“Il rapporto rimarrà piuttosto forte. Dipende da come Roma vorrà svilupparlo più in là”

 

«La cooperazione tra Italia e Cina sarà rafforzata con intese commerciali», ha detto questa mattina Sergio Mattarellaal Quirinale dopo il colloquio con il leader cinese Xi Jinping, giunto a Roma nella serata di ieri con la moglie Peng Liyuan e con una delegazione di oltre 500 membri, di cui oltre 100 giornalisti, per una visita che si concluderà domani, per poi recarsi a Montecarlo e in Francia. Una visita che occupa da giorni le prime pagine dei giornali di tutto il mondo, in primis della Cina stessa, bersagliata nelle ultime ore dalle invettive di Steve Bannon, l’ideologo della campagna elettorale di Donald Trump. «La firma del Memorandum è cornice ideale per imprese italiane e cinesi», ha precisato il Capo dello Stato italiano, aggiungendo che la Via della Seta «è una strada a doppio senso» e che «il 2020 sarà l’anno culturale e del turismo tra Italia e Cina». Non sono mancati riferimenti da parte del Presidente italiano al desiderio del Belpaese di «rimuovere le barriere per i prodotti italiani» e all’ auspicio di un dialogo UE-Cina sui diritti umani.

L’importanza attribuita a questa visita da parte del Presidente cinese è ormai nota ed è legata alla sigla del Memorandum d’Intesa tra Italia e Cina sul progetto One Belt OneRoad, (le Nuove Vie della Seta) piano di connessione infrastrutturale tra Asia, Europa e Africa lanciato nel 2013, ambizioso quanto controverso visto che ad alcuni Paesi aderenti è costata la caduta nella cosiddetta ‘trappola del debito’. Un MOU non vincolante, ma comunque molto discusso sia a livello internazionale che a livello interno italiano: da un lato, infatti, l’Italia, sebbene non il primo (si veda il caso di Grecia, Portogallo, Polonia, Ungheria), tuttavia il più grande in Europa, è invece il primo Paese del G7, fondatore dell’UE e membro della NATO, che aderirà al piano cinese, riconoscendone, a tutti gli effetti, legittimità politica. Risultato che viene ottenuto con due surplus: il primo rimanda al valore simbolico della firma da parte del Paese patria di Marco Polo; il secondo riguarda la posizione geografica in mezzo al Mediterraneo che farebbe dell’Italia la porta d’ingresso delle merci provenienti da Oriente, dall’Oceano Indiano, attraverso il canale di Suez e di uscita per le merci che seguiranno il percorso contrario.

Tutto questo ha preoccupato fin dal primo momento gli Stati Uniti che identificano in Pechino, insieme a Mosca, l’avversario principale, con il quale sono nel bel mezzo di una guerra commerciale, forse in fase conclusiva: «Vediamo la Belt and Road come un ‘made by China’, per l’iniziativa della Cina», aveva dichiarato Garrett Marquis, portavoce del National Security Council, in risposta all’intervista al Financial Times del Sottosegretario al Ministero dello Sviluppo economico, Michele Geraci, mettendo in chiaro: «Siamo scettici sul fatto che il sostegno del governo italiano porterà benefici sostanziali agli italiani e potrebbe finire per danneggiare la reputazione globale dell’Italia sul lungo periodo». Seccata si era fin da subito mostrata, peraltro, anche l’Unione Europea: «né la Ue né nessuno Stato membro può ottenere efficacemente i suoi obiettivi con la Cina senza piena unità», aveva chiarito la Commissione Europea. Tutti gli Stati – aveva precisato – «hanno la responsabilità di assicurare coerenza con leggi e politiche Ue e di rispettare l’unità dell’Ue nell’attuare tali politiche».

I timori degli Stati Uniti, che vedono nelle Vie della Seta un progetto per limitare la propria influenza, erano soprattutto focalizzati sull’aspetto infrastrutturale del Memorandum Italia-Cina, in particolare sui porti come Venezia, Genova e Trieste, e su Huawei, il colosso della tecnologia del 5G, potenziale minaccia dell’interoperabilità atlantica e contro la quale Washington si è già mossa approvando la norma 889 del National Defense Authorization Act (NDAA) del 2019 che vieta alle agenzie federali di acquistare i suoi prodotti, oltre ad aver fatto arrestare Meng Wanzhou, direttore finanziario ed erede del fondatore.

