L’ intervista esclusiva a Piero Bassetti, Presidente di ‘Globus et Locus’ oltre che ideatore del concetto di ‘italicità’

 

Si è spento oggi, all’ età di 66 anni, a Zurigo, nella clinica dove era ricoverato da alcune settimane, Sergio Marchionne, ex Amministratore delegato di FCA, ruolo assunto, a partire da sabato scorso, da  Mike Manley, mentre la guida di Ferrari è passata a Louis Carey Camilleri, con John Elkann presidente sia dell’ una che dell’ altra azienda. «Non potrà riprendere la sua attività lavorativa», si leggeva nella nota emessa da FCA nel fine settimana. L’ ultima apparizione in pubblico risaliva al 23 giugno quando aveva partecipato alla cerimonia di consegna di una Jeep all’ Arma dei Carabinieri. Non sono previste esequie pubbliche, ma le aziende del gruppo Agnelli ricorderanno l’ ex Amministratore delegato in due cerimonie che si terranno, a fine agosto, a Torino, e ad Hauburn Hills, a settembre. 4 miliardi di capitale sono stati bruciati oggi da FCA la cui capitalizzazione è passata da 25,65 a 21,67 miliardi. -15,5% a 13,98 euro ha chiuso il titolo FCA, -3,49% Exor, -2,19% Ferrari e -0,27% Cnh.

«Penso che il miglior modo per onorare la sua memoria sia far tesoro dell’esempio che ci ha lasciato sia coltivare quei valori di umanità, responsabilità e apertura mentale di cui è sempre stato il più convinto promotore. Io e la mia famiglia gli saremo per sempre riconoscenti per quello che ha fatto e siamo vicini a Manuela e ai figli Alessio e Tyler. Rinnovo l’invito a rispettare la privacy della famiglia» ha dichiarato il presidente John Elkann mentre il successore di Marchionne,  Mike Manley ha affermato: «Sergio era un uomo speciale. È un momento molto triste e difficile. Una notizia straziante. Era un uomo unico e ci mancherà. Personalmente ho speso 9 anni parlando con Sergio ogni giorno e il mio cuore è spezzato. Il rapporto tra noi era basato sulla trasparenza, sulla focalizzazione sugli obiettivi e, cosa più importante di tutte, sul rispetto».

«La notizia della scomparsa di Marchionne, purtroppo non più inattesa, ci addolora e lascia un vuoto in tutti coloro che ne hanno conosciuto e apprezzato le qualità umane, intellettuali, professionali.  Marchionne ha scritto una pagina importante nella storia dell’industria italiana» riporta la nota del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarellache precisa: «Nella sua responsabilità di leader della Fiat ha attraversato anni di trasformazioni assai profonde e radicali dei mercati, dei sistemi di produzione, delle strategie finanziarie, delle relazioni sindacali. Ha assicurato continuità e rilancio fino a costruire una nuova aggregazione, a dar vita a una nuova più grande realtà per sostenere la competizione». Egli, prosegue Mattarella, «non ha mai rinunciato a battersi per le proprie strategie, ad affrontare difficoltà e conflitti, a superare incomprensioni. La sua visione ha sempre provato a guardare oltre l’orizzonte e immaginare come l’innovazione e la qualità potessero dare maggiore forza nel percorso futuro. Marchionne ha saputo testimoniare con la sua guida tutto questo, mostrando al mondo le capacità e la creatività delle realtà manifatturiere del nostro Paese».

Durante i lavori incentrati sul ‘decreto dignità’, un minuto di silenzio, seguito da un applauso, è stato osservato nelle Commissioni Finanze e Lavoro della Camera dei Deputati. Cordoglio è stato espresso anche da alcuni protagonisti della vita politica italiana. «È stato un manager eccellente, un uomo illuminato, in grande italiano. Con lui scompare un protagonista indiscusso della produttività italiana nel mondo, esempio di laboriosità di creatività e di lungimiranza» ha sostenuto la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati. «Esprimo il cordoglio mio e di tutto il governo per la scomparsa di Sergio Marchionne. Le mie sentite condoglianze alla sua famiglia e a tutti i suoi cari» si leggeva in una nota del Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte mentre il predecessore, Paolo Gentiloni, affidava a Twitter il suo messaggio: «Grazie per il lavoro, la fatica e i risultati. E per l’orgoglio italiano portato nel mondo». «Onore a un uomo che ha fatto tanto e avrebbe potuto fare ancora molto» ha rilanciato il Vicepremier oltre che Ministro dell’Interno, Matteo Salvini.

