L’ intervista ad Alberto Negri, senior advisor ISPI
«Le sanzioni iraniane sono state lanciate ufficialmente. Queste sono le sanzioni più pungenti che siano mai state imposte e in novembre aumenteranno ancora ad un ulteriore livello. Chiunque faccia affari con l’Iran NON farà affari con gli Stati Uniti. Io chiedo la PACE NEL MONDO, niente di meno!», ha twittato questa mattina il presidente americano Donald Trump che, non più tardi di una settimana fa, durante la conferenza stampa congiunta con il premier italiano Giuseppe Conte, si era detto «pronto ad incontrare chiunque senza precondizioni».
Dura la replica del presidente iraniano Hassan Rohani che, in un’intervista alla Tv di Stato, ha affermato che con la reintroduzione di sanzioni l’ inquilino della Casa Bianca vuole fare «una guerra psicologica» contro l’Iran. Quanto alla dichiarata disponibilità di Trump di incontrarlo, il capo del governo di Teheran ha risposto: «I negoziati non vanno d’accordo con le sanzioni, che colpiscono il popolo iraniano e anche le aziende straniere».
«Non seguiremo gli Usa sulle sanzioni. Come abbiamo già chiarito noi consideriamo l’accordo sul nucleare parte importante non solo della sicurezza nella regione, ma nel mondo» ha affermato a Bbc Radio4 Alistair Burt, viceministro degli Esteri di Londra responsabile del dossier mediorientale.
Come annunciato nel maggio scorso, in occasione dell’ uscita degli Stati Uniti dall’ accordo sul nucleare iraniano, il Joint Comprehensive Plan of Action(Jcpoa), l’accordo sul nucleare iraniano firmato dai paesi P5+1 (Usa, Francia, Regno Unito, Germania, Russia, Cina,) nel luglio 2015 ed entrato in vigore nel gennaio successivo, sono scattate oggi parte delle sanzioni statunitensi che erano state revocate.
La prima tranche di sanzioniprendono di mira l’acquisto di dollari americani da parte dell’ Iran così come il commercio di oro o metalli preziosi; la vendita verso o dall’Iran di metalli grezzi o semilavorati (acciaio, carbone allumino) o di grafite o di software industriali; la vendita o l’ acquisto di riyal iraniani; la conservazione di conti denominati in riyal al di fuori del territorio della Repubblica degli Ayatollah; la sottoscrizione di nuovo debito da parte di Teheran. Si prevede un brusco arresto nei settori più in crescita negli ultimi mesi come quello automobilistico. A tutto ciò si aggiungono le cosiddette ‘sanzioni secondarie’ che sono, invece, quelle che vanno a colpire i soggetti non americani che intrattengono rapporti commerciali con la Repubblica Islamica: perciò o interrompono le proprie relazioni economiche con Teheran oppure andranno incontro alle contromisure statunitensi, vedendosi compromessa la propria attività sul mercato a stelle e strisce. La seconda tranche, quella che riguarderà le esportazioni di petrolio e le transazioni con la Banca centrale iraniana, entrerà in vigore il prossimo 4 novembre.
E’ questa, dunque, la strategia di ‘massima pressione’ del Presidente Trump, confermata più volte dal Segretario di Stato Mike Pompeo. I primi effetti si sono già iniziati a vedere: inflazione galoppante, corruzione e contrabbando in rapida ascesa. Ma non rimarranno circoscritti all’ Iran: tra i Paesi che più risentiranno del nuovo regime sanzionatorio, compare l’ Italia che nel 2017 si attestata quale primo partner commerciale di Teheran tra i paesi dell’Unione europea, superando Francia e Germania: l’interscambio tra Italia e Iran si è espanso del 97% rispetto al 2016 sfiorando i 5 miliardi di euro, mentre Francia e Germania toccavano rispettivamente i 3,8 e i 3,3 miliardi. Secondo le previsioni, nel 2018, dagli interscambi con la Repubblica islamica, l’ Italia avrebbe dovuto guadagnare 2 miliardi dall’export, di cui 1 miliardo proveniente da meccanica strumentale che costituisce più della metà delle esportazioni italiane. Solo due giorni fa, domenica, sono stati consegnati gli ultimi 5 aerei ATR 72-600, prodotti dal consorzio di Airbus e Leonardo.