Nonostante gli Stati Uniti non abbiano mai fornito le prove delle accuse di spionaggio per conto di Pechino rivolte a Huawei e nonostante un alleato come la Gran Bretagna abbia definito ‘gestibili’ le eventuali minacce informatiche dell’impresa cinese, la linea dell’Italia su Huawei e, di conseguenza, sul Memorandum non è stata unitaria fin dall’inizio: «Voglio controllare settori strategici per la sicurezza nazionale» perché «le chiavi di casa le devono possedere gli italiani» aveva affermato il vicepremier oltre che Ministro dell’Interno Matteo Salvini, spiegando di voler «controllare chi viene a investire in Italia, su cosa viene a investire e che non siano settori strategici». Parole che che sembravano raccogliere i timori d’oltreoceano e che avevano frenato l’entusiasmo del Movimento Cinque Stelle, (già anti-TAP, anti-MUOS e favorevole ad una rivisitazione del programma F35), e del suo leader, Luigi Di Maio, titolare del Ministero dello Sviluppo economico, (forse proprio per questo molto più attento alle ricadute finanziarie per un Paese che si prepara a nuove difficoltà). «Negli ultimi giorni ho visto posizioni diverse, un po’ schiacciate su quello che chiedono gli altri Paesi e non su quello che vuole e fa bene all’Italia. Mi ha sorpreso, non lo nascondo», aveva risposto piccato il vicepremier pentastellato, a pochi giorni dalle tensioni sulla TAV. Ad eliminare i dubbi era poi arrivato il via libera dal Quirinale e da Palazzo Chigi, con la rassicurazione che i settori delle telecomunicazioni non sarebbero entrati a far parte degli accordi e, successivamente, l’allargamento della golden power al 5G voluto dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, il leghista Giancarlo Giorgetti.

Martedì il premier Giuseppe Conte, alla Camera e al Senato, ha preso le difese del Memorandum che non metterà in discussione la collocazione euro-atlanticadell’Italia il cui approccio è «tra i più lungimiranti ed efficaci che siano mai stati applicati in ambito europeo». Le Vie della Seta – ha rimarcato il Premier – serviranno a potenziare l’export italiano verso un mercato enorme. Al momento, il Belpaese è già il terzo partner commerciale europeo di Pechino dopo Francia e Germania visto che la Cina rappresenta circa il 2,7% delle esportazioni italiane, per un valore di 11,1 miliardi di euro mentre le importazioni dalla Cina valgono 27,3 miliardi di euro, pari all’1,3% del mercato di esportazione cinese. Nella penisola, Shanghai Electric detiene il 40% di Ansaldo Energia, State Grid Corporation possiede il 35% di Cdp, il porto di Qindao e Cosco detengono il 49,9% del porto di Vado Ligure. In quest’ottica, oltre al Memorandum, è prevista la sottoscrizione di oltre trenta accordi tra le aziende italiane e cinesi: tra questi, la possibile maxi operazione che vede protagonista Cassa Depositi e Prestiti a cui verrebbe data la possibilità di emettere Panda bond, cioè obbligazioni emesse in valuta cinese per sostenere le aziende italiane che sono già in Cina o che comunque sono decise ad andarci; in ballo, come annunciato dal vicepresidente di China Investment Corporation, Tu Guangshao, ci sarebbe poi la creazione di un Fondo di collaborazione industriale sostenuto dal governo italiano; anche China National Offshore Oil Corporation, compagnia petrolifera cinese, avrebbe intrapreso dei negoziati per nuove partnership con Eni; il colosso cinese Alibaba avrebbe reso noto di voler iniziare ad importare le arance rosse di Sicilia in Cina. Senza contare il settore turistico e culturale a proposito del quale Xi jinping, al Quirinale, ha ricordato che «il 2020, 50esimo anniversario dei rapporti diplomatici Italia-Cina, sara’ l’anno incrociato della Cultura e del Turismo tra Italia e Cina» e sarà un’occasione «per portare nuove opportunità’ per le nostre già’ eccellenti collaborazioni in diversi settori».

«Grande impulso», secondo il Presidente del Consiglio Conte, riceveranno le relazioni bilaterali tra Pechino e Roma, che ha scelto, come aveva auspicato dalla Cina, di non coordinarsi, per le trattative per il Memorandum, con l’Unione Europea, non proprio ben voluta dal nuovo governo italiano. Bruxelles, del resto, non ha mai nascosto le sue perplessità in merito al progetto delle Nuove Vie della Seta per diversi motivi tra cui la definizione del progetto di investimento, la realizzazione dell’infrastruttura e la sua gestione, poco entusiasta di questo progetto al punto da presentare una sua proposta di collegamento tra Europa e Asia. A questi elementi, dal punto di vista dell’UE, occorre aggiungere le grandi differenze riguardanti i modelli economici di Pechino e Bruxelles, soprattutto per quel che riguarda la concorrenza e la presenza dello Stato nelle aziende. Anche per questo ‘unità’ è sempre stata la parola d’ordine, come rilanciato anche oggi dal Presidente francese Emmanuel Macronche si appresta ad incontrare Xi Jinping la settimana prossima, insieme alla Cancelliera tedesca Angela Merkel e al Presidente della Commissione Europea,Jean Claude Juncker.

