Riad smentisce le indiscrezioni di uno stop alla collocazione in borsa della compagnia petrolifera nazionale. Ma i tempi si dilatano
Il ministro dell’Energia saudita, Khalid al Falih, ha negato le indiscrezioni circolate ieri circa l’ annullamento del progetto di quotazione della compagnia energetica nazionale Saudi Aramco. «Il governo resta fedele all’offerta pubblica iniziale di Aramco, secondo le circostanze e le tempistiche appropriate già determinate», ha chiarito Al Falih, precisando che «il governo ha intrapreso una serie di importanti misure preparatorie, tra cui l’approvazione di una nuova legge sull’imposta sul reddito in relazione alle attività sugli idrocarburi, la riemissione di una concessione esclusiva a lungo termine e la nomina di un nuovo consiglio di amministrazione». Inoltre i tempi dell’ attuazione dell’ offerta pubblica iniziale dipenderanno da vari elementi, tra cui «le condizioni di mercato favorevoli, e una proposta di acquisizione durante i prossimi mesi nel comparto a valle delle sue attività petrolifere». Del resto, già nel consueto rapporto annuale della società pubblicato nelle scorse settimane, Al Falih aveva evidenziato che la compagnia «sta continuando a prepararsi per la quotazione delle sue azioni, un evento storico che l’azienda e il suo consiglio anticipano con entusiasmo».
Ad agitare le acque erano state alcune fonti citate dall’agenzia ‘Reuters’ secondo cui l’ipotesi di quotare sui mercati, sia locale e che internazionale, il 5 per cento del colosso petrolifero saudita sarebbe ormai tramontata: difatti, a detta dei ben informati consultati dal network, i consulenti finanziari che lavorano alla quotazione sarebbero stati sollevati dall’incarico mentre Aramco starebbe concentrando la sua attenzione soprattutto sull’acquisizione di una partecipazione strategica nella società petrolchimica statale Sabic (la quarta a livello mondiale), il cui 70% è di proprietà del Public Investment Fund (Pif) nazionale. A supporto di ciò, le fonti avrebbero sottolineato come il budget del colosso energetico destinato a pagare i consulenti fino alla fine di giugno non sarebbe stato rinnovato. Da questo punto di vista, l’ipotesi di una definitiva cancellazione del piano di avviamento dell’ IPO del 5 per cento di Aramco sarebbe stata abbandonata da tempo, ma, secondo numerosi commentatori, le forti aspettative generate nei mercati internazionali frenerebbero la leadership saudita a renderlo ufficiale.
Di parere diverso è Jean-François Seznec,analista energetico del Medioriente ed economista della Georgetown Universityoltre che dell’ Atlantic Council’s Global Energy Center– “il Ministero dell’Energia e l’Arabia Saudita sono molto desiderosi di fare l’IPO. Tuttavia, riceviamo diverse voci e informazioni a seconda di chi vuole controllare l’agenda nei diversi momenti. Non sono sicuro di chi nella leadership saudita voglia cancellare l’IPO, chiave di volta del progetto ‘Vision 2030”.
Ricordiamo che la quotazione di Aramco è parte fondamentale del programma di riforme “Vision 2030” annunciato nel 2016 dal principe ereditario Mohammed bin Salman volto a diversificare l’economia del regno e ridurre la sua dipendenza dal petrolio. Il piano prevede dunque la vendita del 5 per cento di Aramco con una quotazione sul mercato azionario locale (Tadawul) e su una piazza internazionale (New York, Londra, Hong Kong), non ancora comunicata. Quest’ operazione, secondo le autorità di Riad, potrebbe generare fino a 100 miliardi di dollari di entrate, con una valutazione totale della compagnia pari a 2 mila miliardi di dollari. Diversi esperti avrebbero espresso perplessità a riguardo, sostenendo che la valutazione reale sarebbe più bassa, intorno ai mille miliardi di dollari. Questa enorme differenza tra le stime di Aramco e quelle degli esperti ha rallentato enormemente il processo di preparazione dell’Ipo avviato da consulenti come JPMorgan, Morgan Stanley e Hsbc, che lavoravano come coordinatori globali, mentre le banche di investimento boutique Moelis & Co e Evercore fungono da consulenti indipendenti e lo studio legale White & Case da consulente legale. “Alcuni” – precisa il docente – “hanno affermato che la valutazione di Saudi Aramco sarebbe troppo bassa. Penso che questa sia un’opinione propagata dalle grandi banche d’investimento che trarrebbero beneficio da una valutazione bassa per ottenere un prezzo basso alla quotazione e quindi rivendere un grande profitto quando il valore reale verrà visto. È anche spinto da quelli del regno che si oppongono alla valutazione alta per fare un punto contro il principe ereditario e / o contro Khalid Al Falih. In definitiva, non vi è alcun vantaggio nel ritardare l’IPO”.