Parole di ringraziamento anche da parte delle opposizioni. «Il Paese perde una personalità coraggiosa e instancabile che ha lavorato con passione e tenacia per l’Italia e nel mondo» ha osservato il segretario del PD, Maurizio Martina. «È stato un gigante ha innovato, ha portato la Fiat fuori da una crisi che sembrava senza via di uscita, ha creato posti di lavoro e come è normale ha fatto anche errori. La sua visione, il suo operato resteranno nella storia» ha scritto su Twitter il capogruppo dei democratici al Senato, Andrea Marcucci. «Marchionne è stato un grande protagonista della vita economica degli ultimi 15 anni. Con lui ho condiviso molte scelte, discusso sempre, litigato talvolta. E’ riuscito a dare un futuro alla Fiat, quando sembrava impossibile. Ha creato posti di lavoro, non cassintegrati» il ricordo dell’ ex Premier oltre che ex Segretario del PD, Matteo Renzi.

«L’Italia perde non soltanto il più brillante dei suoi manager, ma una delle figure simbolo del nostro Paese.  Ha rappresentato l’Italia migliore: quella operosa e concreta, seria e preparata, dotata di visione e capace di guardare al futuro. Un’Italia che non ha paura della competizione, sa affrontarla e vincerla grazie alla qualità del prodotto italiano e alla capacità creativa delle persone e delle imprese» ha chiarito Silvio Berlusconi in una nota, evidenziando, poi, che «Sergio Marchionne non ha soltanto salvato posti di lavoro in Italia, in una stagione di drammatici cambiamenti, ha dimostrato che nell’epoca della globalizzazione dall’Italia possono ancora nascere sfide imprenditoriali di livello mondiale. Dissi una volta, senza avvertirlo prima, e non me ne sono mai pentito, che mi sarebbe piaciuto vederlo alla guida del nostro paese. Lo penso ancora: le caratteristiche di una persona straordinaria come Marchionne, la competenza, la preparazione, la capacità dimostrata di ottenere risultati importanti, sarebbero state preziose, se fosse stato disponibile, per ridare dignità alla politica».

La stagione di Marchionne si dipana lungo il corso degli ultimi 14 anni, coincidente con la rinascita del gruppo automobilistico italiano: era infatti il 2004 quando, a pochi giorni dalla morte di Umberto Agnelli – il primo ad intravedere in lui delle potenzialità e a volerlo in Consiglio di amministrazione – divenne amministratore delegato dell’allora Fiat.

La storia di Sergio Marchionne inizia a Chieti, in Abruzzo, nel 1952 da un padre, maresciallo dei Carabinieri che, una volta raggiunta la pensione, decide di trasferirsi in Canada e da una madre di origine dalmata. Tre lauree – in filosofia, in economia, in giurisprudenza – ed un master in Business Administration per poi divenire avvocato nel 1987. Dedizione, spirito di sacrificio: ecco gli elementi di una personalità estremamente complessa.

Dopo un breve passaggio alla guida della Sgs, tra i cui azionisti figura anche la famiglia Agnelli, arriva al vertice del Lingotto. «Fiat ce la farà» annunciò al primo consiglio di amministrazione, promettendo di «lavorare duro». Cosa che fece, salvando FIAT dal fallimento. Poi l’ acquisizione di Chrysler in seguito alla crisi del 2008, a pochi mesi dall’insediamento di Barack Obama. E’ solo nel primo trimestre del 2011 che la compagnia americana Chrysler torna in utile e a maggio 2011, dopo aver rifuso i prestiti ricevuti dai governi americano e canadese, Fiat arriva a detenerne il 46%. Nel 2012, arriva al 58,5% fino a quando, il 1° gennaio 2014 Fiat Group acquisisce il restante 41,5% dal Fondo Veba.

Uomo di grande polso, nell’aprile del 2010, decide di far disdire a FIAT il contratto nazionale per poi uscire da Confindustria. Ai sindacati fa alcune richieste che permettano di investire a Pomigliano d’ Arco. Tutti accetteranno, compresi gli operai in due referendum (a Mirafiori e a Pomigliano), tranne la Fiom con cui è ancora in corso una controversia legale. Negli stessi anni, decide la chiusura dello stabilimento di Termini Imerese.

Nel 2014 assume il comando della Ferrari. Poco tempo dopo, viene quotato negli Stati Uniti il 10% del Cavallino mentre il rimanente 10% resta a Piero Ferrari e l’80% ai soci Exor. Sempre attento alle realtà dei luoghi di lavoro e ai dipendenti, si è guadagnato la reputazione di colui che ha tentato di umanizzare il lavoro in fabbrica.

