressiva espansione del consenso riscosso da Erdogan e dal suo partito. Tant’è vero che quando ci furono le proteste di Ghezi Park, la cosa si risolse ben presto in un nulla di fatto. Certamente, prima o poi qualcuno dovrà ragionare a fondo su questa vicenda del fallito colpo di stato perché una serie di cose, tra cui la legislazione speciale, le epurazioni, nascono da lì. Mi è sembrato abbastanza strano, vista la tradizione militare turca, il comportamento dei soldati quel giorno che sembravano smarriti come i soldati russi quando entrarono a Praga. Sa cosa penso di questo colpo di stato? Secondo me il gruppo dirigente già aveva fiutato che c’ era qualcosa nell’ aria. Non lo ha impedito per poi poterlo usare a proprio vantaggio. E’ strano che si organizzi un colpo di stato con quella approssimazione. Quel che è certo è che grazie a questo evento, lui ha potuto accelerare la trasformazione in repubblica presidenziale. E quando si mette mano alle riforme costituzionali, sai da dove parti, ma non sai dove arriverai perché, progressivamente, senza neanche colpi di mano, ma modificando alcune norme, restringi il campo delle libertà. Il discorso della magistratura è molto pericoloso per la tenuta di una democrazia: si continuano a fare le elezioni, ma comincia a venire in meno la divisione dei poteri e il contesto di libertà e diritti fondamentali. La repubblica presidenziale non è antidemocratica di per sé. Può leggermente diventarlo in sistemi più deboli. Qui si sconta anche la mancanza di leadership internazionale: non funziona l’ Europa per noi europei, non funzionano le Nazioni Unite per tutte le grandi crisi, non hanno funzionato, come ‘gendarme’ del mondo, gli Stati Uniti che si sono dimostrati incapaci di governare alcuni processi complessi.

Come si spiega l’ insuccesso di Meral Aksener, soprannominata ‘la donna di ferro della Turchia’, data da molti come possibile sfidante della leadership del presidente uscente? Cosa l’ ha penalizzata?

Quando ho letto cose simili, sono rimasto un po’ meravigliato perché mi sembrava strano che una persona che viene da un certo tipo di movimento, che se ne distacca, possa avere un grande consenso. La strategia delle opposizioni era: ‘andiamo separati, poi se arriviamo al ballottaggio, andiamo uniti’. E’ un discorso che funziona poco perché se gli altri partiti, a partire dal CHP e dall’ HDP curdo, potevano contare su una propria immagine, una persona che si stacca da un movimento che, nel frattempo, si avvicina ad Erdogan, su chi può contare? Forse sulla vecchia classe sociale kemalista, ma quanti sono? Ho l’ impressione che a volte a molti di noi capiti di prospettare una realtà che è più una speranza. Quando si esce da un partito, tranne in pochi momenti magici, è difficile distinguersi dal solco che si è appena abbandonato: chi non ti votava più, non ti vota più a prescindere; quelli più legati ad una certa tradizione o ideologia, rimangono legati al partito che hanno sempre votato.

Quali riflessi avrà sulla politica di Erdogan il successo del partito filo curdo, l’ HDP?

Il risultato elettorale dell’ HDP è estremamente notevole, considerato che hanno il leader in carcere. Poi tenga presente che, secondo me, i curdi sono vittime di un’ ingiustizia storica che parte dalla prima guerra mondiale e arriva fino ai giorni nostri. Quando a Versailles si tennero le trattative di pace, i curdi chiesero uno Stato per sé, ma poi vennero divisi in quattro Stati. Vennero poi sempre usati da qualcuno come strumento. Sono stati, negli ultimi anni, ad esempio, strenui combattenti dell’ ISIS, ma questo non li fa mai entrare nel meccanismo virtuoso delle trattative di pace. La Turchia è arrivata addirittura a negare l’ esistenza dei curdi. Quindi effettivamente è un grande risultato, poi si tenga conto che tutti questi partiti avevano a disposizione pochi spazi di propaganda, sia a livello di carta stampa che a livello di tv. Da questo punto di vista, si potrebbe addirittura affermare che è stata una grande vittoria dell’ opposizione perché partendo da condizioni svantaggiate, è riuscita ad arrivare a questo risultato. Se in parlamento riescono a fare un blocco unitario, ovviamente qualche problema posso crearlo ad Erdogan per il quale avere un’ opposizione che continuamente cerca di bloccarti le azioni potrebbe essere un ostacolo non indifferente. Poi c’è la questione economica.

Quanto ha contato la mancanza di una piattaforma programmatica comune al blocco dell’ Alleanza Nazionale?

Tantissimo. Dalle analisi dei flussi elettorali, spesso si vede come le divisioni facciano più perdere che acquisire voti perché poi tutti gli indecisi vanno verso una forza più consistente, capace di dare più garanzie e viene scelta anche come male minore.