Del resto, il progetto di MBS è di ampio respiro, volendo coinvolgere i più svariati settori della società, promuovendo il settore privato interno, sia con misure a favore delle piccole e medie imprese, sia con la privatizzazione di altre società pubbliche che gestiscono servizi come l’acqua e l’elettricità, riducendo, di fatto, il ruolo dello Stato imprenditore. La diversificazione dovrebbe passare attraverso lo sviluppo delle fonti rinnovabili, dell’industria mineraria non petrolifera, dei servizi finanziari, della manifattura tecnologicamente avanzata e del turismo. Il tutto in un Paese dove i ricavi dal petrolio costituiscono più dell’ 80% delle entrate, in cui la popolazione, sempre più giovane, ha difficoltà a trovare una sua collocazione. Circostanza per la quale il ‘patto sociale’ con la monarchia si è andato complicando.
” ‘Vision 2030’ ” – ricorda Seznec – “è un tentativo di rispondere alla necessità di rendere più trasparente lo Stato, di modo che anche il resto dell’economia possa diventare trasparente. È interessante notare, secondo me, come il problema della trasparenza sembra essersi attenuato: un po’ come il Fondo Pubblico d’ investimento (PIF), che era stato programmato per ricevere ingenti fondi dall’IPO e che di per sé molto opaco, potrebbe non essere interessato ad un’ Aramco trasparente per paura di dover diventare a sua volta trasparente”. La necessità di maggiore trasparenza è collegata alla fumosità che circonda le stime delle riserve nazionali, la cui consistenza – secondo le stime ufficiali è pari a circa 260 miliardi di barili, il 15% del totale mondiale – è un segreto di Stato da quando, nel 1980, Riad si svincolò dai contratti di concessione alle grandi compagnie americane stipulati negli anni ‘30, nazionalizzando di fatto Aramco. Da quasi quarant’ anni, le riserve saudite sarebbero passate dai 110 miliardi di barili dell’ultimo report inviato obbligatoriamente al Senato degli Usa nel 1979 ai 170 miliardi di barili del 1987 e ai 260 miliardi di barili nel 1989, mantenendosi costante successivamente sebbene consumi/export fosse prossimo a 94 miliardi di barili. Nel documento del 1979, 178 miliardi di barili erano le ‘riserve probabili’ (ossia recuperabili al 50%), mentre quelle ‘possibili’ (ossia recuperabili al 10%) ammontavano a 240 miliardi. Tali stime non hanno subìto sostanziali modifiche – motivando ciò con le nuove scoperte e l’ avanzamento tecnologico – e questo ha lasciato sempre perplessi gli investitori internazionali.
Ma accedere alla borsa di New York vorrebbe dire sottomettersi alle rigide regole della Securities and Exchange Commission (SEC) in tema di contabilizzazione delle riserve: norme ferree riguarderebbero le cosiddette ‘riserve provate non sviluppate’ che – secondo la SEC – devono muovere verso lo stadio dello sviluppo entro 5 anni per poter essere contabilizzate. E considerata la vastità delle riserve del Regno, molti esperti del settore dubitano che una parte consistente di queste possa rispettare questa regola.