La parabola dell’ ex Amministratore delegato si conclude con il raggiungimento dell’ obiettivo che si era prefisso nel 2004: come da lui stesso annunciato durante la presentazione del piano industriale a Balocco, terminato il primo semestre 2018, FCA sarebbe tornata ad avere una liquidità netta (pari a 0,5 miliardi di euro) e consegne complessive in crescita del 6% (ammontano a 1.301.000 veicoli). Il successo era stato salutato da Marchionne, indossando, per la prima volta dopo dieci anni, una cravatta Zegna annodata sotto il famigerato pullover.

Sebbene siano state riviste leggermente al ribasso le stime per la fine di quest’ anno inerenti i ricavi netti ed ebitda adjusted – per i primi, si oscilla tra i 115 e i 118 miliardi di euro, per il secondo, tra 7,4 e 8 miliardi di euro -, restano confermati «tutti gli altri obiettivi finanziari presentati lo scorso primo giugno nel Piano Industriale 2018-2022».

Con Marchionne, dunque, non viene meno solo un protagonista della storia della FIAT, sulla scia, dopo gli Agnelli, di Vittorio Valletta e Cesare Romiti. Ma si estingue un emblema dell’ ‘italicità’. Per questo, con Piero Bassetti, primo Presidente della Regione Lombardia nel 1970, Presidente di Globus et Locus, politico e osservatore della politica di lungo corso, nonché ideatore del concetto dell’italicità nel mondo, a cui ha dedicato un saggio intitolato ‘Svegliamoci italici! (edito da Marsilio), rendiamo omaggio ad un ‘italico globale’, perla sempre più rara nell’  epoca delle frontiere e dei muri.

Presidente Bassetti, aveva avuto occasione di conoscere Sergio Marchionne?

Sì lo avevo conosciuto, ma molto superficialmente. Lo avevo incontrato in un paio di occasioni, ma non ho mai avuto una relazione approfondita.

Che impressione ne aveva avuto?

L’ ho sempre considerato, mi proponevo di stabilire una collaborazione più stretta perché lo ritenevo una figura esemplare di quella ‘italicità’ che io vado descrivendo e coltivando: era molto più canadese ed internazionale che non, per molti aspetti, italiano. Questa sua ammirazione per l’ Arma dei Carabinieri che gli proveniva dal padre era forse l’ aspetto più attribuibile alla sua italianità. A mio avviso era una persona interessante perché l’ uomo moderno, in un certo senso, non ha più appartenenze ai territori nazionali, intesi nel senso tradizionale. Si è dimostrato essere, per certi versi, un uomo ‘glocale’. Ho sempre avuto l’ impressione che avesse una sensibilità per i luoghi dove era richiesto il collocarsi in quella funzione: per esempio, Torino oppure i luoghi degli stabilimenti della FIAT. Ma che sapesse prescindere dalle bandiere che i diversi luoghi battono, considerando che il mercato e quello dell’ automobile in particolare, essendo globale e non avendo frontiere, è, in un certo senso, apolide. Quindi, la perdita di Marchionne e della sua esemplarità è una grave perdita perché, quando volevo indicare un simbolo o un esempio di ‘italicità’, mi è capitato spesso di fare il suo nome. Naturalmente non era il solo esempio perché ce ne sono molti altri, ma la sua perdita, soprattutto dal mio punto di vista, segna la sparizione di un caso emblematico di ‘italicità’. A parte il fatto che a me era simpatico e che lo ammiravo moltissimo, questo rimane il parere di un osservatore che di lui sapeva quello che la cronaca e i giornali raccontavano.

Anche in considerazione dei suoi indubbi meriti professionali, in che modo la figura di Sergio Marchionne ha cambiato l’ ‘italicità’ nel mondo?

La figura di Marchionne non può che aver modificato l’ idea delle elites italiche che, quando si volevano invocare, lo includevano sempre tra gli esempi più illustri. Obiettivamente, ce ne sono anche altri di interessanti, ma credo che nessuno unisse questa sua forza simbolica e mediatica legata al fatto che l’ automobile resta pur sempre una dimensione molto popolare e che l’ operazione da lui compiuta, ossia il salvataggio della FIAT, è conosciuta ed era, in sé, un’ impresa di eccezionale valore. Poi, questa circostanza di vederlo con Barack Obama piuttosto che con Donald Trump o con gli altri massimi esponenti delle elites globali, mi davano la piacevole sensazione per cui l’ elite italica era di prima categoria: non sono molte, infatti, le presenze italiane di indiscutibile ‘Serie A’. Questo era un caso e noi eravamo in una gerarchia del mondo e questo, dal punto di vista nazionale, è sicuramente una perdita.