«Stiamo facendo del nostro meglio per mantenere l’Iran nell’accordo e per preservare i benefici economici che questo porta al popolo iraniano perché crediamo che questo sia nell’interesse della sicurezza non solo della nostra regione, ma anche del mondo» ha sostenuto l’Alto Rappresentante della Politica Estera e di Sicurezza dell’ UE, Federica Mogherini, precisando che «se c’è una parte di accordi internazionali sulla non proliferazione nucleare che viene rispettata, questo deve essere mantenuto».
Ma, più concretamente, come si muovendo l’ Unione Europea per far fronte alle sanzioni statunitensi? Due sarebbero gli strumenti a sua disposizione per cautelare le imprese europee, secondo quanto ribadito ieri da un comunicato congiunto della stessa Federica Mogherini, e dei ministri di Germania, Francia e Regno Unito: la riattivazione del Regolamento di blocco del 1996 e la modifica dello Statuto oltre che l’ estensione del mandato di prestito esterno della Banca europea per gli investimenti (Bei). Per quanto concerne il primo, esso attribuisce a ciascuno Stato membro la decisione su quali contromisure adottare contro la controparte americana che danneggia le aziende europee e la valutazione circa le modalità di risarcimento dei danni. In questo modo, è consentito alle imprese Ue di neutralizzare gli effetti extra-territoriali delle sanzioni Usa, invalidando l’effetto nella Ue di ogni sentenza di Corti straniere basate su di esse. Il secondo strumento, d’ altra parte, approvato dall’Europarlamento il 4 luglio, è l’ inserimento dell’Iran nella lista dei Paesi che possono ottenere prestiti dalla Bei la quale, però, svolge la propria attività a livello globale, quindi anche negli Stati Uniti. E il timore di conseguenze potrebbe avere la meglio. Lo stesso presidente della Bei, Werner Hoyer, ha manifestato le sue perplessità in quanto prevedere operazioni con l’Iran significherebbe «mettere a rischio il modello di business» dell’ istituto.
Per chiarire il ruolo dell’ UE in questo contesto, abbiamo chiesto ad Alberto Negri, già corrispondente per il Sole 24 ore in Medio Oriente, Africa, Asia Centrale e Balcani dal 1987 al 2017, oggi consigliere dell’ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale).
Cosa può fare l’ Unione Europea per salvaguardare le relazioni economiche con l’ Iran?
La legislazione di ‘blocco’ non è mai stata attivata negli ultimi venticinque anni. L’ impressione è che l’ Unione Europea richieda tempi troppo lunghi prima di poter aggiustare le istituzioni necessarie per aggirare le sanzioni che sono essenzialmente di un tipo: sono le sanzioni del Tesoro americano che puniscono tutte le banche europee ed italiane che fanno transazioni in dollari con l’ Iran. Questo significa che nessuna banca, che abbia una minima attività internazionale, può fare affari con l’ Iran perché verrebbero chiuse le sue attività negli Stati Uniti. Questo è il punto chiave su cui l’ Unione Europea dovrebbe attivare una propria istituzione finanziaria, in euro, che sfugga alle sanzioni americane. Quante possibilità ci sono che questa istituzione venga attivata in un breve periodo di tempo? Assai poche. E’ molto più facile che l’ Italia possa, invece, prendere una piccola banca di quelle in sofferenza, che non hanno attività internazionale o sul mercato americano, e specializzarla nelle transazioni con l’ Iran. Transazioni che ammontano a circa 5 miliardi di euro l’ anno di interscambio: l’ Italia è, infatti, il primo partner commerciale davanti alla Francia e alla Germania. Cosa dobbiamo salvaguardare? Soprattutto le esportazioni delle piccole e medie imprese, pari a 1,8-2 miliardi di euro l’ anno verso l’ Iran. Poi ci sono le questioni delle grandi commesse che sono circa 26-27 miliardi tra memorandum d’ intesa e contratti già firmati, ma potrebbero essere fuori da quest’ attività. L’ importante è salvaguardare gli interscambi commerciali delle piccole e medie imprese e questo può esser fatto attraverso una piccola banca italiana dedicata che aggiri le sanzioni americane.