Quale ruolo ha avuto nel voto le difficoltà dell’ economia?

Intanto dobbiamo sottolineare un fenomeno strano: in genere la forza che sta al governo quando inizia una crisi economica, perde terreno. In questo caso, nonostante le difficoltà economiche, non è avvenuto: questo dimostra come l’ adesione irrazionale ad una forza politica, così come ha metabolizzato gli scandali di corruzione di Erdogan, ha metabolizzato anche questa crisi perché, evidentemente, la propaganda può far credere che i problemi non siano originati dalle azioni del governo. Poi va considerato che l’ economia va a cicli: quindi non si può sempre crescere sempre allo stesso modo. In questo senso, la crisi economica non ha influito sul voto anche perché non è così diffusa da coinvolgere le classi più deboli.

Il vice primo ministro turco, Bekir Bozdag, ha annunciato che il nuovo governo adotterà le misure necessarie per revocare lo stato di emergenza in Turchia. Come interpreta questa prospettiva, promessa, peraltro, da Erdogan già durante la campagna elettorale?

Mi sembra una mossa di distensione anche nei confronti dell’ opposizione. E’ un fatto positivo: la fine di leggi speciali già segna una normalizzazione. Segna un allentamento delle tensione interna così come una sicurezza del potere. E questa distensione si rivolgerebbe anche all’ esterno, a livello internazionale. Difficile dire se questo porterà un maggiore consenso ad Erdogan: la fine dello stato d’emergenza potrebbe indurre l’ opposizione ad avere un maggiore spazio di manovra e, in prospettiva, immaginare di poter cambiare la situazione attraverso un passaggio elettorale.

La politica estera del nuovo governo di Erdogan si svilupperà in linea di continuità con quanto fatto finora?

L’ assurdo è che siamo riusciti a far alleare la Turchia con la Russia. Questo non era assolutamente prevedibile visto che la Russia, nelle sue diverse versioni, è il nemico che sta al confine con la Turchia. Inoltre, questa politica estera di sovraesposizione all’ esterno ha funzionato anche in politica interna, affermando nella popolazione l’ idea di una Turchia quale potenza capace, per esempio, di combattere contro lo Stato Islamico. Da questo punto vista, sebbene formalmente la Turchia faccia ancora parte della NATO, si è iniziata a muovere autonomamente. L’ acquisto di sistemi di difesa dalla Russia è un esempio di  errore politico dell’ Occidente che determinerà il fatto che la Turchia si rivolgerà sempre più altrove. La riscoperta della capacità di fare una politica estera più autonoma rispetto agli altri ha dato una maggiore visibilità sul piano internazionale ad Erdogan; l’ Unione Europea lo ha poi rafforzato con quell’ accordo per la gestione dei flussi di rifugiati. Quindi, chi per un motivo chi per un altro, tutti hanno contribuito a rafforzarlo.

A questo proposito, considerato che in ballo ci sono oltre 3 milioni di rifugiati siriani ed un accordo miliardario, l’ Europa riuscirà a gestire un Erdogan rafforzato?

Finché l’ Europa paga, l’ accordo funziona. E questo è un ricatto che Erdogan fa all’ Europa e, a forza di tenerla fuori dalla porta, si rischia di perderla.

Per quanto riguarda il teatro siriano, la Turchia sta cercando di espandere la propria influenza. Come interlocutori ha la Russia e l’ Iran che hanno combattuto dal fronte opposto e dalle quali sono giunte le prime congratulazioni al vincitore. Come si proietterà, dunque, Erdogan in quello scacchiere, in seguito a questo ultimo rafforzamento?

Erdogan in questo teatro ha giocato d’azzardo poiché, paradossalmente, si troverà male non appena il problema siriano sarà risolto. Questo perché, con tutta probabilità, non otterrà quello che aveva immaginato. E il contraccolpo sarà forte. Tutti i soggetti che hanno operato in quest’ area si potrebbero scontrarsi l’ uno con altro, come spesso accade quando finisce un conflitto, in un contesto intricato e complicato.

Come si potrebbero caratterizzare le relazioni con l’ Italia che, ultimamente, su UE e immigrazioni ha assunto delle posizioni molto più dure?

Il paradosso di questa situazione è che persone le cui idee di fondo sono simili, si ritroveranno ad essere in contrasto. Come dicevo giorni fa ad alcuni colleghi, nessuno in Europa vuole i migranti e nessuno mette mano ad un progetto. La Turchia ha bisogno dell’ Italia come l’ Italia ha bisogno della Turchia visto il grande scambio manifatturiero dal quale non si può prescindere. Poi ci possono degli episodi di frizione come il caso della nave ENI al largo di Cipro, dovuti, magari, ad una mancanza di chiarezza o di trattative precedenti. Ma poi si arriverà al punto in cui tutti questi nazionalismi si troveranno in contrasto tra di loro.