Secondo Lei, la figura di Marchionne ha segnato di più la FIAT, ora FCA, oppure, in fondo, l’ Italia?

A mio avviso, ha segnato senza dubbio di più la FIAT perché l’ ha salvata. Naturalmente, l’ ha salvata al prezzo di renderla sovranazionale. A questo livello, è difficile attribuirla all’ economia italiana in quanto i suoi equilibri interni sono molto improntati verso un’ economia straniera. In Italia, secondo me, ha gestito molto bene il tramonto di una centralità della FIAT e, quindi, di Torino, quindi, dell’ Italia nella dimensione dell’ industria automobilistica mondiale, anche se alcuni modelli come la ‘500’ o alcuni exploit della Ferrari hanno certamente bilanciato questa sperequazione della FCA perché indubbiamente la Ferrari ha riacquistato una capacità di simboleggiare l’ Italia che prima che arrivasse chi l’ ha rilanciata – e Marchionne è stato tra i più importanti – non aveva.

Facendo riferimento alla sua capacità di comunicare, non si può non considerare la scelta simbolica di indossare il maglione.

Certamente. Faceva parte della sua genialità: difficile dire se voluto oppure naturale, ma, comunque, resta il fatto che con alcuni espedienti, come i suoi famosi maglioni, il personaggio si sbalzava rispetto ad un contesto che tende ad appiattire tutto. Questo era il suo ‘genio mediatico’.

Attraverso il quale, proprio nell’ era odierna, ha veicolato anche dei ‘valori’: la dedizione, la ricerca dell’ eccellenza, il mettersi sempre in gioco.

Certamente. Soprattutto, in quest’ epoca in cui si sta esaltando la dialettica tra la ‘casta’ e il ‘popolo’, quasi che la competenza fosse un difetto attribuibile a chi fa parte della prima, a mio avviso, Marchionne era meno acriticamente collocato nella casta di quanto non possano essere personaggi di potere corrispondente. Forse questa è la cosa più esclusiva e più importante perché è presente, secondo me, oggi, nel mondo, questo conflitto latente, ma non troppo, in qualche caso preoccupantemente non latente, tra l’ ‘uno vale uno’ e la realtà opposta per cui qualcuno vale per centomila. Inoltre, egli non era apparso al mondo solo per opere di bene in quanto aveva compiuto anche rigide operazioni di selezione. Questa circostanza per cui fosse riuscito a rimanere così popolare, magari attribuibile al fatto che non indossasse la cravatta, ne definiva una specialità e una modernità inedita. Un’ altra cosa che mi ha incuriosito, parlando anche con persone che lo frequentavano da vicino, riguarda la sua incapacità a smettere di fumare. Sicuramente, per un personaggio del genere, il non riuscire a smettere di fumare è strano: vuol dire che, in fondo, la personalità umana è sempre complessa.

«Il vero valore di un leader non si misura da quello che ha ottenuto durante la carriera ma da quello che ha dato. Non si misura dai risultati che raggiunge, ma da ciò che è in grado di lasciare dopo di sé» amava ripetere Marchionne, come ha ricordato John ElkannQuale insegnamento lascia ad un giovane? Quale aspetto consiglierebbe ad un nipote di assimilare di una personalità come quella dell’ ex Amministratore delegato di FCA?

Di nipoti ne ho nove e non avrei alcun dubbio di segnalargli, in termini estremamente concreti, il fatto che le nazionalità, gli Stati-nazione, i nazionalismi sono ormai fuori dalla storia. Il fatto che si sia immersi in un revival di nazionalismo e del cosiddetto ‘sovranismo’ è proprio il segno dell’agonia degli Stati nazionali. I personaggi più paradigmatici al mondo non sono più definiti dalla bandiera nazionale, ma dai valori globali e glocali che portano avanti in un rapporto che non è più quello delle frontiere. Se si dovesse dire quale fosse la frontiera entro la quale operava Marchionne, è chiaro che il luogo era la frontiera il mondo e il tempo era la frontiera del futuro.

Senza mai rinnegare la propria ‘italicità’, ma, anzi, trasferendola nel grande crogiolo mondiale.

Certo. Così come noi siamo chiamati dal Risorgimento a trascendere la nostra dimensione lombarda o napoletana, così oggi siamo sfidati a trascendere la nostra dimensione nazionale. Il mondo non è più internazionale, ma glocale. Anche la politica dovrebbe imparare che i ‘sovranismi’ che sono antistorici, sono il tintinnamento di quell’ inquietudine che l’ abbattimento delle frontiere comporta e che non va incoraggiato, bensì dovrebbe essere aiutato a trascendere.