Ma sulla questione delle sanzioni, il governo giallo-verde guidato da Giuseppe Conte ha le idee chiare?
Gliele abbiamo chiarite. Io personalmente, ma poi, insieme ad Unioncamere e Confindustria, abbiamo attivato delle iniziative, portando all’ attenzione dei vari ministri uno schema che presuppone un piano per attivare un istituto di credito che possa lavorare soltanto con l’ Iran e salvaguardare l’ interscambio delle imprese italiane con Teheran.
Russia e Cina potrebbero offrire una sponda all’ UE in questo tentativo di salvaguardare l’ accordo e aggirare le sanzioni?
Le sanzioni sono una cosa, l’ accordo è un’ altra. Questo è un accordo internazionale firmato sotto l’ egida delle Nazioni Unite: un gruppo di Nazioni, il 5+1, si è impegnato a sottoscrivere questo accordo che è stato rispettato dagli iraniani secondo tutti i rapporti internazionali, compresi quelli dell’ Aiea. Quindi il fatto che gli Stati Uniti siano usciti da questa intesa è un atto puramente arbitrario che va contro ogni regola della diplomazia e che risponde alla strategia di Trump della ‘massima pressione’. ‘Massima pressione’ che non è soltanto economica, ma che diventa anche ‘strategia della tensione’ con tutte le uscite che sono state fatte dagli Stati Uniti, ma anche dagli alleati degli Stati Uniti: Israele e Arabia Saudita. Nel corso degli ultimi 8 mesi, l’E ieri, il capo dell’ intelligence israeliana Katz ha detto che “se gli iraniani rispettano le richieste americane è bene, se non le rispettano e il regime cade tanto meglio”. Sono dichiarazioni che rendono assai esplicito il fatto che non ci sia soltanto un aspetto economico e finanziario, ma che sia una guerra a tutto campo per la destabilizzazione – sia con attività in campo aperto che sotto copertura – e il cambio di regime in Iran.
In questo senso, l’ Unione Europea ha la forza politica per smarcarsi dalla linea statunitense o non è ancora abbastanza matura?
Questa è una bella domanda perché ci pone di fronte a quella che è l’ essenza di questa Unione Europea. L’ Unione Europea è convinta che l’ Iran rispetti l’ accordo e quindi, in qualche modo, deve contrapporsi agli Stati Uniti. Lo farà? Ci sono stati dei precedenti: il presidente francese Macron è andato a Washington, l’ ultima volta, e ha detto e ribadito che l’ accordo con l’ Iran è importante. Ma sarà disposto a sostenerlo? E la Germania, per esempio, sarebbe disposta a sostenere uno scontro, magari, commerciale con gli americani dopo che gli stessi americani stanno facendo pressioni sulla Germania perché non realizzi il gasdotto Nordstream 2? Sono queste le domande che, in qualche modo, ci fanno pensare che l’ opposizione dell’ Unione Europea sarà assai ‘flessibile’. Teniamo presente, inoltre, che parliamo dell’ Iran, cioè di un Paese che ha una grande influenza sulla stabilità del Medioriente e del Mediterraneo, sostenendo la Siria, gli Hezbollah in Libano. Quindi parliamo un Paese chiave per la stabilità in Medioriente che viene messo sottopressione e su cui l’ Unione Europea, che si è impegnata a fare dell’ Iran un interlocutore, adesso dovrebbe in qualche modo sostenere questa sua posizione con gli Stati Uniti. Ne sarà capace?