«Cina e Italia sono partner strategici con mutuo rispetto e fiducia. Fra di noi non c’è nessun conflitto di interesse e sappiamo entrambi come rispettare le preoccupazioni della controparte» ha sostenuto in mattinata il Presidente cinese Xi Jinping durante l’ incontro con i rappresentanti del Business Forum, del Forum Culturale e del Forum sulla cooperazione nei Paesi Terzi insieme al presidente Mattarella confermando quanto messo nero su bianco nell’editoriale apparso qualche giorno fa sul Corriere della Sera nel tentativo di rasserenare l’opinione pubblica italiana in merito alla bontà dell’iniziativa. Nonostante tutte le rassicurazioni, è proprio questa partnership sempre più stretta, che domani verrà sancita dalla firma del Memorandum, che non va giù a Washington. Quali conseguenze ci saranno nelle relazioni tra Italia e Stati Uniti? Cosa cambierà? Ha risposto a queste domande Daniele Fiorentino, docente di Storia e Istituzioni degli Stati Uniti d’ America presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Roma Tre, di cui ha da poco preso la guida.

 

Domani l’Italia firmerà il Memorandum per le Vie della Seta con la Cina. A quanto pare i settori strategici come le telecomunicazioni non vi troveranno spazio. Il Premier Giuseppe Conte ha poi sottolineato che la posizione euro-atlantica non è in discussione e che nel testo dell’accordo, peraltro non vincolante, sono stati inseriti espliciti riferimenti alla Carta delle Nazioni Unite, all’accordo di Parigi e alle regole europee. Tutto questo basta a tranquillizzare Washington?