“Nessuno crede veramente che l’IPO fallirebbe” – ribadisce Seznec – “Ma ci sono disaccordi su dove dovrebbe avvenire. Potrebbe essere quotato senza troppi problemi sul Tadawul, che ha una capitalizzazione complessiva di 520 miliardi di dollari. Anche Londra lo farebbe . Molti nel Regno non vogliono farlo a New York”.
Sebbene “il governo di Riad” – ricorda l’ esperto – “detiene oltre 500 miliardi di dollari in riserve in contanti, e la maggior parte in titoli del Tesoro USA a breve termine”, il problema vero è che il “PIF vuole denaro, ma non può accedere a quello ora controllato da SAMA, la banca centrale. È possibile quindi che gli apparati, principalmente SAMA, il Ministero dell’ Economia e quello delle Finanze, non vogliano che il PIF inizi a disporre di centinaia di miliardi senza controllo o trasparenza”.
Ecco perché il fondo sovrano saudita, stando a quanto riportato da diverse testate internazionali, si rivolgerà ad una moltitudine di banche internazionali per ottenere un prestito sindacato di 11 miliardi di dollari con i quali procedere nella diversificazione dell’ economia nell’ attesa della quotazione della compagnia di Stato.
“Il danno per l’economia avverrà se l’IPO non avrà luogo, poiché annacquerebbe la grande ‘visione’. Il problema principale del programma di riforma del Regno oggi è che l’urgenza di cambiare il sistema socio-economico sta diminuendo con l’aumento del reddito da petrolio!”.
«Aramco era una parte del programma di riforma. Altre parti stanno andando avanti abbastanza bene», ha detto Tim Callen, capo missione del FMI per l’Arabia Saudita, ai giornalisti dopo le consultazioni annuali con il governo saudita, sottolineando che le proiezioni del Fondo monetario internazionale per l’accelerazione della crescita economica saudita nei prossimi anni si basano sulle aspettative di una vasta gamma di riforme da intraprendere e proseguire, ma tra queste non figura l’impatto dell’offerta pubblica iniziale delle azioni Aramco.
Callen, pur non esprimendo commenti sullo stato dei piani del governo per Aramco, ha ribadito che il destino dell’IPO non ha influito sulle prospettive di una gamma molto più ampia di altre riforme economiche. «Se lo fa, le prospettive economiche saranno positive», ha auspicato, riconoscendo i progressi fatti da Riad sia a livello economico che legislativo. Certo è che – ha specificato Callen – qualsiasi ritardo nell’IPO di Aramco richiederebbe al governo di ripensare al modo in cui finanzia il suo fondo di investimento pubblico, motore centrale per far ripartire i vari progetti di sviluppo.
«Si prevede che la crescita aumenterà ulteriormente a medio termine con l’entrata in vigore delle riforme e l’aumento della produzione petrolifera», ha sostenuto recentemente il Fondo monetario internazionale le cui stime prevedono che il prodotto interno lordo dell’Arabia Saudita cresca dell’1,9 per cento quest’anno, anche a causa della maggiore produzione di petrolio, dopo il restringimento dello 0,9 per cento dello scorso anno. Aumenterebbe anche al 2,3 per cento il PIL non petrolifero mentre il deficit di bilancio sarebbe destinato a calare al 4,6 per cento del PIL nel 2018 e all’1,7% 2019 dal 9,3% dello scorso anno. Nonostante le previsioni che ne danno un possibile azzeramento per il 2023, secondo il FMI, è possibile che il deficit torni a crescere.
Dunque quotazione sì, quotazione no? Solo il tempo risolverà l’ enigma. Di sicuro, la scelta di ‘Vision 2030’ esemplifica l’ intenzione di svolta rispetto al nuovo contesto economico, politico – la contrapposizione con l’ Iran – ed energetico internazionale – ad esempio, con gli Stati Uniti sempre più indipendenti dopo la shale revolution – anche se l’obiettivo di voler affrancare in tempi stretti l’economia del Paese dalla dipendenza dalle rendite petrolifere è ambizioso. Ad ogni modo, il destino del Regno rimane ancora legato a doppio filo a quello di Aramco.