In realtà, quindi, la precondizione c’è nonostante Donald Trump, durante la conferenza stampa congiunta con il premier italiano Giuseppe Conte, si è detto «pronto ad incontrare chiunque senza precondizioni».
Le dichiarazioni di Trump sono completamente inaccettabili non solo da un governo o da un regime come quello iraniano, ma da qualunque attore internazionale in quanto lui dichiara una cosa che non è vera. Lui, infatti, ha posto delle condizioni, imponendo le sanzioni e chiedendo agli iraniani di interrompere qualunque attività nucleare – che loro hanno già interrotto – e qualunque attività missilistica. Quindi ci sono delle precondizioni richieste dagli Stati Uniti all’ Iran che le ha rispedite al mittente.
Pensa, come ha sostenuto oggi il presidente iraniano Rohani, che Washington stia conducendo una «guerra psicologica» contro l’ Teheran?
Non è la prima volta che la leadership iraniana usa un termine di questo genere: anche Khamenei, in passato, aveva dichiarato che gli Stati Uniti stanno conducendo una guerra psicologica e culturale contro l’ Iran. In qualche modo, Rohani ha ragione, ma più che una guerra psicologica, Washington sta conducendo una guerra reale nel senso che sta conducendo una guerra economica e commerciale che, sappiamo molto bene, indebolisce lo stesso presidente moderato e pragmatico Rohani e rafforza l’ ala dura dei falchi intorno al leader supremo Khamenei, la stessa che nel 2015 si era opposta alla firma dell’ accordo sul nucleare. C’è una guerra psicologica, ma soprattutto una guerra concreta. Ricordiamoci che già c’è una crisi economica in atto in Iran; il ryal, la moneta locale, è calato nei confronti del dollaro fino a duecentomila ryal. Oltre, poi, ad esserci in Siria, da anni, una sorta di guerra per procura contro l’ Iran, il maggiore alleato di Bashar al-Assad. Inoltre il Presidente americano Trump negli ultimi otto mesi ha fatto due cose, entrambe a favore di Israele: la dichiarazione di Gerusalemme capitale e l’ annullamento dell’ accordo con l’ Iran. E’ agendo in modo così sbilanciato che si può, in qualche modo, intrattenere con l’ Iran? Non mi pare proprio.
Le recenti manifestazioni per le difficili condizioni economiche potrebbero spingere la leadership iraniana a considerare l’ opzione del dialogo con Trump?
Al momento, no. Lo ha già detto anche Rohani. Però ci sono due aspetti: da una parte l’ indebolimento di Rohani, il rafforzamento dei falchi e di tutta la dirigenza iraniana in funzione anti-americana; dall’ altra parte, le manifestazioni popolari che si sono viste, a cui hanno partecipato circa 5-600 manifestanti e non migliaia, sono un segnale piuttosto preoccupante per il regime perché sono l’ indicazione chiara ed evidente che la crisi economica sta esasperando diversi tratti della popolazione, e non soltanto i più poveri o meno fortunati. Il regime deve guardare con attenzione se queste proteste si allargano alla borghesia o al Bazar, come è già successo qualche mese fa. Quindi, da un lato il rafforzamento in senso anti-americano della leadership, dall’ altro questa leadership deve stare molto attenta a far comprendere alla popolazione di essere capace di venir fuori dalla crisi in cui l’ ha messa l’ America di Trump. Quel che è certo è che gli iraniani non andranno a trattare con la pistola puntata alla tempia. Per dialogare, sarà necessario un cambio di atteggiamento da parte americana che, altrimenti, rischia un altro fallimento in Medioriente.