Forse, per quanto si tratti soprattutto di un confronto ideologico. Gli Stati Uniti hanno nella Cina il maggior partner commerciale. E’ ovvio che nell’ottica della nuova amministrazione vedere che uno dei paesi centrali dell’Unione Europea promuove un’iniziativa di questo genere comunque, secondo me, lasciaa un fondo di preoccupazione. Tutto il corpo diplomatico americano ha lavorato nel corso degli ultimi mesi proprio per cercare di frenare questa spinta. A questo proposito, è rassicurante il discorso che ha fatto oggi il Presidente italiano Sergio Mattarella che in qualche modo funge da garanzia nel confronto con gli Stati Uniti.
È dunque il valore simbolico-politico quello che preoccupa gli Stati Uniti?
Assolutamente sì. Il valore simbolico perché l’Italia sarebbe una testa di ponte per una penetrazione ulteriore della Cina in Europa. Non dimentichiamo che la Cina è tra i partner principali di tre Paesi centrali dell’Unione europea. L’Italia è terza in questo momento, ma d’altra parte questo consentirebbe soprattutto sulla famosa questione della nuova rete ad alta velocità 5G una sorta di intromissione cinese, cosa che spaventa moltissimo gli Stati Uniti tant’è che i servizi di sicurezza hanno messo in allerta della possibilità di penetrazione cinese mi sistemi di comunicazione occidentali. Qui c’è secondo me anche molta politica, ideologia, ma anche una paura concreta visto che oggi la sicurezza è uno dei argomenti che sta in cima alla lista delle relazioni internazionali. E dovrebbe preoccupare un po’ anche degli europei vista la minore capacità di reazione. Infatti da questo punto di vista con tutte le riserve  a certa politica americana e alle scelte di questa amministrazione, diciamo che hanno anche delle ragioni. Dal punto di vista americano il timore è rivolto verso questa presenza. Gli europei  sembrano abbastanza attivi come ha detto qualche tempo fa il sottosegretario Michele Geraci, ma rispetto alle capacità americane indiscutibilmente l’Europa è indietro.
C’è poi da considerare il fatto che la difesa italiana nella cornice della NATO è inscindibilmente legata ai sistemi americani e l’interoperabilità è fondamentale. Ma tornando al punto politico, gli Stati Uniti, accusati da molti di usare due pesi e due misure nei confronti dei Paesi europei, potremmo dire che non sono preoccupati tanto dal fatto che l’Italia fa affari con la Cina ma quanto piuttosto dal fatto che aderisca al progetto delle Nuove Vie della Seta.
Diciamo che preoccupano entrambi gli aspetti. Diciamo che c’è anche un fattore economico ma soprattutto l’aspetto politico quello più significativo e che fa la differenza in particolare nell’attuale equilibri di potere a livello internazionale un passo come quello italiano. Giornali americani lo hanno annunciato, ma lo stanno seguendo molto poco, in modo marginale. Ha indiscutibilmente un valore simbolico. Non dimentichiamoci che l’Italia, con tutte le riserve di oggi, ha una tradizione molto antica di adesione all’Unione europea e alla NATO e questo politicamente ha un peso non indifferente.
Alla Cina viene rimproverata la cosiddetta ‘trappola del debito’. Washington teme che, date le difficoltà economiche, anche l’Italia possa essere cadere in questo meccanismo?
Si. Non dimentichiamoci che è una situazione simile si era verificata non molto tempo fa con la Grecia. Non solo, ci sono poi tutti gli investimenti che la Cina fa in Africa legando a sé come in una sorta di spirale i Paesi. E questo, tra parentesi, riguarda anche gli Stati Uniti visto che gran parte del debito americano è detenuto dalla Cina. Se dal punto di vista economico questo Memorandum può aiutare l’Italia, è l’aspetto politico quello che preoccupa di più gli Stati Uniti. Ma l’intervento di Mattarella mi è sembrato molto rassicurante. L’Italia peraltro è considerata un partner importantissimo sia sullo scenario Mediterraneo sia nei rapporti con l’Oriente data anche la lunga tradizione italiana nella cosiddetta Via della Seta.
Cosa cambia nei rapporti tra Stati Uniti e Italia con la firma di questo Memorandum? Si spegne quel feeling che era sembrato nascere tra l’amministrazione Trump e il governo giallo-verde?
Io credo che al momento non cambi molto. Il rapporto rimarrà piuttosto forte. Dipende da come Roma vorrà svilupparlo più in là. Roma potrebbe ricevere qualche tirata d’orecchie come è già successo per riportarla nella corrente della maggioranza dei Paesi occidentali. ma al momento io credo che anche per gli Stati Uniti ci sia tutto l’interesse a mantenere un buon rapporto con l’Italia
L’Italia diventa un alleato ‘inaffidabile’ per gli Stati Uniti?
L’Italia ha sempre avuto una reputazione alquanto altalenante presso gli Stati Uniti nella storia, a parte alcuni momenti di solidità come avvenuto durante la Guerra Fredda. Anche lì peraltro a tratti. Io credo che l’Italia possa diventare un ‘osservato speciale’ piuttosto che possa subire una caduta di fiducia.
Rischia di diventare un osservato speciale anche nella NATO? 
Io credo molto meno.
Qualcuno ha addirittura ipotizzato una riduzione nella cooperazione commerciale tra intelligence.
Non è nell’interesse degli Stati Uniti né dell’Unione Europea né tanto meno dell’Italia.
Crede possibile che l’Italia possa fungere da ponte tra Stati Uniti e Cina? 
Temo di no, soprattutto per la debolezza dell’attuale governo e in generale della posizione dell’Italia nel contesto transatlantico. L’Italia dovrebbe prima di tutto consolidare la propria posizione transatlantica per poi aspirare ad un ruolo che in questo momento non può avere.
Fino a qualche settimana fa la Lega di Matteo Salvini sembrava filorussa mentre il M5S pareva più filoatlantico. In questa circostanza, sebbene fosse leghista il Sottosegretario che ha curato la regia del Memorandum, la Lega è sembrata più sensibile alle preoccupazioni americane. Le parti si sono dunque invertite? A questo punto di chi si fida di più Washington?
Bella domanda. Credo che tra i due vicepremier si fidi di più di Matteo Salvini anche perché Vede l’indebolimento del momento cinque stelle. Aveva cercato secondo me l’interlocutore principale in con te ma questo non si è verificato. Per questo credo che Washington Cercherà di trovare rassicurazione nel quirinale e E cercare di mantenere quello come interlocutore principale. Però sicuramente tra le due forze, è della Lega che si fida di più.
Su qualche dossier, Libia in primis, è possibile che l’Italia possa perdere l’appoggio di Washington?
Credo che ci possa essere questo rischio, ma credo anche che non sia nell’interesse di nessuno. Poi ci deve essere sicuramente grande attenzione alla sicurezza
Gli Stati Uniti, secondo lei, ricorderanno con più forza all’Italia il rispetto degli impegni NATO e su F35?
Di rimbrotti l’abbiamo presi tante. Però anche vero che non è nell’interesse di nessuno. Nell’immediato diciamo che è nell’interesse di tutti mantenere gli equilibri come sono a meno che non succeda qualcosa di particolarmente significativo.
Roma, firmando il memorandum, riconosce legittimità al progetto della Cina, con cui Trump ha ingaggiato una guerra commerciale, e spacca l’Unione Europea, mai ben vista dal presidente americano. Ciò premesso, si può parlare di una batosta per la politica estera di Trump? 
Più che una batosta, è un inciampo. L’Italia, da questo punto di vista, dovrebbe imparare ad essere più ragionevole.